È sul modello dell’economia di guerra che debbono essere ristabiliti i fondamentali, tanto produttivi che strategici. A parlare sono già i numeri a bilancio: negli ultimi tre anni la spesa militare dei paesi UE è passata da 214 a 326 miliardi di euro, con un aumento del 52%, e al 2% del Pil dell’Unione. Si prospetta concretamente di salire almeno a 500 miliardi di spesa annua, al netto del piano di riarmo della presidente la commissione europea.
Gli utili idioti che sfileranno nelle piazze domani lo faranno a sostegno di questo modello strategico industriale-militare, del quale sono ben consapevoli a Parigi, a Berlino, a Bruxelles. Stiano dunque attenti i governi e le forze politiche nei loro dibattiti concitati ad ostacolare questa determinazione dei centri di potere europei di armarsi economicamente, militarmente e psicologicamente. Non saranno né Trump e nemmeno Putin, ossia l’oggettiva convergenza degli Stati Uniti e della Russia contro l’imperialismo europeo, a salvarli dalle sicure ritorsioni.
L’Unione Europea ha tutto l’interesse di contrastare la gestazione di una duplice intesa. Fa leva sul conflitto russo-ucraino per impedire che ciò si realizzi. Ecco perché nei fatti è favorevole alla continuazione della guerra. Del resto, in questi tre anni di guerra, l’Europa non ha mai proposto nulla di alternativo alla guerra in corso e dunque ha dimostrato il completo disinteresse per le sorti di chi quel conflitto lo patisce sulla propria ghirba.
Secondo gli umori di Washington tale intesa potrebbe anche diventare triplice, almeno per un certo periodo, vale a dire un asse tra Washington, Mosca e Pechino a spese dell’Europa. Per contro, ciò non significa sostenere il modello produttivo-strategico europeo che si profila. Anzi, andrebbe combattuto, ma non il nome di una generica pace e di un astensionismo imbelle, ma in nome di un internazionalismo antiimperialista di cui però non si vede traccia.
Per la Cina imperialista il discorso è diverso per quanto riguarda i rapporti con l’Europa. E viceversa: per la Ue Pechino si è dimostrata un attore più affidabile, esiste uno spazio di negoziazione su interessi comuni. Per parte cinese, l’Unione Europea è un interlocutore unico, invece di rivolgersi ai singoli paesi. Pechino sa valutare la gerarchia dei pericoli, il primo dei quali risiede nella constatazione del possibile asse Washington-Mosca. Perciò la Cina ritiene necessaria anche una rifondazione della strategia nei rapporti con l’India, l’Africa, l’America latina e il Sud-Est asiatico.
Anche di quanto qui esposto, tra qualche giorno sentiremo dire dagli analisti e dagli strateghi televisivi (quelli più ... coraggiosi). Nemo profeta in patria.
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