Washington non ritiene Mosca un nemico strategico. Bruxelles la pensa diversamente. Per il semplice motivo che sono degli idioti? Potrebbe essere così di questi tempi. Viceversa, la Russia potrebbe essere un alleato strategico d’importanza decisiva per l’Europa. Per le sue materie prime, per la sua collocazione geografica, per la sua storia. E però il Cremlino denota una forte idiosincrasia per gli omosessuali, e questo dispiace in Europa, o almeno in certe sedi europee. È un tema quello della libertà sessuale, fin troppo trascurato quando si parla di rapporti UE e Russia.
Un altro tema è quello dell’inventario delle armi. C’è chi auspica, invece del riarmo (il piano ReArm Europe), la costituzione di una “difesa” comune europea. Già me la vedo una brigata missilistica francese sotto comando di un generale italiano, oppure uno stormo dell’aeronautica italiana sotto il comando di uno sloveno. Mi ricorda le baruffe chioggiotte tra Eisenhower e Montgomery (la controversia tra fronte largo e fronte stretto, per esempio), i quali non erano della stessa stirpe: la famiglia Eisenhower era tedesca, Montgomery un irlandese figlio di un vescovo, entrambi dovevano obbedire ad obiettivi politici diversi.
Durante la Guerra Fredda, la NATO si è concentrata sulla sua missione principale: la difesa collettiva, basata sull’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, firmato a Washington nel 1949. Questa clausola, che stabilisce che un attacco contro un alleato è un attacco contro tutti, è stata attivata solo una volta, dagli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Al momento del Trattato di Washington, gli stati membri europei firmatari avrebbero voluto assicurarsi che gli Stati Uniti fornissero automaticamente assistenza se uno dei firmatari fosse stato attaccato. Ma gli Stati Uniti si opposero a tale automaticità e l’articolo 5 fu redatto di conseguenza.
«Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse che si verifichi in Europa o nel Nord America sarà considerato un attacco contro tutte le Parti e, di conseguenza, concordano che, se tale attacco si verifica, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva riconosciuto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la Parte o le Parti attaccate adottando immediatamente, individualmente e in accordo con le altre Parti, le misure che riterrà necessarie, compreso l’uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza nell'area del Nord Atlantico.»
L’art. 5 è chiaro: “le misure che riterrà necessarie”, pertanto non sussiste nessun automatismo per un diretto intervento armato. Inoltre, il ruolo dell’Europa nel campo della difesa è stato quindi fin dall’inizio come complementare e, si potrebbe persino dire, sussidiario a quello della NATO.
Non a caso, la storia della difesa europea, di un “esercito europeo” inizia con un clamoroso fallimento, quello della Comunità europea di difesa (CED), respinta dalla Francia il 30 agosto 1954. L’idea di un esercito europeo non si è mai concretamente ripresa da questo fallimento iniziale e sembra improbabile che ciò possa avvenire nel prossimo futuro.
Dall’Atto finale della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa di Helsinki (1975), sembrò aprire una nuova era di cooperazione e, dopo la caduta del Muro, la Carta di Parigi per una Nuova Europa (1990) sancì l’effettiva fine della guerra fredda.
In realtà, le guerre jugoslave, che hanno causato circa 150.000 morti in 10 anni (1991-2001), alle porte dell’Unione Europea, hanno messo in luce l’incapacità dell’Europa di agire al di fuori della NATO e quindi senza gli Stati Uniti. Gli accordi che posero fine alla guerra in Bosnia ed Erzegovina nel 1995 furono firmati a Dayton, negli Stati Uniti, a simboleggiare la paralisi dei paesi europei di fronte alla più grande guerra che il continente avesse mai vissuto dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Il vertice NATO del 2016 a Varsavia, portò all’adozione di una dichiarazione congiunta UE- NATO: «[...] in occasione di questa dichiarazione congiunta, [...] sono state ribadite tre regole: la difesa collettiva è innanzitutto responsabilità della NATO; non ci sarà nessun esercito europeo; non ci sarà alcuna duplicazione delle attuali strutture di comando nella NATO. Sono stati sistematicamente richiamati in tutte le riunioni dei ministri della Difesa, alle quali si sono reciprocamente invitati il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e l’Alto rappresentante europeo Federica Mogherini. Tali norme sono riportate nel verbale. Essi costituiscono la base della cooperazione tra la NATO e l’Unione Europea.»
Pertanto, fin che resta in piedi la NATO non ci sarà nessun esercito europeo (*).
(*) La NATO e l’UE hanno attualmente ventidue membri in comune. Il peso delle spese per la NATO viene ripartito tra gli Alleati in base ai rispettivi Pil, per cui gli Usa pagano il 22,1% del totale, la Germania il 14,7%, la Francia e il Regno Unito il 10,5%, l’Italia l’8%, il Canada il 6% e gli altri Stati a scendere.
Le quote per la NATO non vanno confuse con l’ammontare complessivo di spesa per la difesa dei singoli Stati. Ed è ciò che invece fa Trump chiedendo ai singoli Paesi un aumento delle loro rispettive spese militari. Gli Stati Uniti criticano principalmente i paesi europei di non essersi mossi abbastanza rapidamente per raggiungere gli obiettivi fissati dalla NATO per il 2024, ossia un aumento della spesa militare al 2% del PIL (originariamente l’impegno è stato assunto nel 2006 dai ministri della Difesa degli Stati membri), di cui il 20% destinato ai grandi equipaggiamenti.
Gli Stati Uniti dedicano il 3,4% del loro PIL alla “difesa”, ovvero 605 miliardi di dollari, che rappresentano i due terzi della spesa militare dei paesi della NATO e circa un terzo del bilancio militare complessivo del mondo. Nel 2018, l’aumento della spesa per la difesa degli Stati Uniti (+44 miliardi di dollari) è stato equivalente al bilancio della difesa della Germania.
L’imperialismo ha i suoi costi. All’interno di questo gigantesco bilancio militare americano, la spesa specificamente dedicata alla difesa dell’Europa è stimata in 35,8 miliardi di dollari nel 2018, ovvero il 6% del totale, e quasi quanto il bilancio della difesa francese (35,9 miliardi di euro nel 2019).
Tali spese sono suddivise tra:
- Finanziamento della presenza americana nel continente europeo (29,1 miliardi di dollari), ovvero 68.000 unità provenienti dalle cinque componenti dell'esercito americano, di cui circa 35.000 in Germania, dove ha sede il comando delle forze americane in Europa (EUCOM Stoccarda). Per la cronaca, negli anni ‘60 erano presenti in Europa occidentale 400.000 militari statunitensi, e altri 200.000 negli anni ’80.
- Il contributo americano alla NATO (6,7 miliardi di dollari).
Dal 2014, nell’ambito delle misure di rassicurazione della NATO, gli Stati Uniti hanno aumentato la loro presenza in Europa attraverso un programma di bilancio denominato European Deterrence Initiative (EDI), che consente loro di finanziare l’operazione Atlantic Resolve (OAR) a favore dei paesi dell’Europa orientale (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania).
Gli Stati Uniti svolgono un ruolo speciale nella capacità nucleare strategica della NATO, mentre le forze del Regno Unito e della Francia svolgono ruoli complementari (la Francia non ha armi nucleari assegnate alla NATO e non è membro del Nuclear Planning Group dell’organizzazione).
Inoltre, gli accordi di “condivisione nucleare” prevedono il posizionamento di armi nucleari tattiche americane in diversi paesi europei. Sebbene le informazioni non siano pubbliche, cinque paesi della NATO sono generalmente considerati paesi ospitanti queste armi nucleari: Germania, Belgio, Italia, Paesi Bassi e Turchia. Il numero di armi immagazzinate in questi paesi è stimato in 140. Per la cronaca, durante la Guerra Fredda, quando anche il Regno Unito e la Grecia erano paesi ospitanti, il numero stimato di armi nel continente superava le 7.000. Le armi di stanza fino ad oggi sono bombe B61. Formalmente sono destinate ad essere impiegate, con l’accordo degli Stati Uniti e del paese ospitante (secondo il principio della doppia chiave), dalle forze aeree del paese ospitante.
Nella maggior parte delle basi, le armi sono immagazzinate sotto la responsabilità delle unità di supporto americane. I cacciabombardieri della nazione ospitante vengono assegnati e i piloti vengono addestrati per essere in grado di trasportare queste armi gravitazionali nel caso in cui si decida di utilizzarle. Per questa missione la Germania mantiene il 33rd Fighter Bomber Wing equipaggiato con Tornado PA-200. I Paesi Bassi e il Belgio dedicano a questo velivolo equipaggi di F-16 (10th Tactical Wing per il Belgio; 312th e 313th Squadron della RNAF). In Italia, anche i Tornado PA-200 del 6° Stormo hanno la capacità di trasportare i B61. Per quanto riguarda Aviano (Italia) e Incirlik (Turchia), saranno a priori gli aerei americani a occuparsi del trasporto delle armi.
Nessun commento:
Posta un commento