“Le big tech, le grandi aziende digitali, sono organizzazioni ibride che avendo conquistato il controllo della conoscenza esercitano un potere che eccede il loro monopolio economico per diventare anche politico”. A dire queste cose è Cédric Durand, già professore all’Università Sorbona Parigi-Nord ed oggi economista dell’Università di Ginevra.
In buona sostanza il prof. Durand ci parla del monopolio dei GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), del modo in cui queste multinazionali governano la società attraverso algoritmi e della cristallizzazione di un’ideologia di destra associata alla rivoluzione digitale (mia la sintesi). Nulla di nuovo, dunque, e già il Grande Vecchio un secolo e mezzo fa si spingeva oltre, rilevando come le aziende tecnologicamente all’avanguardia e che controllano la catena del valore, ricevono una quota maggiore del plusvalore man mano che aumenta la produzione.
Pertanto, osservo, più ancora che a una attività che crea valore, queste big tech sembrano dedite a una cattura accelerata del plusvalore prodotto socialmente. In effetti, è attraverso le grandi piattaforme che si esplica la dimensione “feudale” nel capitalismo digitale (facciamo buona questa dizione), dunque le forme di vassallaggio imposte ad altri attori tramite il controllo verticale sulle interfacce software che consentono alle applicazioni di terze parti di connettersi ai loro servizi.
Durand pensa di essere un marxista (così lo etichetta Wikipedia) o qualcosa del genere e proclama: “Il capitalismo della sorveglianza sa tutto dei suoi utenti e ne prevede i comportamenti in modo tanto capillare da poterli manipolare”. Anche qui nulla di nuovo, salvo il fatto che a riportare tutte queste parole è il quotidiano dei padroni e dei rentiers, ossia il Sole 24 ore di oggi. L’articolo ha questo titolo: “I techno-feudatari avanzano ma possono essere arginati”.
E adesso viene il bello, perché secondo l’articolista (Luca De Biase) il prof. Durand ha la sua bella soluzione: “[...] la Cina dimostra che i techno imprenditori possono essere tenuti a bada dal potere politico”. Il che è vero, se si astrae da un dettaglio, ovvero che la Cina non è un paese democratico quale lo intendiamo comunemente in Occidente. Si potrebbe anche passarci sopra, ma lo stesso Durand afferma poco più avanti: “Tutto questo per evitare una regressione della democrazia è una degradazione della modernità”.
In Cina, a riguardo di controllo sociale attraverso gli algoritmi, la realtà sembra incontrare la fantascienza, attraverso il sistema del “credito sociale”, volto ad assegnare agli individui un punteggio di affidabilità che determina l’accesso a determinati servizi (invece in Europa ci vogliono trasformare in “cittadini soldati”). Oltretutto, vorrei ricordare al prof. Durand (so che legge il mio blog da anni e anni), ma anche al simpatico Carlo Rovelli (che mi scrive lunghe e-mail), che la Cina tutto è tranne un paese socialista.
Nessun techno-feudalesimo, solo il capitalismo a un suo passaggio d’epoca.
A parte Amazon, che ha una organizzazione logistica diffusa sul territorio, tutte le altre Big Tech hanno pochi dipendenti se rapportati al giro d'affari. Microsoft è di poco sopra i 200.000, e le altre ne hanno di meno. È quindi evidente che il modello del plusvalore va decisamente stretto a queste aziende: in altri termini, sebbene non siano entità simpatiche, sono strutturalmente diverse dalle aziende manifatturiere inglesi della seconda metà dell'ottocento. Il modello neofeudale non si adatta, come quello capitalista, a ragionamenti microeconomici, ossia puntati sul funzionamento della singola azienda. Tuttavia, portato a livello macroeconomico, è utile alla comprensione dei fenomeni e soprattutto delle tendenze. Una differenza rispetto al feudalesimo di mille anni fa è che i servi della gleba sono servi di più feudatari contemporaneamente, ossia che la gleba è virtuale. Altra differenza è che il ruolo dei chierici è preso da categorie professionali diverse dai preti: non solo professionisti dell'informazione e intellettuali, ma anche larghe fette della burocrazia e del ceto politico.
RispondiEliminaTi rispondo domani
EliminaTu sei una persona alla quale non posso rispondere con una lezioncina, tuttavia una risposta te la devo e va in tal senso se non altro indicando i “titoli” del tema. Per non tirarla lunga, dirò che quando si ricorre a delle omologie, in questo caso tra capitalismo maturo e feudalesimo, a mio avviso è necessario innanzitutto tener conto del concetto di “modo di produzione”: non è quel che viene fatto ma come viene fatto, con quali mezzi di lavoro, ciò che distingue le epoche economiche (Marx, I, cap. 5).
EliminaÈ vero che non è corretto pensare allo sviluppo dei modi di produzione in termini unilaterali, che i modi di produzione non sono, in altri termini, tutti necessariamente presenti in ciascuna linea di evoluzione delle formazioni sociali. È dunque necessario tener presente la forma dei rapporti sociali, facendo attenzione a non schematizzare meccanicisticamente l’uso dei concetti (forze produttive e rapporti di produzione), che sono in continua interazione e si determinano a vicenda, essendo unità di opposti.
E su questo si potrebbe aprire un intero capitolo poiché, per esempio, il concetto di “forze produttive” specie in Italia è stato oggetto di mistificazione (vedi operaisti e revisionisti). Penso che valga la pena, tra le altre cose e in modo significativo a riguardo della tua tesi, tener presente, come ho già accennato in passato, che il progresso delle tecniche capitalistiche di produzione non hanno lo stesso significato per la classe sfruttata e per i suoi sfruttatori, così come diverge per entrambi il significato di progresso sociale.
Andando avanti con il discorso sarebbe necessario precisare che cosa si debba intendere per rapporti capitalistici di produzione e forze produttive capitalistiche in antitesi con i rapporti tipicamente feudali. Eccetera, eccetera, fino ad arrivare alle contraddizioni dialettiche proprie dei diversi modi di produzione, ossia tra forze produttive e rapporti di produzione.
In definitiva, va bene tracciare delle omologie, basta non tirarle a mo’ di chewing gum, come fin troppo spesso si legge un po’ ovunque, e ciò segna, a mio avviso, un deficit teorico severo da parte di tanti “esperti” che poi vanno ad influenzare tanti bravi ragazzi come te (perdona il mio peccato di spocchia ma da ieri sera ha piovuto a dirotto e oggi solite nuvole basse).
io che non sono un bravo ragazzo vedo sempre opposti tardocapitalismo e feudalesimo. Data loro natura. Ovvero proprio per come fanno cose. Però è vero convivano, specie in Italia. Ma i due fenomeni, uno evolutivo - parossistico e degenerativo - l’altro conservativo - parossistico e degenerato - sono costretti, per convivere, alla dissimulazione, all’ipocrisia, a farsi schermo l’uno dell’altro, da cui certa confusione (interessata, va da sé). È una cosa distopica quanto un selfie Meloni-Musk. Infine è come la Repubblica di altissimi valori sulla carta mentre dilaga l’abuso d’ufficio e il fascismo nella convenzione privata, come tutti, peraltro, sanno benissimo. Mettere una cosa contro l’altra, capitalismo vs feudalesimo, cioè, per esempio, applicare art 1, 2, 3 cost, porta in realtà dritti alla fine della pace sociale. Ma questo non può succedere ex legis, formalmente, con un bel discorso del Presidente, al contrario: avviene solo se forze produttive si manifestano superiori a rapporti sociali in una miscela di caso e necessità. Dico bene maestra? Tenga conto di innalzamento temperature oggi, per noi disgraziati importante. saluti
EliminaNon mi hanno voluto neanche come bidella
Eliminaperché toglievi crocifissi lo so
Eliminaspia
EliminaIo non sono particolarmente affezionato al concetto di feudalesimo. Sono invece affezionato ai numeri. Prendiamo Microsoft. Ha 220.000 dipendenti e un utile operativo (nel quale per forza alberga il plusvalore) di 109 miliardi di dollari. Anche volendo attribuire tutti i dipendenti ai costi operativi, che è una bella forzatura, abbiamo un utile pro capite di circa mezzo milione. Non so quanto di questo sia plusvalore ma temo che sia troppo alto per rientrare nella definizione. Non dimentichiamo che più alziamo il plusvalore e più alziamo il valore della giornata dei dipendenti. C'è qualcosa che non va. E quello che non va è attribuire i profitti al capitale variabile.
EliminaNon solo al capitale variabile della Microsoft, ovviamente. Ma non c'è nulla oltre al capitale variabile che possa creare valore ex novo.
EliminaQuello che 150 anni fa non si poteva prevedere è la drammatica diminuzione del fabbisogno di manodopera, pudicamente chiamata aumento della produttività. Man mano che i dipendenti diminuiscono, i casi sono due: o diminuisce il plusvalore totale, o aumenta il plusvalore procapite. Ma in quest'ultimo caso perdiamo l'eguaglianza salario+plusvalore=valore dell'operaio. Se invece diminuisce il plusvalore totale, ti occorre spiegare la rimanente quota del profitto, e non ce la fai. Se, al contrario, rilasciamo il dogma che il profitto si fa solo sul capitale variabile, la logica è salva. A volte i revisionisti hanno ragione.
RispondiEliminahttps://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/10/fingono-di-non-sapere.html#more
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