sabato 8 marzo 2025

L'orizzonte strategico europeo

 

Se Trump avesse accettato di preservare gli interessi dell’Europa, Berlino, Parigi e Londra non si sarebbero sentite escluse dal bottino di guerra e avrebbero cercato un accordo con Washington, come dimostrano le continue aperture di Starmer e Macron verso i fascisti della Casa Bianca.

Succede come per il Medioriente. Se in quei Paesi la risorsa principale fossero i datteri, nessuno spenderebbe un dollaro o un euro per farci la guerra e gli arabi vivrebbero in pace, sionismo permettendo.

L’Europa sta cercando disperatamente di far rivivere il Memorandum d’intesa tra l’Unione europea e l’Ucraina su un partenariato strategico sulle materie prime del luglio 2021, come base per il continuo sostegno al regime fascistoide di Zelensky.

L’Europa fa affidamento quasi esclusivo sulla Cina per i suoi minerali strategici. E invece questo memorandum è stato descritto il mese scorso dal Commissario europeo per la strategia industriale, Stéphane Séjourné, dopo i suoi incontri a Kiev, come la fornitura di ventuno dei 30 materiali critici di cui l’Europa ha bisogno” come parte di una “partnership win-win”.

E invece Putin ha avanzato l’idea di una partecipazione di imprese americane allo sviluppo di un polo per la produzione di alluminio nella regione asiatica di Krasnoyarsk. Putin aveva lanciato l’idea di attirare investitori americani, pubblici e privati, per lo sfruttamento delle terre rare, affermando che la Russia ha riserve “significativamente superiori” all’Ucraina, dalla regione di Murmansk nel nord-ovest, al Caucaso nel sud, fino all'Estremo Oriente.

Parlare della fine dell’“ordine internazionale basato sulle regole” e darne la colpa a Trump, prepararsi al perseguimento dei propri interessi imperialisti con la forza delle armi, comporta un conflitto non solo con la Russia, ma anche con l’imperialismo americano. Ed è ciò che si stanno preparando a fare tedeschi, francesi e britannici.

La portata delle ambizioni europee è resa chiara dalle ingenti somme di denaro che vengono disposte per il riarmo, che vanno ben oltre quanto richiesto per i presunti sforzi di interposizione a seguito di un accordo di pace in Ucraina. È in discussione una guerra con la Russia, non per domani, ma in prospettiva.

Questa la sostanza delle cose, il resto sono chiacchiere. Che dire di chi vuole scendere in piazza a sostegno dell’Ucraina? Utili idioti. Ma è tutt’altro che escluso che tra loro ci siano alcuni elementi che sanno bene che cosa fanno e per conto di chi lavorano. Un bel giro di stipendi e di compensi vari.

venerdì 7 marzo 2025

Una mia convinzione

 

Perché c'è la legge marziale, stupido.

Stanno tornando i mostri fantasmi per riprendere la loro follia. Si sente dire con nonchalance: Si vis pacem, para bellum. E sono gli stessi che ad ogni piè sospinto sventolano la costituzione più bella del mondo.

Rimproverano a Trump di aver tolto la maschera d’ipocrisia al conflitto ucraino: dal colpo di stato pro-NATO del 2014 contro il presidente eletto Viktor Yanukovych, il paese è esistito essenzialmente come uno stato cliente sostenuto dagli USA e dalla NATO. Con i finanziamenti e le armi della NATO, l’Ucraina ha condotto una guerra contro la Russia per oltre tre anni, che ha causato centinaia di migliaia di vittime.

Tra la popolazione ucraina e nella classe dirigente ucraina si sta diffondendo la convinzione che Zelens’kyj sia diventato un serio problema dopo il ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti. È lo stesso Zelens’kyj che ha vietato ad attori e giornalisti di lasciare temporaneamente l’Ucraina: una volta usciti, non tornavano più. Un sintomo della crisi interna esplicito.

Poco dopo che Trump aveva etichettato Zelens’kyj come un “dittatore senza elezioni”, il parlamento ucraino è stato chiamato a votare una risoluzione a sostegno della legittimità della presidenza di Zelens’kyj. La votazione mirava a rafforzare Zelens’kyj appena prima della sua visita alla Casa Bianca di venerdì.

Tuttavia, nonostante il partito Servo del Popolo di Zelens’kyj detenga la maggioranza assoluta in parlamento (è ancora il vecchio parlamento!), la prima votazione non è passata, raccogliendo solo 218 voti, otto in meno dei 226 voti richiesti.

Il giorno dopo, la bozza di risoluzione è stata infine approvata dopo che l’ex presidente Petro Poroshenko ha annunciato che lui e il suo partito Solidarietà Europea non si sarebbero più opposti alla risoluzione poiché faceva parte di “una legislazione chiave in materia di difesa”.

Vale la pena ricordare che Poroshenko, un miliardario, è diventato presidente dell’Ucraina dopo il colpo di stato del 2014 ed è stato un rivale politico di lunga data di Zelens’kyj. Nelle elezioni presidenziali del 2019, che hanno portato Zelens’kyj al potere, Poroshenko è stato sconfitto.

Quale il motivo di questa decisione di Poroshenko, ossia di votare a favore di Zelens’kyj? Solo poche settimane prima, Zelens’kyj aveva firmato un decreto che imponeva sanzioni a Poroshenko per “alto tradimento” e sostegno a un’organizzazione criminale. Secondo l’agenzia di sicurezza interna del paese, la SBU, che ha guidato l’indagine, le sanzioni sono state imposte perché Poroshenko rappresentava una “minaccia alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina” e la “creazione di ostacoli allo sviluppo economico sostenibile”.

Poroshenko ha risposto alle accuse incolpando direttamente Zelens’kyj affermando: “Ci sono molti complici in questo crimine: l’intero team di Zelens’kyj, il gabinetto dei ministri, che è stato costretto a sottomettersi a una proposta assurda, membri del suo Consiglio di sicurezza e difesa nazionale. Ma il cliente, l’esecutore e il firmatario è uno solo: Zelens’kyj in persona”.

Questo è il clima, questi i personaggi, la lotta tra bande in Ucraina. È per difendere il potere di gentaglia come questa che inviamo denaro e armi in Ucraina, che si decide di riarmare i Paesi della UE per difendersi dalla “minaccia” russa.

Intanto l’amministrazione Trump ha già iniziato a incontrare i rivali di Zelens’kyj all’interno della classe dirigente ucraina. Ho già scritto che se Zelens’kyj non si toglie di torno, non morirà nel suo letto. È una mia convinzione che si rafforza.

giovedì 6 marzo 2025

La notte europea

 

A Lucio Caracciolo, per le sue posizioni sull’Ucraina, è arrivato un pizzino da parte dell’agenzia di stampa ufficiosa di questo regime (nei suoi articolati poteri, anche occulti). Tutto ciò avviene in un clima mediatico che ricorda per certi aspetti quello durante il Covid- 19. Questa volta non c’entra il virus, ma Putin. Come già il virus, Putin è diventato una parolina magica (come Hamas), che tutto giustifica pur di abbattere l’odiato “nemico”.

E noi, come allora, ci rannicchiamo al caldo nella nostra Europa libera e democratica, nel “campo del bene” e guardiamo i “nostri” padrini a Parigi, Bruxelles e Berlino stanziare centinaia di miliardi per una difesa comunitaria e per una forza nucleare europea che non esiste e non esisterà mai. Basterebbero i missili a testata multipla che ha in pancia un solo sottomarino nucleare russo per cancellare l’Europa occidentale dalla carta geografica.

E questo lo sanno bene, lor signori. E allora perché tanto chiasso? Per due motivi: il primo viene agitato come il ricatto morale di Trump, e riguarda in realtà l’infantile egolatria dei leader europei, a partire da Macron (i recessi della sua vita psichica sarebbero da indagare); il secondo ha a che fare con la crisi industriale ed economica anzitutto di Germania e Francia: la corsa al riarmo è la risposta. In attesa di varare carri armati green e apposite colonnine di ricarica elettrica, per tacitare la coscienza ecologista di Ursula Albrecht.

Questa è dunque l’Europa a meno di un minuto dalla mezzanotte.

mercoledì 5 marzo 2025

Alla sinistra della sinistra di Dio

 

C’è molta preoccupazione e partecipazione per la salute del Papa. Una massa di cre ...denti rosicchia i rosari. Peggiori sono solo i quotidiani che ci informano se il Papa ha “dormito bene” oppure se non ha “dormito bene”. Da più di due settimane, i giornalisti addetti ai necrologi sono in attesa di pubblicare i loro articoli, di tesserne lodi sdolcinate, di raccontarci i suoi ultimi rantoli e i pronostici sul suo successore.

Il tutto è coordinato dalla “corte dei miracoli” di Santa Marta e dintorni, dove si studia attorno a un tavolo come fare la pioggia e il bel tempo, come gestire un marketing precisissimo ...

Francesco, il buon gesuita, è considerato il “papa dei poveri”, addirittura un papa di “sinistra”. Perché sì, dal 2013 il trono di San Pietro accoglie uno di sinistra. Almeno questo è ciò che racconta la leggenda metropolitana e mediatica. Non ha forse riconosciuto la responsabilità della Chiesa cattolica negli innumerevoli casi di violenza sessuale e di aggressioni pedofile che costituiscono l’ordinario religioso? Mettiamo le cose in prospettiva: in che cosa concretamente consiste questo “riconoscimento”? Nel dire che il peccato confessato è completamente perdonato!

È vero che, di questi tempi e rispetto ai suoi due predecessori, l’austero inquisitore Rat - zinger e il vecchio reazionario polacco, il gesuita Bergoglio può apparire furiosamente progressista. Ma aver pubblicato un testo intitolato “La gioia dell’amore” (Amoris Laetitia, marzo 2016), o aver detto che la guerra uccide i fiori, che la povertà è terribile e che la natura è la madre di tutti noi, è sufficiente per meritare una tale reputazione? Diamo un’occhiata ad alcune delle posizioni di questo sant’uomo.

Forse è il caso di rammentare che come giovane Superiore dei Gesuiti argentini negli anni Settanta si è schierato su posizioni conservatrici e secondo alcuni persino di tacita connivenza con il regime di Videla. È in prima fila nel condannare la “teologia della liberazione”, bollata da Roma come un pericoloso tentativo di unire cristianesimo e marxismo.

Poi, al dogmatismo della gioventù subentra un cambiamento nelle sue posizioni. In Germania, dove alla fine degli anni Ottanta tenta senza successo di conseguire il dottorato in teologia – di fatto essenziale per ottenere incarichi nella Curia romana – Bergoglio matura l’insofferenza nei confronti della teologia europea di matrice tedesca che giudica troppo concettosa e lontana dai bisogni autentici del popolo di Dio. A Córdoba, dove è inviato come direttore spirituale, sperimenta una forte crisi interiore che lo porta persino a rivolgersi a uno psicologo.

Il frontman dei progressisti, il collega gesuita Carlo Maria Martini, non lo considera adeguato a sostituire Ratzinger nel ruolo: troppo distante dai sottili discorsi teologici con cui si cerca di contrastare il pensiero unico imposto da Ratzinger, troppo privo di spessore culturale per poter imbastire quel dialogo con il laicato intellettuale agnostico o persino ateo che Martini considera essenziale.

L’azione pastorale contrapposta a quella teologica e dogmatica: è su questa polarizzazione che si giocherà lo scontro nel conclave da cui uscirà vincitore Bergoglio, che sancirà nel 2013 la sconfitta della linea ratzingeriana.

Da Papa, per quanto riguarda il diritto all’aborto, è sempre stato clericalissimo: “L’aborto [...] è un crimine. Uccidere una persona per salvarne un’altra, questo è ciò che fa la mafia” (2016). “Nel secolo scorso, tutti erano indignati per ciò che i nazisti stavano facendo per garantire la purezza razziale. Oggi facciamo la stessa cosa con i guanti bianchi” (2018). “L’aborto è un omicidio, i medici che lo praticano sono [...] sicari” (2024).

Per l’omosessualità, invece, c’è effettivamente un po’ di lassismo: “non è un reato”. Deo gratias. Ma resta “un peccato”. Invitato a parlare alle Nazioni Unite a New York nel settembre 2015 sulla lotta alla povertà e ai cambiamenti climatici, il Papa ha colto l’occasione per chiedere all’ONU di riconoscere “una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che include la distinzione naturale tra uomo e donna”.

“Una legge morale inscritta nella stessa natura umana”, non fa una grinza. Ma non c’è l’ha con gli omossessuali: “Se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. Tuttavia, nel 2015, si è opposto alla nomina del diplomatico apertamente gay Laurent Stefanini all’incarico di ambasciatore francese in Vaticano. Sul motivo di questo rifiuto, nessuno si lascia ingannare.

Quand’era arcivescovo di Buenos Aires e in Argentina il matrimonio per le coppie omosessuali è stato approvato nel luglio 2010, dichiarava che “L’omosessualità è un demone infiltrato nelle anime” e il matrimonio gay è un “atto di guerra contro Dio”. Più di recente, ha dichiarato: “Ciò di cui abbiamo bisogno è una legge sulle unioni civili: hanno il diritto di essere tutelati dalla legge”.

Ambiguo, perché dal trono di Pietro, il 26 agosto 2018: “Una cosa è quando [l’omosessualità] si manifesta nell’infanzia, ci sono molte cose da fare da parte della psichiatria, per vedere come stanno le cose”. Il giorno dopo, il servizio stampa della Santa Sede ha omessa la parola “psichiatria”. Uno dei suoi funzionari ha dichiarato che questo termine è stato omesso “per non alterare il pensiero del Papa”.

Passiamo dagli elettroshock alle energie rinnovabili: la sua coscienza ambientalista si è espressa con fervore nel 2015 nell’enciclica Laudato si’ ... L’avete letta? Un testo dove apprendiamo che la natura è una creazione divina e che come tale è intoccabile. La “carezza di Dio” non ha molto a che fare con i fatti e la scienza, ma con favole irrazionali proclamate come verità rivelate.

Quanto alla “gioia dell’amore”, anche questa ha i suoi limiti. Nel gennaio 2015, spiegò con tutta carità cristiana che se il suo “caro amico” (il dottor Gasbarri, l’organizzatore dei viaggi papali che era al suo fianco) “dice una parolaccia contro la mia mamma, può aspettarsi da lui un pugno, perché non si può provocare, insultare, ridicolizzare la fede degli altri”. Ma su questo punto specifico dobbiamo essere onesti: il buon papa Francesco è molto in linea con la linea ideologica di una certa sinistra, quella che se Mosca non accetta ciò che prescrivono Mieli e Cacciari, le si dichiara guerra. 

Il sangue degli altri

 

Napoleoni in sedicesimo, disposti a scatenare una guerra mondiale pur di veder riconosciuta la bontà e verità delle loro opinioni. Non uno di questi apostoli della guerra che abbia un figlio o nipote arruolato tra chi combatte in prima linea. Verba docent, exempla trahunt è una locuzione latina ignota a questi strateghi di fureria.

“Indebitiamoci per il riarmo”, dice Merz. La crisi industriale tedesca batte alle porte, che cosa c’è di meglio di nuovi Mefo-Wechsel, quotati in borsa ovviamente. Il clima politico e sociale è ottimo, apriamo un’altra autostrada al fascismo new age.

Trump è ciò che è, un uomo ricco che non ha mai lavorato in vita sua, un americano della classe sociale degli affari, vestito con cravatte e completi da pappone, ma non è buzzurro quanto Zelens’kyj, che si presenta alla Casa Bianca vestito come se dovesse sfalciare l’erba in giardino.

Dopo tre anni di guerra siamo punto e a capo, anzi con un rischio ancora maggiore che il conflitto, almeno a dare retta ai furieri di cui sopra, possa allargarsi. Ma non si allargherà per il semplice motivo che i furieri sanno bene che l’opinione pubblica europea si beve tutto della propaganda, ma non è disposta a donare sangue che non sia quello degli altri.

Finirà come in un film? Dopo discussioni, dibattiti e puerili contraddizioni, in cui tutti hanno avuto modo di esprimere la propria opinione, Zelens’kyj non riuscirà a convincere i giurati che si sbagliano, che lui non c’entra niente, che non è tra i maggiori responsabili della morte di centinaia di migliaia di ucraini e della distruzione di vaste aree del Paese, che lui e la sua accolta di fascisti non meritano la sedia elettrica. Finali come questo si vedono solo nei film.


martedì 4 marzo 2025

Prepariamoci alla guerra, ma per finta

 

Sono davvero dei guitti questi “europei”, ma anche gli “americani” calcano da par loro le tavole del palcoscenico. Partiamo dai primi: restiamo in attesa che ci spieghino come si prepara una bomba nucleare in cantina, oppure una molotov, che tanto è lo stesso. Straparlano di “nucleare comunitario”! Immagino con 27 “chiavi” per il suo impiego. Riunione di emergenza a Bruxelles per decidere: buttiamo la bomba o no? Voto a maggioranza semplice oppure all’unanimità? Nell’attesa buttiamo la pasta, non facciamoci mancare una bella spaghettata con l’aragosta. Giorgina in cucina, seppur di malavoglia.

Ieri scrivevo che “La ricca borghesia americana sostiene apertamente o sottotraccia la politica interna di Trump, mentre invece una parte di essa osteggia gli sforzi di Trump per riorientare la politica estera statunitense”. Ebbene, sempre ieri il NYT, a firma di Steven Rattner, già consigliere del Segretario del Tesoro durante l’amministrazione Obama, riportava:

Durante un pranzo della scorsa settimana con un mio amico, un importante investitore tecnologico che è stato un ardente democratico, il discorso si è rapidamente spostato sulla politica. Come molti uomini d'affari, si rifiuta di esprimere pubblicamente le sue opinioni per evitare di attirare critiche. In privato, è più disponibile.

“Sono disposto a sacrificare piccole cose per guadagni più grandi”, mi ha detto, riferendosi al presidente Trump. “Sono un fan delle idee; non sono sempre un fan dell'esecuzione”. Per lui, “la macro vince sulla micro”.

“Macro” era un riferimento al fattore principale che ha spinto gli uomini d’affari centristi verso il signor Trump nel 2024: la convinzione che sia la spesa che l’inclinazione normativa dell’amministrazione Biden fossero fuori controllo. E si sono risentiti del modo in cui Joe Biden continuava a criticare le grandi aziende. Questa animosità era così intensa che persino i forti guadagni economici degli ultimi quattro anni non sono riusciti a convincere la maggior parte di loro a sostenere Kamala Harris.

Mentre pochissimi imprenditori hanno pubblicamente elogiato il presidente e le sue azioni, in privato molti di loro esprimono il loro sostegno. Ho pensato che il caos del mese scorso (le nomine non qualificate del gabinetto, l’avvicinamento alla Russia e, forse più di tutto, i dazi) potesse causare rammarico nella comunità imprenditoriale. Ho sicuramente visto delle preoccupazioni.

Ma molti, forse anche la maggior parte, delle persone con cui parlo in privato stanno ancora applaudendo in silenzio al suo approccio “muoviti velocemente e rompi le cose”, anche se stanno iniziando a nutrire dubbi su questioni specifiche, in particolare l’Ucraina e i dazi.

Come sono prevedibili questi ricchi statunitensi. C’è nell’articolo anche questo passo esilarante:

Un dirigente di Wall Street mi ha detto che il signor Trump rimane il migliore rispetto a qualsiasi alternativa. Un altro, citando il rimpasto amministrativo di Elon Musk, ha detto che gli piace così tanto ciò che vede che ora si pente di aver votato per la signora Harris.

Impagabili. La democrazia elettorale è fatta di questa roba qua, e anche di peggio ancora. Ma facciamoci seri, anche se ciò richiede un sempre maggior autocontrollo. Con lo sviluppo della tecnologia informatica e ora dell’intelligenza artificiale, così come della scienza della distruzione, le materie prime essenziali per la fabbricazione di semiconduttori, batterie e sistemi di comunicazione sono diventate il centro di una lotta globale per l’acquisizione di queste risorse. È diventata una questione esistenziale per gli Stati Uniti.

Bisognerà pur capire che le forze motrici oggettive e materiali della produzione capitalista da parte di monopoli giganteschi, molto spesso di proprietà di settori chiave del capitale finanziario, spingono oltre il puerile gioco: “sto con l’Ucraina”, oppure “sto con la Russia”. Fallito il tentativo di destabilizzare la Russia per farne un ricco boccone e minacciare la Cina ai suoi confini settentrionali, le reali ragioni del conflitto tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno oggi come obiettivo il bottino dell’Ucraina, non chiacchiere e tabacchiere.

È sufficiente leggere cosa scrive a tale riguardo il Center for Strategic and International Studies. Ma in genere non c’è né interesse né tempo per leggere di queste cose. Gli specialisti della distrazione di massa hanno facile gioco.

Ancora una volta le guerre non vengono combattute per la “democrazia” o l’“autodeterminazione”, la “protezione” delle piccole nazioni, la “pace” e consimili cagate, ma per il bottino.


lunedì 3 marzo 2025

Il disordine mondiale nell’era nucleare

 

La ricca borghesia americana sostiene apertamente o sottotraccia la politica interna di Trump, mentre invece una parte di essa osteggia gli sforzi di Trump per riorientare la politica estera statunitense. Crede che abbandonare il conflitto con la Russia e indebolire/smantellare la NATO sarebbe catastrofico per l’influenza globale americana e avrebbe un impatto diretto sul dominio dell’imperialismo americano.

Sul piano ideologico, ogni amministrazione americana punta il dito ammonitore riguardo i “diritti umani”, quando storicamente sono gli stessi Stati Uniti ad avere in casa non pochi di quei problemi. È una visione universalistica del proprio ruolo storico (“destino manifesto”), che crede coincida con gli interessi generali dell’umanità.

Nello specifico, si sostiene che l’aggredito è l’Ucraina e l’aggressore la Russia. Le menti più convenzionali sono abituate a ragionare su fatti isolati e non secondo schemi generali in cui si riflette un disegno complessivo. I fatti nudi e crudi non hanno significato se non si tiene conto delle loro più generali implicazioni.

La possibilità che l’Ucraina entrasse nella Nato, questo fatto di per sé stesso, indipendentemente dalle intenzioni buone o cattive di Washington e dei suoi alleati, avrebbe rappresentato una minaccia oggettiva per la Russia, incompatibile con la sua sicurezza.

C’è una omologia storica perfetta, quella con i missili sovietici installati a Cuba e la relativa minaccia di guerra della Casa Bianca se tali missili non fossero stati rimossi. Non se ne tiene conto.

Quanto a inviare unilateralmente truppe di “interdizione” laddove è in corso una guerra, dire che vi sarà un mese di tregua e altre baggianate del genere, è pura millanteria. «Stiamo cercando di far sì che le cose accadano», ha affermato Macron. E accadranno, inevitabilmente, per soddisfare l’egolatria di personaggi simili.

Bisogna dare atto a Giorgia Meloni, per quanto possa dispiacere, di essere contraria all’invio di truppe perché ciò favorirebbe un’escalation. Ma Meloni oltre a ciò non va, lo volesse oppure no. L’ammonimento di Macron a tale proposito è stato chiaro: «È necessario che l’Italia sia al nostro fianco, che intraprenda questo cammino seguendo le orme di Mario Draghi». I cosiddetti partner europei impiegherebbero un niente a scatenare una tempesta finanziaria sul nostro debito pubblico. Non c’è possibilità di avere voce in capitolo quando a decidere sono Francia e Inghilterra oppure la Germania. Su qualunque dossier.

Purtroppo ancora nel XXI secolo prevale una concezione dell’ordine mondiale che considera gli affari internazionali un’inevitabile lotta per la superiorità strategica. Ciò che non può non preoccupare è la minaccia costituita dalle armi di distruzione di massa e le nuove tecnologie militari. Solo degli stolti possono trascurare il fatto che ciò segna una cesura fondamentale rispetto ai conflitti bellici del passato.

Nei periodi precedenti, le guerre comportavano un calcolo implicito: i benefici della vittoria ne superavano i costi, e il più debole combatteva per imporre al più forte dei costi tali da alterare questa equazione. Gli svantaggi del conflitto militare erano considerati inferiori a quelli della sconfitta. L’era nucleare e delle nuove tecnologie militari si basa su armi il cui uso impone costi sproporzionati rispetto a qualunque concepibile beneficio.

La tecnologia non solo è diventata padrona della nostra vita quotidiana, ma ha anche creato un mondo senza confini né ordine. Oggi non possiamo farci illusioni sul potenziale distruttivo che può scatenarsi in un conflitto tra potenze nucleari. Un simile conflitto è destinato a diventare inevitabilmente una guerra di annientamento su scala globale.


sabato 1 marzo 2025

Più armi per tutti

 


Qualcuno comincia svegliarsi e a dire quello che era evidente fin dall’inizio, e cioè che gli Stati Uniti hanno una priorità tra tutte: la Cina. Si chiama riconfigurazione strategica. Come ho scritto più volte, per Washington è una questione di vita o di morte. Vale anche per l’Europa, se non fosse in mano a una torma di montati di testa.

Washington valuta i rapporti con la Russia in chiave strategica, per quanto riguarda la Cina e per quanto riguarda lo sfruttamento delle materie prime, comprese quelle dell’Artico. Gli affari sono affari e chi va dietro a Zelens’kyj è uno stupido. Quanto all’ex comico, se continua a fare il riottoso non morirà nel suo letto.

Resta da convincere la plebe europea che è necessario armarsi ed eventualmente partire. Rinunciare a un’altra fetta di welfare e puntare su nuovi armamenti ed equipaggiamenti, ma ciò non toglie che l’apparato militare europeo è e resterà inconsistente.

Sento dire che Francia e Inghilterra sono due potenze nucleari. È vero, ma il loro potenziale nucleare non supera il 10% di quello russo. Per tacere della carenza di vettori e di forze aeree adeguate. Quanto ai satelliti, sappiamo come stanno le cose.

Dunque si punta a un forte aumento della spesa militare (che andrà soprattutto a vantaggio dell’industria degli armamenti americana). Perciò i media agitano lo spauracchio russo. Non c’è niente di meglio che la paura.

Per vivere felici, non resta che chiedere un fido alle banche ipotecando il TFR allo scopo di acquistare azioni dell’industria militare e di quella estrattiva di materie prime.