Le forze reazionarie [...] si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovranno fare i conti.
Il Manifesto di Ventotene, 1941. Che prosegue:
Il punto sul quale esse cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari [...]. Se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbe vinto [...].
Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani [...].
[Gli] Stati Uniti d’Europa, non possono poggiare che sulla costituzione repubblicana di tutti i paesi federati. E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.
Il Manifesto voleva essere una risposta politica allo stato di cose di allora, e si presentava come un programma da intraprendere in futuro per riformare i sistemi politici e statuali europei. In esso si sarebbero riconosciuti tutti coloro che, attraverso il cambiamento politico, miravano a riformare la società rompendo il quadro nazionale.
Il progetto federalista di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi si concretizzerà nella creazione, infine, dell’Unione Europea. I due estensori del Manifesto non potevano immaginare che cosa sarebbe diventata in realtà l’Unione Europea! Più un’espressione geografica e d’interessi particolari che ...
Spinelli e Rossi scrivevano ancora:
Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era farà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali [...].
La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia.
[...] La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. [...] Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, [...], mettiamo in rilievo i seguenti punti:
a) Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; [...] e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es.: industrie minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti.
b) Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione, hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. [...].
c) I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare le possibilità effettive di proseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare in ogni branca di studi, per l’avviamento ai diversi mestieri e alle diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi press’a poco eguali per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze fra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali.
d) La potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità, con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario, col minimo di conforto necessario per conservare il senso della dignità umana. La solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica, non dovrà, per ciò, manifestarsi con le forme caritative sempre avvilenti e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori.
e) La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere in balìa della politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici anzitutto del grande capitale.
Eccetera (si badi: il resto del Manifesto non è meno interessante, specie riguardo l’Italia). Insomma, un riformismo illuminato, che però difetta di realismo politico (rivendica illusoriamente la nozione di “rivoluzione”, anche se, viceversa, coglie il tema della critica all’organizzazione settaria dove domina solo l’elemento operaio fedele al partito) e sottovaluta la potenza delle forze totalitarie del capitalismo. Quindi il fatto che a dettare l’agenda del dopoguerra sarebbe stato il più grande paese capitalista, sotto il cui dominio imperialista si troverà costretta l’Europa di allora così come è legata e imbavagliata quella di oggi.
Un imperialismo esplicito sotto il profilo economico ma anche ideologico, forse soprattutto ideologico, talché gli esponenti politici che presiedono l’unione europea si sono dimenticati totalmente del Manifesto di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, semmai si sono presi la briga di leggerlo! È noto che preferiscono Milton Friedman e soci.
Per creare un nuovo sistema economico-sociale è necessario distruggere quello vecchio. Per molto tempo la questione s’è posta relativamente ai rapporti sociali di produzione (e dunque ai rapporti di classe), che non possono rimanere intonsi come pretenderebbero i riformisti più o meno illuminati. Si pensava e credeva – Spinelli e Rossi avevano facilmente ragione nel criticare il punto – che bastasse la socializzazione dei mezzi di produzione e come d’incanto il problema si sarebbe avviato la soluzione.
Abbiamo visto com’è andata a finire nell’Urss. Invece i “compagni” cinesi hanno pensato da ultimo che bastasse coniugare Keynes con Taylor (più il secondo che il primo) per uscire dal tunnel nel quale si erano infilati. A mio modo di vedere si sono dimenticati di leggere qualche pagina marxiana, forse non è stata neppure tradotta in mandarino.
Tuttavia il problema del capitalismo, nelle sue contraddizioni più nefaste, è il problema dell’umanità intera, della sua stessa sopravvivenza. Le élite borghesi, illudendosi e illudendoci, pongono questo problema come fosse una questione green e di tassi di interesse. E finora hanno avuto buon gioco per un semplice motivo: pur tenendo fermo che una formazione economico sociale non si supera mettendola ai voti, tra i contrari e favorevoli, quanti sono coloro che propendono realmente per il superamento del capitalismo?
Il discorso su Ventotene è molto interessante. Mi pare invece che con la Cina si potrebbe essere più generosi, perché con il grande balzo in avanti morivano come mosche, e adesso invece no, anzi. Ciò detto, non vedo molto Keynes in Cina. Ritengo che Keynes sia stato sopravvalutato, e che in ogni caso le sue teorie possano essere valide al massimo per l'Inghilterra degli anni fra le due guerre. Se posso autocitarmi, https://erasmodue.wordpress.com/2019/03/21/economics-for-dummies-3/
RispondiEliminaErnesto Rossi, prego. Ha tutto un altro suono...
RispondiEliminaanonimo (CdB)
M'è scappato un ettore. Grazie
EliminaAggiungo. Ernesto è un mio idolo. Altiero ha la mia stima, ma se ci fosse la macchina del tempo gli regalerei una cassa di preservativi.
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