Lo stadio raggiunto dall’economia capitalistica ci mostra oggi in modo molto evidente ciò che stava sempre più diventando realtà già da molto tempo, ossia che anche la classe dei capitalisti è diventata superflua per il funzionamento della società. È sufficiente a tale riguardo prendere nota di che cosa fu lo sloanismo già un secolo fa.
Pertanto, è pacifico che l’impresa non è più una creatura del singolo capitalista, un’estensione della sua individualità: l’organizzazione dell’impresa capitalistica sottomette la singola individualità, mette fine all’imprenditore, che lascia il posto al management. È sull’esigenza di strutture formali oggettive, che si conservino indipendentemente dalle vicende personali dei proprietari di una società, che s’impone la figura del manager.
Marx l’aveva capito molto prima di chiunque altro (Il Capitale, III, V, 23), malgrado ciò che ne potesse poi pensare Simone Weil. Lo sviluppo delle società per azioni segna un mutamento strutturale del sistema capitalistico, da economia concorrenziale a economia monopolistica, e segnano “l’annullamento dell’industria privata capitalistica sulla base del sistema capitalistico stesso, e distruggono l’industria privata a misura che esse si ingrandiscono e invadono nuove sfere di produzione” (ibidem, V, 27).
Ancora: “Il capitalista industriale è, rispetto al capitalista monetario, un lavoratore, ma un lavoratore in quanto capitalista, ossia in quanto sfruttatore di lavoro altrui. Il salario che egli domanda e riceve per questo lavoro corrisponde esattamente alla quantità di lavoro altrui che egli si è appropriato e dipende direttamente [...] dal grado di sfruttamento di questo lavoro”.
Se sono i manager a dirigere, e però sempre meno sono loro a decidere la strategia delle società alle quali sono pro-tempore messi a capo, a prescindere da come percepiscono se stessi e il loro ruolo effettivo. Il manager di norma non possiede capitale sotto alcun titolo (altrettanto assurda è la frase fatta che fa derivare il capitale dal risparmio, poiché ciò che lo speculatore pretende è proprio che altri risparmino per lui), esercita tutte le funzioni effettive che competono al capitalista operante in quanto tale, ma rimane unicamente un funzionario del capitale stesso (banche, gruppi e fondi finanziari, ecc.).
Le forze produttive sono sociali, il potere decisionale è del capitale, che è impersonale e va per conto suo seguendo logiche e leggi proprie, ossia quelle del profitto, dell’accumulazione. Scrive Marx: “Nel sistema azionario è già presente il contrasto con la vecchia forma nella quale i mezzi di produzione sociale appaiono come proprietà individuale; ma la trasformazione in azioni rimane ancora chiusa entro le barriere capitalistiche; in luogo di annullare il contrasto fra il carattere sociale e il carattere privato della ricchezza, essa non fa che darle una nuova forma” (*).
Ciò vale anche in quei casi d’eccezione nei quali il capitalista industriale e quello monetario siano incarnati dalle stesse persone. Siedono sul trono fintantoché riscuotono il favore della corte. Se ne sono visti di re e reucci cadere e farsi male.
La vicenda della FIAT è una chiara dimostrazione che a decidere la strategia delle società non sono i vecchi capitalisti, ma nemmeno i manager, non se la loro strategia è svincolata e contraria alla logica del movimento reale del capitale. Il progetto di vettura mondiale (world car), che si articolava nei poli produttivi in Brasile, Argentina, Polonia e Turchia, fu messo in crisi dall’implosione del MERCOSUR (Mercado Común del Sur) e da ripetute crisi finanziarie in diversi Paesi. Viceversa, l’alleanza con Ford prima e poi la fusione con PSA, vanno nella direzione della logica della concentrazione e centralizzazione (sono due concetti omologhi ma diversi) dei capitali, ossia di una strategia di accordi mirati volti al raggiungimento di sinergie produttive, di economie di scala, di forte e diversificata presenza sui mercati.
Una figura come quella di Sergio Marchionne prima, di un Carlos Tavares ora, che altro significato assumono se non quella di funzionari del capitale? Figure intercambiabili, per scopi transeunti. Se i manager non s’attengano alle dinamiche intrinseche, immanenti, al processo di sviluppo del capitalismo, sarebbero subito tagliati fuori.
Posto che lo stadio attuale del capitalismo costituisce l’espressione storicamente più avanzata dell’organizzazione della produzione, è necessario porre mente al fatto che poiché scienza, tecnica e management sono forze produttive, mai come ora esse sono state subordinate ai rapporti di produzione vigenti.
L’esempio dell’automobile è calzante anche per altri aspetti. L’auto può essere venduta come espressione della personalità dell’acquirente, come simbolo del suo status sociale, non solo come un mezzo utile per il trasporto. Che differenza di utilità c’è tra una Ferrari rispetto a una Golf? Che cosa è utile, che cosa è superfluo? Nella produzione di merci ciò che conta è il prezzo; il vero limite è il reddito disponibile, quello necessario per acquistare il prodotto desiderato. Se non c’è la disponibilità immediata di denaro, interviene il credito al consumo: si afferma il concetto di Marx di feticismo della merce. Il metaverso, cosiddetto, non è altro che la sublimazione ultima di quel feticismo.
(*) Ecco perché ritengo stucchevole insistere a ogni piè sospinto sull’enorme sproporzione di ricchezza tra i pochi multimiliardari e tutti gli altri, così come sulla relativa redistribuzione che deriverebbe da una più equa (?) tassazione della ricchezza. Tutte cose sacrosante in linea di principio, che pure vanno dette poiché si tratta del più colossale sistema di gioco e d’imbroglio di coloro che sfruttano la ricchezza sociale. Tuttavia, alla fine, tale denuncia espressa sul piano etico, morale, sociologico, non intacca l’essenza e il riprodursi del sistema, degli stessi rapporti sociali fondamentali.