lunedì 31 gennaio 2022

Il Corsaro

 

«La prima volta in cui sono entrato in una fabbrica avevo 13 anni. Era il 1961».

Lavoratore precoce, sfruttamento del lavoro minorile?

Non proprio. Il ragazzo, di sangue fortunato, entrò in fabbrica assieme al padre Silvio, che lo portò a visitare un impianto a Cividate al Piano, vicino a Bergamo.

Il pargolo frequentò l’Istituto Zaccaria, dei Barnabiti, dalle elementari al liceo classico (percorso blindato). In casa sua l’educazione era “molto severa, ma anche divertente”. Si parlava in francese: noblesse oblige. Poi di pragmatica venne la Bocconi, quindi assunse responsabilità manageriali di primo piano, per merito intrinseco naturalmente.

Oggi gode la sua villa di campagna del Quattrocento, dove “fanciulle in fiore e donne mature adornano le pareti, con una grazia e dei colori chiari che sembrano giocare con la luce delle finestre”. Chissà se tra quei ritratti c’è anche quello di un’ex modella tunisina, “colei che dà luce”, per la quale ebbe il classico coup de foudre e che poi acquisì come terza moglie.

La bella tunisina, naturalizzata italiana, a suo tempo sostenne il comitato Emma for President per la Bonino al Quirinale: le elezioni presidenziali costituiscono il climax della joie de vivre che il mondo intero invidia.

Prima ancora, il Nostro aveva sposato una giornalista, nota per aver pubblicato un manuale che sperimentò in prima persona: “Come sposare un miliardario”. Durò nove mesi, il tempo di maturare la liquidazione. Poi l’ex studente dei Barnabiti sposò Cecilia, “dalle gambe lunghe e nervose” , figlia di un noto industriale (per cui gli affibbiarono il soprannome “il genero”). Prima di incontrare la modella tunisina si consolerà con una fredda bellezza alto borghese di nome Barbara e dai cognomi illustri e cospicui.

Le belle donne per lui sono tutt’ora un lusso necessario, forse perciò piaceva a Gianni Agnelli, cosa che non depone certo a favore di chicchessia. Oggi, settantaquattro anni appena compiuti e portati non benissimo, conserva una quota di minoranza della società che ha messo in agili mani cinesi, a suo tempo sfilata al suocero Leopoldo Pirelli, assai indebitato per un colpo maldestro in casa altrui.

L’affascinante ex barnabita, con appena 155 milioni, s’impadronì del controllo della Telecom, riuscendo così a gestire 55,4 miliardi altrui, tanto da far scrivere a Scalfari nel 2006: “Il punto debole, anzi debolissimo e patologico, non sta dentro Telecom Italia ma a monte, nella lunga catena societaria al vertice della quale troviamo la finanziaria personale di Tronchetti Provera il quale, da quel puntino lontano lontano, controlla la più grande azienda italiana con soltanto l’1 per cento di capitale, attraverso Pirelli e Olimpia. [...] Si configura in tal modo una geometria non nuova nel capitalismo italiano, spinta in questo caso al suo limite estremo: il potere di comando che dal remoto puntino Tronchetti si irradia verso la base aziendale incatenandone le decisioni agli interessi dell’azionista di riferimento e il flusso di risorse finanziarie che quell’azionista confisca a proprio vantaggio depauperando l’azienda che le produce”.

Mi diverte e rilassa leggere sul Sole 24 Ore la rubrica domenicale “A tavola con”, firmata dal solito Paolo Bricco, un poeta prestato al giornalismo economico, che nella puntata di ieri intervista Tronchetti, ex presidente del giornale che gli paga lo stipendio (tout se tient, disse il boia a Luigi XVI). Non a caso delle notiziuole economico-matrimoniali qui sopra riportate non si trova cenno nell’articolo.

Veniamo al pranzetto tra il poeta/giornalista e il malinconico vecchio lupo di mare (ma anche pirata) che lo ospita: dopo il “risotto alla parmigiana, con gocce di aceto balsamico”, immagino servito in guanti bianchi e sussiego da domestici in livrea, è la volta di “arrosto, prosciutto crudo e mozzarella fior di latte”. Di sicuro il padrone di casa e l’ospite non sono vegetariani, nemmeno musulmani e neanche ebrei osservati: sembra un menù dalla rosticceria Tathagata.

Molte verdure di tipologia non specificata. Ahimè, si sottovaluta l’importanza dei contorni. Non sono indicati i vini, che a mio non modesto avviso sarebbe stata la nota di maggior interesse di tutto l’articolo. Dessert: “kiwi e mela tagliati a fette”. Nessun dolce, manco dei cantucci o biscotti tratti dalla cambusa. Sui Navigli, a cercare bene, si mangia meglio di così.

L’ospite, di solito molto riservato, alla fine della paginata ci delizia con una considerazione sorprendente, forse retaggio degli studi classici fruiti presso i barnabiti: “La ruota è l’unico punto di contatto fra la macchina e il terreno”. Forse avrebbe dovuto usare il plurale, comunque sia non si riferiva a quella di scorta.

3 commenti:

  1. Sarebbe stato davvero yeah avere Emma Bonino for President. Ma qui, nel profondo sud dell'Europa, non hanno voluto neanche Rosi Bindi

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  2. Esiste una rubrica " a tavola con"???
    Mi chiedo come scelgano da chi andare a mangiare.
    Faranno delle lotterie in redazione?

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