Viviamo un momento debole della storia, non penso vi siano dubbi. In questi due anni si sono fatti passi decisivi, ora abbiamo la certezza che il mondo non tornerà più come prima, anche se dovessero essere ristabilite certe apparenze. Ci siamo abituati a una condizione totalizzante nella quale i singoli individui possono restarne “fuori” solo nell’idea, non nell’insieme delle pratiche concrete in cui si svolge la loro vita quotidiana.
Continue tensioni create ad arte fertilizzano la paura, che ci schiaccia. È un fatto che dire certe cose pubblicamente, o anche non aderire a una subdola imposizione, costa molto, anche il lavoro, che sembrava in astratto un diritto intangibile.
Laddove l’ipnosi non catturi adeguatamente le coscienze, disponendole in condizione gregaria e ripetitiva, subentra la minaccia, la sanzione, la repressione graduata secondo bisogno. Siamo arrivati al punto che la società tortura non appena non ci conformiamo a essa. Imposizioni abnormi sono fatte passare e al massimo si reagisce con un’alzata di sopracciglio. Insomma, noto che questa condizione di conformismo forzato non pesa su tutti, tantomeno su molte persone che si credono di sinistra, qualunque cosa ormai voglia dire tale parola.
Che si tratti del passaggio di un asteroide, la presenza di un vulcano sottomarino, fino alla concitata elezione del presidente della repubblica (sarebbe auspicabile che tutti i candidati espliciti e impliciti si ritirassero), in tutto ciò che è comunicato c’è la traccia del pericolo e dell’emergenza permanente.
Tutto ci parla di catastrofi e di malattie incombenti, di morte imminente. Almeno due film su tre hanno per oggetto situazioni di questo tipo. Nell’ultimo film con Di Caprio, Don't Look Up, siamo a un passo dall’estinzione causa impatto con cometa, invece nel romanzo di Michel Houellebecq, Anéantir, di cui si occupa anche la nostra libera stampa, i “personaggi sono disorientati, come noi, e cercano tutti una quiete sempre più difficile da raggiungere”.
Paul Raison, protagonista principale di Annientare, entra in ospedale per sottoporsi alla chemioterapia, pesante e senza troppe speranze. Ha un cancro alla mascella e alla lingua. Un chirurgo gli ha consigliato di leggere Le Lambeau, di Philippe Lançon. E di che cosa parla a sua volta questo libro? Di terrorismo islamico e della strage alla rivista francese di Charlie Hebdo, di cui Lançon è fortunosamente tra i sopravvissuti, sebbene ferito.
Anche lo zar Nicola II, prima di essere liquidato dai bolscevichi, lesse un libro, per la prima volta Guerra e pace. Anche in quel romanzo è presente la tragedia e la morte, ma vuoi mettere, per esempio, la differenza tra Borodino e Bataclan? In ospedale, Paul Raison infine decide di leggere per intero le avventure di Sherlock Holmes. Funziona, quella lettura gli permette di dimenticare quello che sta passando.
Leggendo le avventure di Sherlock Holmes, Paul si appassiona «alle inferenze del geniale detective e agli oscuri schemi del professor Moriarty: cos’altro se non un libro avrebbe potuto produrre un simile effetto? [...] era imperativo avere un’opera di finzione; altre vite oltre alla sua dovevano essere raccontate. E, in fondo, si diceva, quelle altre vite non avevano nemmeno bisogno di essere accattivanti [...]; dovevano solo essere diverse».
Ecco, torniamo ai libri, a Sherlock Holmes, Georges Simenon e se possibile a Guerra e pace, ai classici. Proprio ieri, sull’ultimo numero di Slavia, stavo leggendo una lettera inedita che Lev Tolstoj scrisse al poeta Afanasij Afanas'evič Fet-Šenšin:
«Voi avete detto che Schopenhauer ha scritto di argomenti filosofici alla bell’e meglio. Ma come? È tutto un mondo espresso in modo bello e incredibilmente chiaro. [...] Leggendolo, trovo incredibile che il suo nome, chissà come, sia rimasto sconosciuto. C’è una sola spiegazione, una cosa che lui ripete così spesso: che il mondo è fatto quasi solo di idioti».
mah, mi sembri esagerata.
RispondiEliminaLa realtà è che la campagna vaccinale è andata malissimo, ma non si può dire.
Esiste, stavolta, una concreta possibilità che al ballottaggio francese vinca il candidato di destra. Magari sarebbe un male, ma per 24 ore sarebbe anche un grande divertimento: le facce di quelli a Bruxelles. E a Roma.
RispondiEliminaPersonalmente ho già sostenuto che viviamo un'emergenza biologica ma non mi aspetto che da ciò discenda l'unanimismo sulle misure da prendere. Sono contrario dunque a questo clima da guerra di religione.
RispondiEliminaForse, però, l'isteria permanente è un tratto caratteristico dei regimi democratici (credo lo avesse osservato già Tocqueville nel suo celebre resoconto). La peculiarità italiana è che l'isteria si presenta in assenza di democrazia, giustifica lo stato di eccezione ed anzi si spaccia l'isteria come sintomo di una democrazia vitale.
(Peppe)
lo stato di eccezione, una specie di transumanesimo, nel senso cattivo della parola, che promette di occuparsi della salute e di salvare il pianeta, in realtà il perseguimento dell'accumulazione neoliberista
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