lunedì 27 luglio 2015

In linea di principio


“In linea di principio, un facchino differisce da un filosofo meno che un mastino da un levriero. È la divisione del lavoro che ha creato l’abisso tra l’uno e l’altro”.

*

In che cosa consiste essere uno schiavo? Per uno schiavo moderno significa vivere nella costante paura di perdere i propri mezzi di sostentamento. Molti schiavi questa questione non se la pongono neppure, tale è la loro fiducia di riuscire, in un modo o nell’altro, a sbarcare il lunario. E a costoro sembra che questo sia vivere. Il dinamismo dei venditori d’illusioni funge da supporto.

Che cosa dà il diritto a un padrone di liberarsi del suo schiavo e dunque di togliergli i mezzi di sostentamento? La legge. Tuttavia lo Stato, attualmente, per mantenere disponibile un certo numero di schiavi, oltre che per prevenire disordini sociali, garantisce per breve tempo un sussidio di stretta sussistenza, in attesa che lo schiavo trovi un nuovo contratto (posto che lo trovi).



Da questo punto di vista la condizione degli schiavi moderni è anche peggiore di quella antica. Il padrone moderno non ha più la necessità di mantenere il proprio schiavo per non rischiare di perdere il capitale che ha investito nell’acquistarlo. Infatti, lo schiavo moderno è formalmente libero, e tuttavia è il suo stato di bisogno a vincolarlo alla sua condizione di dipendenza.

Nel momento in cui sul piano generale venisse a mancare tale stato di bisogno, la libertà fittizia dello schiavo si trasformerebbe in libertà effettiva. In tal caso i padroni non troverebbero più sul mercato schiavi disponibili a lavorare per loro, e ciò vedrebbe attaccate le inesorabili procedure del profitto e messo in crisi l’assetto sociale classista. Sul piano sociale, e cioè del welfare, le politiche liberiste hanno molto a che fare con questo, naturalmente adducendo più “oggettivi” motivi (*).

Una politica sociale che limitasse o eliminasse tale stato di bisogno, e dunque laddove il lavoro fosse regolato a un minimo e non più forzato (**), sarebbe contraria agli interessi dei padroni del mondo, i quali hanno tutto l’interesse a perpetuare tale stato di necessità e bisogno, e anzi ad accrescerlo, e di disinteressarsi del progresso sociale delle classi subalterne se non nella misura in cui il mercato del consumo è in grado di garantire al capitale la trasformazione del sudore in profitto.

Un’economia di sfruttamento del lavoro ha prodotto uno sviluppo senza precedenti delle tecniche per risparmiare lavoro. Si tratta di un paradosso solo apparente che trova la sua causa nel modo in cui procede l’accumulazione capitalistica. La nostra epoca si situa storicamente al punto in cui i rapporti sociali di produzione (cioè i rapporti di proprietà) entrano, come mai prima d’ora nel capitalismo, in conflitto con l’ulteriore sviluppo delle forze produttive.

Questo fatto è all’origine delle grandi mutazioni in atto, di ogni tipo, sociali, politiche e antropologiche, e ciò non annuncia l’umanizzazione del capitalismo, cosa di per sé impossibile, ma il suo necessario superamento e l’emergere di un mondo dove l’economia sarà finalmente a misura dell’umano, in cui “i produttori associati regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, portandolo sotto il loro comune controllo invece di essere da esso dominati come forza cieca”.

(*) È un fatto empiricamente constatabile che nella società capitalistica – come del resto in precedenti formazioni economico-sociali – soltanto una classe disponga del sovrappiù sociale. I capitalisti, in base al diritto di proprietà che vantano sui mezzi di produzione, sancito dalle leggi che i “nostri” rappresentanti hanno approvato, e sulla base dei contratti di lavoro vigenti (sempre approvati dai “nostri” rappresentanti liberamente eletti), si appropriano dell’intero plusprodotto. È questa una circostanza storica che non ha carattere “ontologico”, cioè proprio degli individui umani, né poggia sulla natura del processo lavorativo in generale, che potrebbe essere, al grado di sviluppo cui siamo giunti, regolato ben altrimenti.

(**) Il capitale tende già a un “minimo”, da sempre, ma non della giornata lavorativa del singolo operaio, bensì nell’impiego complessivo del capitale variabile in rapporto al capitale costante. La diminuzione relativa della manodopera in rapporto al capitale investito come impianti e materie prime, si verifica parallelamente allo sviluppo della forza produttiva e ciò ha come diretta conseguenza, a un determinato stadio, la disoccupazione di massa. I mezzi di produzione, invece di essere mezzi per una continua estensione del processo vitale per la società dei produttori, diventano nella produzione capitalistica esclusivo scopo per accrescere la valorizzazione del capitale.





5 commenti:

  1. In linea di principio leggerti è indispensabile.

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  2. Concordo con Luca,anche perche' di questi tempi,peana anticapitalisti si odono da Destra,dalle Parrocchie ect,ect. .
    Sembrano sovente convergere,ad una analisi superficiale,ma sono molto diversi ,sia a partire dalle premesse che per le eventuali conclusioni.
    Si respira un'aria antiUE,come se un eventuale ritorno agli Stati sovrani,disegnasse di per se',un ritorno ad un antico benessere (si fa per dire).
    L'Ue non e'la fonte del "male" di per se',come il dipendente Marchionne non e'il demonio,tanto per fare un paragone.
    Il rischio di confusione e'notevole ,il populismo infatti e'facile da assaporare da masse di intronati croniche..
    Sarebbe bene magari approfondire questi aspetti e queste sostanziali differenza.
    Karl Polany,per esempio ,che non era unmarxista,ma per una economia pianificata pero',affermo'un tempo che Nazismoe fascismo furono risposte economiche per una economia capitalista che dopo il 29 si rifiutava di rifunzionare secondo i vecchi parametri..
    Pensiamoci..
    caino

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  3. http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Fmi-disoccupazione-Italia-alta-20-anni-per-tornare-a-situazione-pre-crisi-7c84def1-8c59-4b24-b027-72213f5af11e.htmlAvviso per gli intronati,sara'anche una cattivona,,ma dice cose..

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  4. piuttosto che verso una generalizzata diminuzione dell'orario di lavoro propenderei per un reddito di cittadinanza incondizionato.

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