lunedì 16 febbraio 2015




Pochi giorni or sono un ramo del parlamento italiano ha approvato il cosiddetto reato di “negazionismo” (*), prevedendo la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 10.000 euro per chiunque ponga in essere attività di apologia, negazione, minimizzazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, così come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232, eccetera.

La cosa interessa a pochi, anzi, quasi a nessuno. Eppure circa un mese fa eravamo tutti per la libertà d’espressione, sotto l’impressione dell’orrore per i fatti di Parigi e non meno sotto la pressione della spettacolarizzazione mediatica.




A motivo del provvedimento legislativo viene rilevato che esso fa seguito alla decisione n. 913/2008 del Consiglio di Giustizia e affari interni dell'Unione europea, nel quale è ribadito che razzismo e xenofobia costituiscono violazioni dirette dei principi di libertà, di democrazia e di rispetto dei diritti dell'uomo, spingendo i singoli Stati a prodursi in una nuova azione legislativa che venga incontro alla necessità di uniformare le disposizioni regolamentari degli Stati membri e favorire una più efficace cooperazione giudiziaria di contrasto ai fenomeni in questione.

E questo che cosa c’entra con la negazione o la minimizzazione di un fatto storico, ossia con un’opinione? Sì, vogliono sanzionare penalmente le opinioni, come del resto già avviene per il reato di vilipendio o di offesa alle istituzioni. Scherza con Maometto ma lascia stare le divinità residenti nei palazzi romani. 

Che cosa si deve intendere per negazione e minimizzazione? In quali termini viene a concretizzarsi una condotta consistente nella negazione o minimizzazione di un fatto storico? Questione che la commissione s’è posta, tanto e vero che nelle carte si può leggere:

Il testo proposto all'Assemblea intende rispondere alle perplessità e criticità emerse nel dibattito e confermate nel corso delle audizioni svolte per l'istruttoria legislativa, in merito al rischio di introdurre un mero reato di opinione e alla possibile restrizione degli ambiti di ricerca storica.

E però sembra non se ne sia fatto nulla di tale scrupolo.

Forse vale la pena ricordare, quale paradosso, che il 9 dicembre 1948 l’Assemblea generale dell’ONU adottava una convenzione che stabiliva la punizione del genocidio commesso sia in tempo di guerra sia nei periodi di pace e qualifica come genocidio: l’uccisione di membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; le lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; la sottomissione del gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la distruzione fisica, totale o parziale; il trasferimento forzato di minori, eccetera. Tale definizione è stata accolta nell’art. 6 dello Statuto della Corte penale internazionale firmato a Roma il 17 luglio 1998.

Sotto l’amministrazione Eisenhower gli Usa si opposero alla risoluzione dell’ONU contro il traffico degli schiavi, tanto per dire.

E se a qualcuno venisse in mente di negare o minimizzare il genocidio armeno da parte dei turchi (di lì pare prenda uso parlare di “genocidio”), che facciamo, lo sbattiamo in galera per tre anni? E tutto ciò approvato, tra l’altro, nell’àmbito di un provvedimento complessivo che depenalizza un’ampia specie di reati.

Adam Tooze, nel suo monumentale lavoro, The Wages of Destruction. The Making and Breaking of the Nazi Economy, scrive, a proposito del programma nazista per l’Europa orientale (Generalplan Ost) che si trattò di “una visione straordinaria di colonizzazione agricola e industriale. Nel piano di affamamento concordato dai ministeri nella primavera del 1941, il calcolo più cinicamente pragmatico delle forniture alimentari si combinò con assunti di gerarchia razziale in un piano di sterminio che faceva impallidire persino il programma concordato a Wannsee”.

Se estrapolo, minimizzo la Shoah? E se inquadro ciò che avvenne nel quadro dello sforzo bellico tedesco e dunque con il sinistro sistema di potere organizzato intorno alle questioni della manodopera e del cibo, dei milioni di operai “aggiuntivi” mobilitati per l’industria e la rottura dell’equilibrio alimentare europeo, presto il fianco a teorie minimaliste per quanto riguarda la sorte degli ebrei?

Non dovrebbe essere prerogativa del dibattito storico il compito di contrastare le opinioni?

(*) Tale disegno di legge modifica l’articolo 3 della legge n. 654 del 1975, come modificato dall'articolo 1 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.





2 commenti:

  1. la cosiddetta " liberta' di espressione" e' appunto ben sintetizzata da vecchio proverbio " scherza coi fanti ma lascia stare i santi"

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    1. Io credo, purtroppo che l'istituzione di questo nuovo "reato" sia solo un altro tassello che si aggiunge con il beneplacito del popolino che si accontenta di Sanremo. Non c'è neanche più bisogno di chiedersi dove andremo a finire perché ci siamo già.

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