Non è importante quanti libri si
siano letti, ma quali e quanto se n’è fatto tesoro. Le librerie negli ultimi
tempi, com’era inevitabile dato il centenario, propongono diversi titoli che
trattano del primo conflitto mondiale. Si tratta di saggi poco utili e che non
aggiungono nulla di nuovo. Forse è meglio rileggere qualche vecchio libro, tra
quelli tradotti, come quello di Fischer Fritz, Assalto al potere mondiale. E però se si vuole andare su una
lettura meno impegnativa, dai vecchi scaffali c’è di che scegliere. Per esempio
Barbara W. Tuchman (1912-1989), una storica americana con il vizio della
divulgazione, la quale ha scritto un libro che merita di essere letto: I cannoni d’agosto.
La Tuchman racconta gli antefatti
che portarono alla prima guerra mondiale, soprattutto gli errori di calcolo, e
gli avvenimenti che seguirono sui campi di battaglia. Certo, non possiamo
accontentarci della descrizione di tali motivazioni, ma è comunque una lettura
d’ambientazione molto valida, tanto più che il libro è scritto bene. Fu edito
nel 1962, ossia nell’anno della crisi di Cuba. Dai cannoni d’agosto ai missili
d’ottobre.
I più giovani non se lo ricordano quel frangente dell’autunno 1962, ma quelli un po’ più anziani forse sì, se non altro per i volti pensierosi e preoccupati degli adulti, i titoloni sui giornali, l’orecchio teso alla radio e l’attesa per il telegiornale. Si rischiò davvero la catastrofe nucleare, anche in tal caso per un errore di calcolo.
I più giovani non se lo ricordano quel frangente dell’autunno 1962, ma quelli un po’ più anziani forse sì, se non altro per i volti pensierosi e preoccupati degli adulti, i titoloni sui giornali, l’orecchio teso alla radio e l’attesa per il telegiornale. Si rischiò davvero la catastrofe nucleare, anche in tal caso per un errore di calcolo.
Non voglio qui rievocare nel
dettaglio quei fatti così lontani e purtroppo dimenticati (o per fortuna?), ma tentare di rintracciare,
brevemente, delle analogie tra la crisi di Cuba e quella attuale che vede al
centro della scena l’Ucraina. Più che analogie tra i due fatti direi che si
tratta in realtà di rilevarne le diversità,
tuttavia molto istruttive credo per comprendere quanto sia altrettanto
pericolosa la situazione di crisi che si va delineando nella nostra epoca.
La crisi dei missili di Cuba aveva delle caratteristiche che, come dirò, la situazione in Ucraina non presenta. Per
prima cosa la contesa riguardava una zona dove gli Usa godevano di una netta
superiorità negli armamenti convenzionali; non minacciava direttamente la
sicurezza nazionale dell’Unione sovietica; a provocare la crisi erano stati gli
americani l’anno prima con il tentativo d’invasione di Cuba, ma erano i russi in
quel momento a violare le norme principali di coesistenza installando i missili, e dunque non avrebbero potuto
difendere in modo plausibile quella causa davanti all’opinione pubblica
mondiale.
Kennedy disse a Gromiko [*],
proprio in quei giorni d’ottobre, che gli Usa desideravano per Cuba un governo
diverso. Fu facile per il ministro degli esteri sovietico ribattere: con quale
diritto gli Usa vogliono imporre un governo diverso ai cubani? C’è peraltro da
osservare che la violazione delle norme principali di coesistenza era un dato
di fatto per gli Usa, i quali avevano basi di missili nucleari in molti paesi
confinati con quelli del Patto di Varsavia e con la Russia stessa (Turchia),
mentre a quel momento l’Urss non aveva basi di lancio al di fuori dei propri
confini nazionali. Come solito, in queste questioni gli Usa agli strumenti
pacifici della diplomazia preferivano la “diplomazia della crisi”.
Ad ogni modo tali caratteristiche
della crisi favorirono la soluzione pacifica della crisi stessa, anche perché
Kennedy e McNamara (segretario difesa Usa) non diedero retta ai soliti
Stranamore del Pentagono. E anzi fu proprio McNamara, in seguito vituperato per
le vicende vietnamite, ad avere l’idea del blocco navale in alternativa
all’invasione di Cuba, e fu merito di Kennedy, uomo pragmatico e di buon senso,
quello di sostenere con decisione la proposta di blocco navale.
Kennedy in seguito convenne: “Se
avessimo invaso Cuba … sono sicuro che i sovietici avrebbero agito. Avrebbero
dovuto farlo, come noi nelle stesse condizioni. Ogni grande potenza ha degli
obblighi inesorabili cui non può sottrarsi.” [**]
Il 27 ottobre il Cremlino inviò a
Washington un messaggio ufficiale in cui venivano formulate delle proposte di
compromesso: i russi ritiravano i
missili e gli Usa riconoscevano l’inviolabilità di Cuba. Le navi con i
missili intermedi tornarono indietro, le rampe con quelli a medio raggio furono
smantellate e fu evitata la guerra nucleare stante dunque la ragionevolezza e
la buona predisposizione a trattare di Kennedy e Kruscev, il quale tre mesi
dopo silurò il maresciallo M.V. Zacharov, capo di stato maggiore dell’esercito.
[***]
Molto meno noto che nella vicenda
dei missili ebbe un ruolo anche l’Italia, più precisamente alcuni italiani
allocati a Istanbul, e delle foto scattate al passaggio di navi russe ….. Poi
vennero i sorvoli degli U2 su Cuba.
In conclusione, vediamo come la
crisi Ucraina presenti delle caratteristiche diametralmente opposte a quella
cubana, e, all’opposto, per nulla favorevoli a una soluzione pacifica della
crisi. Lì è minacciata la sicurezza nazionale russa; le forze convenzionali
russe sono preponderanti; vi è stata una palese violazione delle norme
principali di coesistenza (tranne che per i media occidentali, ovviamente);
sono in atto dei combattimenti. E, fatto non trascurabile, è cambiata la
strategia geopolitica e la qualità delle élite occidentali e orientali odierne
è assai scadente. Oggi invece di grandi leader carismatici d'un tempo abbiamo dei banchieri, e non conosco un solo banchiere che sia carismatico e abbia un cuore.
[*] Andrej Gromiko, Memorie, Rizzoli, p.182.
[**] Citato da A. Schlesinger, I mille giorni di JFK alla Casa Bianca,
Rizzoli, p. 819.
[***] «Fu solo dopo la crisi di Cuba che Kruscev si rese definitivamente
conto dell’esistenza di un obiettivo cui tutti gli altri dovevano essere sacrificati,
e questo era la pace, che doveva essere la salvaguardata prima di tutto per la
salvezza dell’Unione Sovietica, e quindi per quella del mondo intero […]. Erano già alcuni anni, a dire il vero, che
[Kruscev] desiderava la pace più d’ogni altra cosa, ma fino ad allora non era
stato capace di accettarne per intero le conseguenze. I razzi a Cuba
costituirono il suo ultimo tentativo di ribellarsi al suo destino (Edward
Crankshaw, Kruscev, Rizzoli, p. 354).»
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