Pochi giorni or sono un ramo del
parlamento italiano ha approvato il cosiddetto reato di “negazionismo” (*),
prevedendo la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 10.000 euro per
chiunque ponga in essere attività di apologia, negazione, minimizzazione dei
crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, così
come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale
internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232,
eccetera.
La cosa interessa a pochi, anzi, quasi a nessuno. Eppure circa un mese fa eravamo tutti per la libertà d’espressione, sotto l’impressione dell’orrore per i fatti di Parigi e non meno sotto la pressione della spettacolarizzazione mediatica.
A motivo del provvedimento
legislativo viene rilevato che esso fa seguito alla decisione n. 913/2008 del
Consiglio di Giustizia e affari interni dell'Unione europea, nel quale è
ribadito che razzismo e xenofobia costituiscono violazioni dirette dei principi
di libertà, di democrazia e di rispetto dei diritti dell'uomo, spingendo i
singoli Stati a prodursi in una nuova azione legislativa che venga incontro
alla necessità di uniformare le disposizioni regolamentari degli Stati membri e
favorire una più efficace cooperazione giudiziaria di contrasto ai fenomeni in
questione.
E questo che cosa c’entra con la
negazione o la minimizzazione di un fatto storico, ossia con un’opinione? Sì, vogliono sanzionare penalmente le opinioni, come del resto già avviene per il reato di vilipendio o di offesa alle istituzioni. Scherza con Maometto ma lascia stare le divinità residenti nei palazzi romani.
Che cosa si deve intendere per
negazione e minimizzazione? In quali termini viene a concretizzarsi una condotta
consistente nella negazione o minimizzazione di un fatto storico? Questione che
la commissione s’è posta, tanto e vero che nelle carte si può leggere:
Il testo proposto all'Assemblea intende rispondere alle perplessità e
criticità emerse nel dibattito e confermate nel corso delle audizioni svolte
per l'istruttoria legislativa, in merito al rischio di introdurre un mero reato
di opinione e alla possibile restrizione degli ambiti di ricerca storica.
E però sembra non se ne sia fatto
nulla di tale scrupolo.
Forse vale la pena ricordare,
quale paradosso, che il 9 dicembre 1948 l’Assemblea generale dell’ONU adottava
una convenzione che stabiliva la punizione del genocidio commesso sia in tempo
di guerra sia nei periodi di pace e qualifica come genocidio: l’uccisione di
membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; le lesioni gravi
all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; la sottomissione del
gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la distruzione fisica,
totale o parziale; il trasferimento forzato di minori, eccetera. Tale
definizione è stata accolta nell’art. 6 dello Statuto della Corte penale
internazionale firmato a Roma il 17 luglio 1998.
Sotto l’amministrazione Eisenhower
gli Usa si opposero alla risoluzione dell’ONU contro il traffico degli schiavi,
tanto per dire.
E se a qualcuno venisse in mente
di negare o minimizzare il genocidio armeno da parte dei turchi (di lì pare
prenda uso parlare di “genocidio”), che facciamo, lo sbattiamo in galera per
tre anni? E tutto ciò approvato, tra l’altro, nell’àmbito di un provvedimento
complessivo che depenalizza un’ampia specie di reati.
Adam Tooze, nel suo monumentale
lavoro, The Wages of Destruction. The
Making and Breaking of the Nazi Economy, scrive, a proposito del programma
nazista per l’Europa orientale (Generalplan
Ost) che si trattò di “una visione straordinaria di colonizzazione agricola
e industriale. Nel piano di affamamento concordato dai ministeri nella
primavera del 1941, il calcolo più cinicamente pragmatico delle forniture
alimentari si combinò con assunti di gerarchia razziale in un piano di
sterminio che faceva impallidire persino il programma concordato a Wannsee”.
Se estrapolo, minimizzo la Shoah?
E se inquadro ciò che avvenne nel quadro dello sforzo bellico tedesco e dunque
con il sinistro sistema di potere organizzato intorno alle questioni della
manodopera e del cibo, dei milioni di operai “aggiuntivi” mobilitati per
l’industria e la rottura dell’equilibrio alimentare europeo, presto il fianco a
teorie minimaliste per quanto riguarda la sorte degli ebrei?
Non dovrebbe essere prerogativa
del dibattito storico il compito di contrastare le opinioni?
(*) Tale disegno di legge modifica
l’articolo 3 della legge n. 654 del 1975, come modificato dall'articolo 1 del
decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla
legge 25 giugno 1993, n. 205.
la cosiddetta " liberta' di espressione" e' appunto ben sintetizzata da vecchio proverbio " scherza coi fanti ma lascia stare i santi"
RispondiEliminaIo credo, purtroppo che l'istituzione di questo nuovo "reato" sia solo un altro tassello che si aggiunge con il beneplacito del popolino che si accontenta di Sanremo. Non c'è neanche più bisogno di chiedersi dove andremo a finire perché ci siamo già.
Elimina