Sta montando la protesta sociale
in occidente contro le politiche economiche improntate alla cosiddetta
austerità. Il sistema ha dunque la necessità di adeguare la propria strategia. Scopo
primario è prevenire che questi movimenti di protesta si radicalizzino e il
loro pensiero politico imbocchi strade pericolose. Per questo motivo i media
stanno dando più spazio agli specialisti dell’intossicazione ideologica.
Che si tratti di specialisti della
manipolazione è dimostrato dall’approccio con il quale essi affrontano i
problemi della crisi del capitalismo. È il caso esemplare della nota attivista
antimarxista Naomi Klein, oggi ospite nella trasmissione Pane quotidiano su Raitre per pubblicizzare la sua ultima fatica
letteraria. Una rivoluzione ci salverà:
perché il capitalismo non è sostenibile è un titolo molto accattivante poiché
indica nella rivoluzione il mezzo per uscire dalla catastrofe capitalistica.
Naomi Klein non è avversa al
capitalismo, essa è contraria a questo tipo di capitalismo (come peraltro molti
che si dichiarano “anti-capitalisti”, compresi i neonazisti). Le contraddizioni
del modo di produzione capitalistico sono in realtà, per la signora Klein, un
problema “morale”. Testualmente: “Bisogna
che la nostra battaglia si trasformi da economica a morale”.
Klein afferma che “Il problema che
dobbiamo superare equivale, come impegno e dimensioni, a quello per
l’abolizione della schiavitù” (*). Per tale motivo sostiene che “Non è più
sufficiente dire no, non basta rimanere sempre in una posizione di opposizione,
bisogna saper dire anche dei sì”.
Ecco dunque che la crisi del modo
di produzione capitalistico non è più da ricercare nelle sue contraddizioni ma
nella immoralità del saccheggio delle risorse, nell’inquinamento ambientale e nell’iniqua
disparità distributiva. Il nostro atteggiamento deve mutare, non basta dire di
no, dobbiamo invece farci promotori di un “nuovo modo di pensare”. Per esempio:
“ chi inquina deve pagare e i governi dovranno eliminare le sovvenzioni che
oggi danno alle compagnie che estraggono petrolio e gas, così come bisognerebbe
che tassassero di più gli oggetti di lusso e chi li acquista”.
Klein è consapevole di una facile
obiezione, ed ammette di rendersi conto che “non sarà facile perché il
conflitto di interessi tra chi deve tutelare l'ambiente e chi ha vantaggi dalle
trivellazioni è spesso evidente”. Perciò questi problemi vanno “affrontati da una coalizione forte formata da cittadini e
istituzioni”.
Insomma, le solite chiacchiere e
distintivo che servono a distrarre l’attenzione dalle reali contraddizioni del
sistema, come se gli antagonismi sociali derivanti dalle leggi naturali della
produzione capitalistica potessero essere risolti in forza di uno slancio
morale senza peraltro aver cognizione delle dinamiche di quelle stesse leggi.
La crisi della sinistra è proprio
questo: la crisi del pensiero borghese progressista e riformista che vuol
mantenere in piedi il sistema, che si oppone a un effettivo e radicale
cambiamento, che non sa guardare alla discontinuità
qualitativa epocale che si viene a produrre sotto i nostri occhi, d’intendere
il capitalismo nella dialettica
genesi-sviluppo-crisi e dunque il suo superamento sulla base delle tendenze in
esso maturate. La crisi della sinistra è l’aver accettato, come ho scritto
ieri, l’idea mediocre della propria impotenza e, aggiungo oggi, l’aver rinunciato all’idea della
rivoluzione.
(*) È chiaro che solo delle
coscienze passive possono credere che l’abolizione della schiavitù sia dipesa
essenzialmente dal suo impatto moralmente frustrante. Questo richiamo alla
schiavitù della Klein mi ricorda una considerazione pronunciata ad un secolo
dalla sua abolizione da Kennedy nel 1963: “Il
bambino negro, indipendentemente dalle sue capacità, rispetto al bambino bianco
ha statisticamente la metà delle probabilità di portare a termine la scuola
superiore, un terzo delle probabilità di terminare l’università; un quarto
delle probabilità di diventare un professionista, ma probabilità quattro volte
maggiori di trovarsi disoccupato”. Quanto è cambiata la situazione dopo
mezzo secolo?
Nelle elezioni presidenziali del
1960 se soltanto i bianchi fossero andati alle urne Nixon avrebbe avuto il 52 per
cento dei voti, Kennedy non avrebbe potuto vincere nell’Illinois e nel
Michigan, per non parlare del Texas, della South Carolina e della Luisiana. La
sola perdita dei primi due di questi stati sarebbe stata sufficiente per la
sconfitta. Tuttavia in almeno 193 contee meno del 15 per cento dei neri che ne
avevano il diritto poteva iscriversi nei registri elettorali; nel Mississippi
ciò si verificava in 74 delle 82 contee; sui registri elettorali di ben 13
contee del sud non era iscritto nemmeno un nero.
Scrive Arthur Schlesinger che
faceva parte dell’entourage del presidente:
«Kennedy, battendo un pugno sulla scrivania, rispose con veemenza: “Voi
dovete capire il tipo di problemi a cui mi trovo di fronte”. […] Senza dubbio egli voleva tenere sotto controllo
il movimento dei diritti civili, movimento che, se stimolato, avrebbe potuto
sfuggirgli di mano […].
Kennedy sperava che un forte e dichiarato impegno presidenziale nei confronti
dei diritti civili, accompagnato dalla designazione di gente di colore a
incarichi governativi e da una vigorosa azione della Casa Bianca e del ministero
della Giustizia [a capo del quale sedeva il fratello] in difesa dei diritti dei
negri, avrebbero comunque mosso le acque abbastanza perché egli potesse
conservare la fiducia della comunità negra.»
Il numero dei neri che svolgevano
mansioni di grado intermedio nella pubblica amministrazione aumentò del 36.6
per cento dal giugno 1961 al giugno 1963. Ai gradi più alti l’aumento fu
dell’88,2 per cento.
Esiste tutt’ora un baratro tra
l’alta borghesia nera fatta di ricchi assicuratori, banchieri, medici, avvocati
e l’apatica e disperata comunità nera dei quartieri ghetto. I neri benestanti
ora possono trarre vantaggio dalla loro condizione economica e del senso di
colpa della società bianca (almeno negli stati del nord), e accedere alle
università e alle professioni, agli alberghi e ai campi da golf, facendo propri
i valori della società costituita. Ma per i neri poveri vige ancora una segregazione
di fatto (vedi questo post) nei quartieri e nelle scuole, un divario di classe
che diventa macroscopico nelle condizioni di partenza dei giovani e dunque
nelle prospettive di lavoro. I diritti civili hanno ben poco da dire ai neri
disoccupati dei ghetti, ignoranti e senza specializzazioni professionali, senza
tutele, ai giovani minorenni abbandonati e in preda della sfiducia. Una
rivoluzione nera, per essere tale, deve andare oltre la conquista dei diritti
legali.
Torniamo alla Klein. Se esaminiamo
il filmato in cui dice quelle cose sull’abolizione della schiavitù davanti “a
un folto pubblico” all’Ariston di Mantova, possiamo notare un tipo di
atteggiamento da parte dell’uditorio che appare “naturale”, e risponde invece
all’assimilazione di un orientamento ideologico di classe.
E ciò è dato dal fatto che il controllo
esercitato della classe dominante sui codici, sui canali di comunicazione e sulle
modalità di decodificazione ed interpretazione del messaggio, è totale. I
soggetti seguono categorie di pensiero e linguaggi prefabbricati dei quali in
generale non comprendono il fine e la funzione. Essi ritengono altresì che la
loro coscienza sia “spontanea”, libera, ciò che nei fatti non è in alcun modo.
Sta di fatto che dove le rivoluzioni sono avvenute, non è che sia andata granchè bene. Forse il problema non sta nel mezzo, ma nella materia prima cioè l'uomo?
RispondiEliminapartiamo dai fondamentali:
Elimina1) l'uomo non esiste se non come astrazione. esistono gli uomini, ossia la società; gli uomini come prodotto storico di tale società e della loro storia.
2) il cambiamento è già in atto: nella dialettica genesi-sviluppo-crisi; e dunque il superamento è già nelle tendenze che vanno maturando. basta saperle cogliere, guardarle con occhi nuovi.
3) le rivoluzioni finora avvenute non si sono poste un problema fondamentale, né dunque potevano risolverlo, date le condizioni oggettive. oggi siamo in presenza di quelle condizioni che consentono di affrontare anche tale questione fondamentale. quale? l'ho scritto più volte nel blog.
Grazie del post per varie ragioni, a cominciare da quelle relative alla storia americana. Inoltre, grazie perché ero un po' tentato di sbirciare il libro della Naomi K. dato il titolo suggestivo.
RispondiEliminadunque leggere questo blog porta anche dei vantaggi economici. ciao Luca
EliminaVai da Feltrinelli, ti siedi, lo sfogli, lo leggi dove ti serve, lo rimetti al suo posto. Finito.
EliminaUna rivoluzione morale vi sommergera'....al posto di proletari di tutto il mondo unitevi...madonna santa che paura..non ho ancora smesso di ridere adesso..il guaio e'che ridono anche quelli che dovrebbero avere paura di questo associazionismo di enti e di persone "di buona volonta'"...si potrebbero definire?
RispondiEliminaMi sembra un terreno dove il buon Francesco si muove meglio..
Ahh questi laici borghesi 7ntellettuali..gli sparisce lo Stato sotto il sedere..e non sanno piu'che fare che non inventarsi un'etica religiosa spiritualista nuova..si fa per dire nuova..
Ma si ,vogliamoci tutti bene poveri e ricchi uniti nella lotta serrata in nome della morale.
l’aver rinunciato all’idea stessa della rivoluzione li mette tutti più di buon umore. e fanno ciò che fanno senza alcun timore. la pace sociale è già un grande risultato. per loro, ovviamente.
EliminaPotremmo aggiungere tra i fondamentali che le rivoluzioni non sono riuscite a gestire altre condizioni oggettive quali egoismo, invidia e menzogna che purtroppo prescindono dal prodotto storico. La Storia non è certo un fatto angelico, spesse volte l’incazzatura è promossa alla dignità epistemologica.
RispondiEliminaQualcuno ha anche sostenuto che gli uomini non possono essere riuniti per un qualche scopo senza una legge o una regola che li privi della loro volontà: bisogna essere religiosi o soldati.
Dalla colonizzazione dell’inconscio collettivo alla consapevolezza. (Se agli amici ‘de la Manzana’ (*) gli dico che non sono marxisti…. ) Vedremo. L’aspettativa è solo una speranza un po’ arrogante.
Nel frattempo cerchiamo di individuare i nostri esperti in diritto costituzionale, economia politica, perfino filosofia del diritto. E i leader. Vendola non mi da fiducia.
@ caino
[gli sparisce lo Stato sotto il sedere..]
Mah, l’attenzione va posta nell’istante in cui il rinnovamento si avvicina allo scopo in cui si realizza attraverso lo Stato, e non scivoli verso l’automatismo delle vecchie istituzioni e assuma il volto della tradizione. Se ci riferiamo alla Storia…. spesse volte si guadagna sempre sul piano dell’azione a situare l’assoluto nel possibile, non all’inizio ma alla fine del tempo. Si definiscono visioni apocalittiche.
Ma almeno ci volessimo bene nel nome della morale, una spiritualità nuova non serve, l’uomo ama la paura fino alla frenesia.
Bene ‘laici borghesi’; esaminerei con calma e giudizio l’ulteriore ‘intellettuali’ poiché nel passato larga parte delle teorie palingenetiche vennero introdotte da pensatori borghesi pentiti.
Introdurrei una nuova categoria di intellettuali nata con Internet cioè quella dei rivoluzionari da tastiera.
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Naomi Klein è america e questo basta.
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Dicono che l'uomo di sinista combatte in nome di principi che vietano il cinismo. Non è vero.
(*) a L'Havana