L’immagine è quella del palco, il
due di giugno, lì dove stanno i rappresentanti delle istituzioni, a cominciare
dal presidente (*), classe di ferro quella del 1925, poi le pronipoti sorridenti,
i generali. Costo della parata: 2 milioncini di euro, circa 30% in più del 2013. E, lontano, in un'altra città, in un’altra piazza, sotto un altro
cielo, stanno i costituzionalisti e giornalisti famosi a difendere la Carta. I
fascisti (ex, fanno dire agli altri), invece, stanno dappertutto, anche sul
palco presidenziale, improvvisati fotografi. Nonostante le finte epurazioni e
il divieto di ricostruzione del partito, loro ci sono sempre stati.
Manco s’erano raffreddate le
macerie della guerra, e loro, nel 1946, rifondavano il fascismo, chiamandolo
Movimento sociale italiano. Nelle sedi delle istituzioni italiane li trovavi
dappertutto, e non in posizioni defilate. I loro nomi oggi in gran parte non dicono
nulla ai più giovani, promossi o ripetenti che siano, e neanche a molti dei meno
giovani.
Chi si ricorda, per esempio, di
Adriano Tilgher? Non quello di Avanguardia
nazionale, mi riferisco al filosofo, classe 1887, che scriveva su Antieuropa (sì, c’erano gli
antieuropeisti anche allora) con Alberto Savinio e Ruggero Orlando. Tra le
riviste c’era l’Italia Vivente, vi
scrivevano Giorgio Almirante, ma anche Elio Vittorini, Ungaretti e Soffici.
Firme assortite anche in Occidente e
in Mediterraneo, riviste oltranziste
ed espansioniste, con Alvaro, Bottai, Quasimodo, Flaiano, tanto per citare nomi
che oggi possono rievocare qualcosa di alto presso il grosso pubblico.
Dal 1936 s’incominciò a pubblicare
un settimanale letterario, Meridiano di
Roma, diretto dal presidente della confederazione fascista professionisti e
artisti, Cornelio di Marzio. I collaboratori erano tra i più qualificati e pure,
con abile scelta tattica del regime, d’orientamento politico diverso. Non so se
i compensi per quelle fatiche letterarie fossero diversificati a secondo dell’orientamento
politico, fatto sta che vediamo le firme di Concetto Marchesi, Amedeo Bordiga, Giovanni
Papini, Romolo Murri, Mario Missiroli, Alberto Moravia, Ezra Pound, Elsa Morante
e tanti altri. Non parliamo poi di Primato,
rivista del gerarca Bottai, nella quale s’incrociano i nomi più rappresentativi
del dopoguerra letterario, artistico, politico e giornalistico. Non mancava
proprio nessuno, da Gadda a Montanelli, da Piovene a Longanesi, da Guttuso a
Trombadori, da Comisso a Pratolini, ecc. ecc..
S’incominciò presto, nel
dopoguerra, anche a intitolare strade a Italo Balbo, facendo finta d’ignorare
chi fosse stato il quadrumviro del fascismo che aveva assaltato Parma con i
suoi scherani, per dirne una e non ripetere la solita storia di don Minzoni. A
Pomezia c’è una via Giorgio Almirante che s’incrocia con via Salvo d’Acquisto.
Un fucilatore e un fucilato.
È questa la repubblica fondata sul
lavoro (46% di disoccupati tra i giovani, 61% al Sud) e nata dalla lotta partigiana? E gli attuali alfieri di questa
repubblica se ne stanno sul palco con gli (ex?) fascisti, con nonchalance. L’ex capo dell’Msi è stato
pure presidente della camera. E poi ministri, sottosegretari, eccellenze. La Rai
gli fa pure gli sceneggiati agli assassini, come a Galeazzo Ciano, mandante
dell’omicidio dei fratelli Rosselli. Oh, che vergogna, ma chi prova più
vergogna in questo paese?
Scriveva ben oltre mezzo secolo fa
Ruggero Zangrandi: «Non si può non
rilevare la posizione morale di quegli altri che pretesero – e pretendono – d’essere
considerati democratici, liberali, antifascisti da sempre e continuare a dir la
loro, più o meno dalle stesse tribune (con in più la Rai-tv) e allo stesso
pubblico (più i giovani d’oggi [che sarebbero poi i vecchi di oggi]), solo
esprimendo opinioni diverse da quelle di allora – per lo più opposte –, senza
che ci sia stato, non dico un atto di contrizione, ma almeno una chiara,
sentita, umile – il che non guasta – delucidazione sul come e il perché
poterono convertirsi, in molti casi da un giorno all’altro».
Dunque, perché meravigliarsi se
oggi i figli e i nipoti di quella gente (e i cognomi ricorrono spesso) si
comporta allo stesso modo?
Intanto sulla metro, a Torino, sei
giovani fascisti hanno accoltellato un “antagonista” (così lo definisce la
stampa) di 27 anni.
(*) I marò, citati nel suo
discorso dal presidente della repubblica, a me nel nome ricordano altri marò,
quelli della Decima di Borghese. Nomi, simboli e personaggi che ritornano,
anzi, che non se ne sono mai andati. E non mi si venga a raccontare che il nome deriva dai fanti da mar della Serenissima e altre minchiate, con me non attacca.
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