Tutti (o quasi) abbiamo letto Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi, ma pochi
si sono presi la briga di leggerlo bene, soprattutto la parte IV. Il romanzo,
oggi molto citato, non fu accolto bene da una certa intellighenzia e tuttavia fu
premiato con lo Strega, quando questo premio contava qualcosa. La frase più
celebre e citata del romanzo è questa: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è
bisogna che tutto cambi”, pronunciata dal giovane Tancredi in risposta allo zio
che gli obiettava che un Falconeri doveva essere per il Re. La famosa frase, che
sta all’inizio del romanzo, inizia così: “Se non ci siamo anche noi, quelli [i
garibaldini] ti combinano la repubblica”.
Ciò denota come la classe dominante,
anche quando si veste di tricolore o perfino alla moda dei sanculotti, ha
sempre di mira la conservazione del potere, dello status quo. E del resto, come
diceva quel Luigi XIV, i troni si conquistano con le spade e i cannoni, ma si
conservano con i dogmi e le superstizioni, e solo il buon Dio sa come il sapere
sociale non sia mai innocente e come i luoghi comuni siano l’alimento sempre
sovrabbondante con cui viene nutrito il popolo dai media non meno che dalla
scuola.
Quanti insegnanti di storia patria
declamano ai loro alunni la seguente storiella: “cari ragazzi, l’unità d’Italia
non fu opera né di Cavour e nemmeno di Garibaldi. Essi furono gli agenti di un
disegno più grande. Grandi uomini senz’altro, di cui poi si perse lo stampo, ma
ce ne fossero stati dieci dell’uno e altrettanti dell’altro, senza l’intervento
delle grandi potenze dell’epoca, l’unità sarebbe rimasta una chimera per chissà
quanto tempo ancora, non escluso che non si sarebbe mai attuata nelle forme che
conosciamo.
L’unità, non della Penisola, ma
solo di una sua parte, fu favorita da Napoleone il Piccolo che voleva fare del
Regno di Sardegna, e della Valle Padana, un satellite della Francia; per contro,
l’Inghilterra favorì l’unità di tutta la Penisola allo scopo di far nascere sul
confine meridionale francese una potenza desiderosa di guadagnare uno spazio
autonomo nella politica mediterranea” (*).
La morale di questa favoletta? "Cari
alunni, ai Salina, ai Falconeri non meno che ai Sedàra, non importa chi siede
in trono, per loro ciò che conta realmente è che chi sta sotto continui a
lavorare e sia obbediente".
(*) Qui si astrae, per comodità, da
altri aspetti della faccenda, come quelli minerari (zolfo) che riguardavano gli
interessi inglesi e la Sicilia.
'L'argent que fait la guerre' rimane una caratteristica umana costante nei secoli e così rimarrà.Si suppone. Il trucco sta nel trovare un metodo attraverso il quale chi sta sopra per delega diretta non ci si abitui troppo e gli venga voglia di starci per più tempo. Historia docet.
RispondiEliminaMa i siciliani non sono così contenti di Giuseppe (Garibaldi) è che dopo gli ha fatto comodo adattarsi.