Venerdì scorso il Dipartimento di
Stato Usa ha pubblicato l’annuale rapporto sulla tratta degli schiavi (Trafficking in Persons Report 2014),
valutati in circa 27 milioni nel mondo dalla Environmental Justice Foundation.
Si viene così a sapere che quando
mangiamo dei gamberetti è molto probabile che siamo i fruitori di una filiera
alimentare che sfrutta il lavoro di persone mantenute in condizioni di vera e
propria schiavitù. Nella sola Thailandia sono impiegate 650.000 persone in
questo ramo di attività per un giro d’affari di 7 miliardi di dollari, con una lavorazione
di 4,2 milioni di tonnellate di pesce. Viene pescato anche il cosiddetto pesce
spazzatura, circa 350mila tonnellate di pesce non commerciabile che viene trasformato
in farine alimentari per animali. Anche in Italia, nel raggio di chilometri
dagli allevamenti di polli e maiali, il fetore di queste farine è
insopportabile.
Stati Uniti e UE sono i maggiori acquirenti
e consumatori di pesce e crostacei thailandesi, con il Regno Unito con il 7 per cento di importazione
di gamberetti. Per chi volesse farsi un’idea di come avviene la tratta degli
schiavi, può leggere questo articolo del The Guardian. Molti degli schiavi
intervistati dal quotidiano hanno dichiarato di essere alimentati con un solo
piatto di riso al giorno. Sono schiavi “monouso” (l'espressione non è mia), il cui prezzo d’acquisto
è irrisorio, e quelli che sono troppo ammalati per lavorare sono gettati in
mare.
Si tratta in prevalenza di
migranti provenienti dai paesi limitrofi, circa due - tre milioni di persone.
Decine di migliaia di loro – tra cui donne e bambini – sono vittime del racket
della prostituzione, e altri sono incatenati nella produzione di abbigliamento,
del legno, nel lavoro domestico e, come detto, nella pesca e nelle industrie di
trasformazione e imballaggio di prodotti ittici. Con la connivenza delle autorità
e della polizia locale. Sotto la minaccia della galera o della deportazione
sono costretti a lavorare 18-20 ore al giorno, sette giorni alla settimana, per
salari molto bassi, e sono spesso minacciati e picchiati.
Anche in Europa, dice il Trafficking in Persons Report 2014, gli
uomini provenienti da Brasile, Bulgaria, Cina e India sono sottoposti a lavoro
forzato in orticoltura e nei frutteti in Belgio. Uomini e donne sono sfruttati
ne settore agricolo in Croazia, Georgia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito. In
America Latina, adulti e bambini sono costretti a raccogliere pomodori in
Messico, raccogliere frutta e svolgere lavori agricoli in Argentina, negli
allevamenti di bestiame in Brasile. In Medio Oriente, i trafficanti di schiavi sfruttano
gli stranieri immigrati nel settore agricolo in Israele e Giordania. I
rifugiati siriani, compresi i bambini, sono costretti a raccogliere frutta e
verdura nelle aziende agricole del Libano. Negli Stati Uniti, le vittime della
tratta di lavoro sono stati trovati tra i migranti impiegati nei lavori agricoli
stagionali, compresi i bambini addetti alle colture di tabacco e all’allevamento
animale (ne ho già scritto in un post recente).
Non posso verificare, ma 27 milioni di schiavi nel mondo, mi sembrano pochi.
RispondiEliminaBuona giornata.
per schiavitù i report intendono quella, per dire, di tipo classico. in premessa al report è descritta la definizione.
Elimina'in Italia, nel raggio di chilometri dagli allevamenti di polli e maiali, il fetore di queste farine è insopportabile.'
RispondiEliminaAlla fine della catena chi li consuma ?
io no, posto che però mangio mio malgrado altre schifezze
EliminaPosto che diventa molto molto difficile (impossibile al momento) intervenire sulla cessazione della schiavitù mondiale in tutte le sue forme, forse è più semplice partire dal basso boicottando in primis tutta una serie di prodotti spacciati da multinazionali (Kraft,Monsanto,ecc.) e da aziende nazionali equivoche (da dove provengono p.e.i polli reclamizzati da qualche oste rubicondo televisivo?)
RispondiEliminaFaremo la rivoluzione con moschetto e sorbetto.
Non credo molto all’efficacia dei boicottaggi fatti individualmente, per buona coscienza. Dovremmo cassare dalla lista della spesa quasi tutto. Credo siano più efficaci articoli come quello del Guardian che infatti hanno determinato, da parte di Carrefour, la disdetta dell’importazione di pesce thailandese. Per quanto, beninteso, anche i comportamenti individuali possono incidere nella miserabile bottega mondiale. Del resto, a quanta gente credi che interessi ‘sta faccenda dei gamberetti? Non facciamoci troppe illusioni su questo mondo.
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