«Parli come un borghese. La guerra è necessaria.
Moltke ha scritto che senza la guerra il mondo andrebbe in sfacelo»
[Joachim, in La montagna incantata].
Qual è il presupposto che fa
ritenere che si possa uscire dalla crisi e ridare vigore all’economia delle
vecchie potenze industriali e con ciò riassorbire la disoccupazione?
Si ritiene unanimemente che la
grave crisi del capitalismo e i livelli osceni di disuguaglianza siano fenomeni
transitori e causati semplicemente dalla cattiva gestione politica
dell’economia e dai comportamenti sconsiderati dell'élite finanziaria, e dunque
non siano un prodotto diretto dei processi oggettivi del capitalismo.
Gli
stessi speculatori responsabili del disastro economico, i profittatori
responsabili della sempre più diffusa miseria sociale, sarebbero in grado di
auto-regolamentarsi nell'interesse della società nel suo complesso, o potrebbero esservi costretti con delle opportune leggi.
Non si è mai avuta una posizione
scientifica a fronte di questi problemi, e ciò a ben vedere è semplicemente
grottesco, e tuttavia quasi la totalità delle persone è convinta che sia
possibile e realistico riformare il capitalismo e uscire dalla crisi pur nella
vigenza dell’attuale sistema economico.
Della riformabilità del sistema si
dicono convinte le burocrazie sindacali, le quali chiedono semplicemente alle
grandi imprese di poter collaborare, e ciò testimonia il ruolo che i sindacati
hanno giocato negli interessi della classe dominante.
E se ne dicono convinti pure gli
economisti, i quali chiedono alle istituzioni politiche misure espansive. A
loro volta i politici si stanno rendendo conto che il capitalismo ha bisogno di
politiche di sostegno se si vuole uscire dalla crisi.
Ma è davvero così? Ai più alti
livelli politici ed economici il pensiero sta cambiando, sanno bene che qualsiasi
tentativo di riformare o regolare questo sistema con misure ordinarie è destinato
al fallimento.
Dobbiamo aver presente, a un
secolo esatto dalla prima carneficina mondiale, che i conflitti armati su scala
globale scoppiano quando si diffonde la convinzione che la guerra possa presentarsi
come una realistica e sostenibile opzione per risolvere questioni che appaiono altrimenti
inestricabili.
Molti segnali vanno in tal senso,
ossia nel convenire che la guerra si può fare e può essere uno strumento di
governo e di risoluzione di problemi interni e internazionali (a livello locale
non ha mai smesso di esserlo). Chi punta le sue carte pacifiste sulla deterrenza nucleare, s'illude.
Maturata questa convinzione, ossia che la guerra si può fare, il
passo successivo, la decisione di farla, è più breve di quanto si creda.
E peraltro non serve che siano in molti a dire pubblicamente di volerla e le
motivazioni, poi si vedrà, non mancheranno.
*
Il 9 maggio, con un'intrusione insolita nella politica da parte dei militari francesi, quattro
generali, i capi di stato maggiore dell'esercito, dell'aviazione e della
marina, e il capo di stato maggiore delle forze armate francesi, il generale
Pierre de Villiers, avevano consegnato le proprie dimissioni contro i tagli di
bilancio previsti dal presidente Hollande.
Risposta immediata del ministro
della difesa Manuel Valls, quando il 22 maggio, tre giorni prima delle elezioni
europee, la storia delle dimissioni è stata resa pubblica dal quotidiano Le Figaro: "Il bilancio militare sarà completamente mantenuto, le forze
armate hanno già fatto molti di sacrifici per anni”.
La decisione di Valls, sostenuta
poi da Hollande, è in linea con il richiamo del segretario generale della Nato,
Anders Fogh Rasmussen, alle potenze della NATO per un programma di riarmo,
poste anche le crescenti tensioni militari con la Russia dopo il golpe fascista
in Ucraina.
*
Sabato scorso, il presidente
tedesco Joachim Gauck ha ribadito ancora una volta il suo appello per una
politica estera tedesca più aggressiva ed disposta a interventi militari.
Al termine di una visita di tre
giorni in Norvegia, Gauck ha detto alla radio Deutschlandfunk che aveva “la
sensazione che forse il nostro paese dovrebbe mettere da parte la moderazione
che ha prevalso negli ultimi decenni a favore di una maggiore assunzione di
responsabilità”.
In precedenza, aveva affermato, che
per troppo tempo c'era stata "una riluttanza da parte dei tedeschi ... di
impegnarsi a livello internazionale in conformità con le dimensioni e
l'importanza economica della Germania". Gauck ha ripetutamente insistito
sul maggiore utilizzo dei militari “poiché a volte è necessario ricorrere alle
armi nella lotta per i diritti umani e per la sopravvivenza di persone
innocenti”. Ciò significa, ha detto, che è necessario "non escludere l'uso
di mezzi militari fin dall'inizio."
Nessun commento:
Posta un commento