Quello di Scalfari Eugenio, stamane, è l’editoriale di un
vecchio amareggiato che si sente tradito dal suo amorazzo. Deluso da un
idillio finito anzitempo,
è costretto a ripiegare per consolazione e compensazione in qualcos’altro. Perciò
ripesca l’agenda Bersani che aveva riposto nell’ultimo cassetto della
scrivania senza nemmeno aprirla. Scopre così che non vede “grandi differenze” con quella di Monti,
anzi non ne scorge “quasi nessuna salvo
forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del
reddito”. Come se quest’ultimo punto fosse robetta stando le cose effettivamente
così. E invece si declinano ben diversamente, poiché “destinare il denaro
recuperato dall’evasione per diminuire il cuneo fiscale e le imposte sui
lavoratori e sulle imprese”, è una favola ripetuta alla nausea – perfino da
Berlusconi e Prodi – e non ha alcuna possibilità di riscontro con la realtà.
Lo
sa bene l’ottuagenario, tanto che può concludere tranquillo: “non esiste né
un'agenda Bersani né un agenda Monti”, ne esiste però un’altra, dettata
altrove.
Scrive poi sull’ingerenza del Vaticano
nella politica e nelle faccende italiane. Scalfari nega che ingerenze dei preti
ci siano mai state: “il Vaticano non ne
ha mai fatte, neppure ai tempi di Fanfani, di Moro, di Andreotti”. Non ce
n’era bisogno, su questo si può concordare, il partito al potere si chiamava non
a caso Democrazia cristiana. Quale influenza abbia avuto la Chiesa cattolica
nella formazione del suo gruppo dirigente, dei suoi quadri, del suo tessuto ideologico,
nell’organizzazione di donne e giovani nelle parrocchie, nel motivare
ideologicamente con le sue encicliche sociali e nell’adoperarsi attivamente per
mantenere certi equilibri di potere, mi pare che solo Scalfari finga
d’ignorarlo. Il Vaticano – sostiene Scalfari – “ha sempre e soltanto suggerito
su questioni concrete e specifiche”. Esatto, perfino per quanto concerne la
programmazione televisiva e cinematografica, tanto per dirne un’altra.
Come dimenticare che la Dc era (è) la
ricostruzione del Partito popolare, quello stesso che aveva partecipato al
governo Mussolini dopo la marcia su Roma? Come non ricordare che il Vaticano fu
determinante nella formazione del primo governo fascista? Mi soffermo sul punto
che merita una chiarificazione: l’approvazione della legge del luglio 1920, che doveva
entrare in vigore nel luglio del 1921, sulla nominatività dei titoli e altre misure fiscali era avversata –
oltre che dai soliti gruppi industriali e finanziari – soprattutto dal
Vaticano, che aveva in Italia la quasi totalità dei suoi investimenti e
possedeva a preferenza titoli al
portatore, così come era temutissima la norma
fiscale sulle trasmissioni ereditarie tra persone non legate da vincoli di
sangue. Nella crisi che succedette alla caduta di Giolitti e fino
all’avvento del fascismo, il Vaticano si oppose a un possibile nuovo
governo presieduto da Giolitti, innanzitutto con il veto imposto al Partito
popolare di aderirvi. Il costo di tale atteggiamento fu la paralisi
parlamentare e, infine, la crisi istituzionale.
Scrisse nel 1947 Benedetto Croce:
«L’azione della politica vaticana fu allora perniciosa per
l’Italia e aprì le porte al fascismo impedendo ogni ritorno del Giolitti al
potere. Su di che potrei aggiungere particolari, come d’un colloquio che l’on.
Pozio, sottosegretario alla presidenza con Giolitti e a lui devotissimo, ebbe
con il card. Gasparri, che rudemente respinse ogni approccio d’intesa: quel che
più aveva inferocito la Chiesa era la legge giolittiana della nominatività dei
titoli al portatore, nei quali molto denaro degli istituti ecclesiastici era
investito».
Sotto il titolo: « La soddisfazione del Vaticano per la
soluzione delle crisi » il Popolo d’Italia del 2 novembre
del 1922 pubblicò:
«Durante i giorni del travaglio nazionale, che condussero
all’avvento al potere dell’on. Mussolini, nessun allarme si ebbe nei circoli
più vicini al Pontefice, il quale, quando gli avvenimenti si sono avviati verso
il loro sbocco normale, non ha celato agli intimi il Suo compiacimento nel
vedere l’Italia dirigersi verso una rivalorizzazione delle sue migliori
energie».
E il 10 Novembre, lo stesso giorno in cui Il Popolo
d’Italia pubblicava la notizia che il consiglio dei ministri
avrebbe abrogato la legge sulla nominatività dei titoli, il
suo corrispondente da Roma comunicava:
«Per quanto le sfere responsabili del Vaticano mantengano il loro
tradizionale riserbo intorno alla politica del nuovo gabinetto italiano, negli
ambienti dei Palazzi Apostolici non si nasconde la simpatia e il senso di
fiducia determinato dai primi atti dell’on. Mussolini».
Come non può ricordare Eugenio
Scalfari, quando vestiva con i pantaloni a sbuffo alto e camicia nera, quindi prima
d’imboscarsi durante la Resistenza, che la guerra di aggressione all’Etiopia fu
benedetta da Pio XI e quella di Spagna addirittura esaltata e sostenuta come
una crociata contro i “rossi”, e poi Pio XII benedire l’aggressione all’Urss
come un rilancio della solita crociata contro il comunismo?
E un pochetto
d’ingerenza, dalle cattedre pietrine e dai pulpiti delle chiese, c’è pure nelle
elezioni del 1948 e successive. Appena una spolverata di sano anticomunismo. Che
fosse considerato non “lecito iscriversi al partito
comunista o sostenerlo”, il Vaticano l’ha stabilito con la nota scomunica
del 1949. Poi, nel 1959, lo ricordo soprattutto allo smemorato di Bettola
(Piacenza), papa Roncalli confermò che non era “lecito ai cittadini cattolici
dare il proprio voto durante le elezioni a quei partiti o candidati che, pur
non professando princìpi contrari alla dottrina cattolica o anzi assumendo il
nome cristiano, tuttavia nei fatti si associano ai comunisti e con il proprio
comportamento li aiutano”. Trascuro poi le questioni legate al divorzio,
all’aborto, al cosiddetto testamento biologico, alla fecondazione assistita e a
molte altre cose, tra le quali la faccenda dell’indottrinamento cattolico – a
spese dell’intera collettività – nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado.
Tutte cose assai note a Scalfari che però tiene in non cale, come sempre quando
gli conviene.
forse Salfari è semplicemente un vecchio narciso che si pregia di essere una grande quercia, nessuno gli ha insegnato ad essere un filo d'erba...
RispondiEliminaQuando il narcisismo è patologico si è malati di stupidità. Scalfari è solo una tra le tante voci del padrone. Insignificante. Non degno di alcuna considerazione.
RispondiEliminaAl di là di quanto gli venga tributato dagli altri servi. Secondo alcune biografie Berlusconi è un grande statista.
Il 3 febbraio 2011 il Parlamento stabilì che Ruby era la nipote di Mubarak.
Ciao cara.