In un commento ricevuto di recente da un’amica mi ha
sorpreso un poco un’affermazione circa la sostenibilità del sistema in rapporto
alla cosiddetta sovrappopolazione. Purtroppo, cara Amica, il sistema culturale
vigente e i media hanno tutto l’interesse a far credere che uno dei più gravi problemi del
prossimo avvenire sia costituito dalla cosiddetta sovrappopolazione. Se
indubbiamente vi sono problemi di sostenibilità delle risorse e di rottura
degli equilibri ecologici, non esiste invece un problema di sovrappopolazione
se non nella misura in cui esso è prodotto e gestito dal capitalismo (*). In
risposta vorrei quindi tentare di accennare a come la dinamica demografica
risulti insita nel processo di riproduzione allargata e anzi necessaria
a che lo sviluppo capitalistico, la sua accumulazione, possa avvenire (**).
Quando si parla di “problema demografico” il nostro pensiero
corre subito ai “poveri”, soprattutto a quelli della fascia dei Tropici, come
se fossero essi stessi il “problema”. Spesso non ci sfiora nemmeno il sospetto
che il “problema” nelle sue cause riguardi proprio e per contro i ricchi
(categoria sociologica alquanto generica, ma qui utile alla semplificazione). Ma
anche quando si valuta il rapporto ricchi/poveri prendendo in esame le vistose
sperequazioni e proponendo conseguentemente in alternativa criteri redistributivi più equi, non si
va mai oltre l’affermazione di principi “moralistici” che esonerano in buona
sostanza le contraddizioni di fondo prodotte dal modo di produzione
capitalistico (***).
Posto che non ci sono troppe bocche per troppo poco cibo, ma sicuramente troppo
cibo per alcune bocche, va rilevato come il “problema demografico” vada ricondotto al contesto storico nella
misura in cui riflette le conseguenze sociali di un determinato modo di
produzione. Tra il sistema capitalistico di produzione e la questione
demografica esiste una profonda e irrisolvibile contraddizione. Laddove predomini
il modo di produzione capitalistico
è inesatto parlare genericamente di sovrappopolazione, poiché si tratta di sovrappopolazione relativa.
Il capitale ha bisogno di forza-lavoro, non solo quella strettamente necessaria
alla produzione, ma anche di forza-lavoro non occupata in modo da tenere i
salari più bassi possibile (****).
Tale esercito industriale di riserva tende ad aumentare con
la diminuzione della parte variabile del capitale; il capitale variabile
diminuisce relativamente all’aumentare della grandezza del capitale. Osserva a
tale proposito Marx: “Con l’aumentare del
capitale complessivo cresce, è vero, anche la sua parte costitutiva variabile
ossia la forza-lavoro incorporatale, ma cresce in proporzione costantemente
decrescente”. Per quanto paradossale possa apparire è questo un effetto
dello sviluppo della forza produttiva del lavoro che comporta il cambiamento della composizione
organica del capitale, ossia il rapporto tra capitale costante (mezzi di
produzione) e quello variabile (forza-lavoro).
Quindi la popolazione operaia
produce in misura crescente, mediante l’accumulazione del capitale e l'eliminazione degli operai mediante le macchine, i mezzi per render se stessa relativamente eccedente. È questa la legge della popolazione
peculiare del modo di produzione capitalistico, un’altra legge fondamentale scoperta di Marx. Tutte le altre
congetture escogitate dal pensiero borghese in relazione al cosiddetto “problema demografico” sono di
ordine ideologico comprese quelle che s'ammantano di un certo “materialismo” corredato
statisticamente.
La sovrappopolazione relativa assume tre forme: fluida,
stagnante, latente. Per quanto riguarda quella fluida e quella stagnante è
intuitivo comprendere di cosa si tratti. Quella fluida è tipica di quei
salariati che alternano periodi di occupazione ad altri di disoccupazione;
quella stagnante interessa l’enorme massa di lavoro occasionale, precario, a
domicilio, impiegata in particolari settori ove occorre stillare profitti o
servizi senza vincoli dagli schiavi. Invece per quanto concerne la forma
latente della sovrappopolazione relativa, non è possibile individuarne e
comprenderne l’enorme sviluppo se non a partire dall’internazionalizzazione del
mercato del lavoro (aspetto relativo alla cosiddetta globalizzazione).
Nei paesi di antica industrializzazione tale forma di
sovrappopolazione relativa si annida ancora nelle “zone di sottosviluppo” e
anche in alcune sacche regionali e razziali. A partire
dall’internazionalizzazione del mercato del lavoro su scala planetaria, la
parte latente dell’esercito industriale di riserva abbraccia interi continenti:
anzitutto la “periferia”, ove masse sterminate di forza-lavoro vengono rese
“libere” di morire di fame o costrette a dirigersi – con i mezzi e i rischi che
sappiamo – verso i paesi e le zone industrializzate.
Posta così la questione, almeno preliminarmente e per cenni, credo si possa dare
un’interpretazione meno soggettiva e ideologica al problema della presunta
eccedenza di popolazione, individuando invece le cause non come maledizioni del
cielo ma come il portato di precise determinazioni di ordine economico. Del
resto, a ben considerare, noi bianchi dell’emisfero nord siamo portati a
considerare eccedenti soprattutto gli altri.
(*) C’è invece chi analizza il
“problema demografico” considerando la società umana grossomodo come una colonia
di topi. Con tale espressione giudicavo, in un post del maggio 2011, i
lavori di Jared Diamond,
promotore di un materialismo
largamente esposto al naturalismo, a misura che si concentra quasi
esclusivamente sui fattori bio-geografici, senza tener conto adeguatamente
dell’evoluzione dei rapporti sociali e la progressiva produzione di un
"secondo" ambiente, "artificiale", da parte della società
umana.
(**) Scrivevo il primo dicembre
scorso: nel modo di produzione
capitalistico, la crescita delle forze produttive si realizza per e attraverso
l’accumulazione capitalistica, ed è perciò la razionalità del
plusvalore che definisce, in ultima istanza, la forma delle
modificazioni che vengono ad esse apportate. Inoltre, scrivevo, che il saggio
del profitto costituisce la forza motrice della produzione capitalistica:
viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto e nella misura
in cui tale profitto può essere ottenuto. Proprio nella determinazione
del saggio del profitto nel processo di produzione
capitalistico, quindi nell’accumulazione, sono insite una serie di
contraddizioni che determinano non solo la possibilità della crisi, ma la sua
necessità. La forma astratta della sua possibilità diventa realtà. Tanto è vero
che lo sviluppo capitalistico, la sua accumulazione, può
avvenire soltanto attraverso momenti successivi di crisi.
(***) Con ciò, lungi da me dal
sottovalutare l’importanza delle lotte sociali per l’aumento dei salari e
contro le sperequazioni.
(****) Non solo il salario reale, ma
anche quello relativo, anche se periodi limitati, legati per lo più alle fasi
di espansione del ciclo, quest’ultimo può aumentare.
Cara Olympe, alcuni giorni fa su Sollevazione, un certo Gengiss ha commentato: "La caduta del saggio di profitto è uno dei punti della teoria marxiana che non ho mai capito. Man mano che, a causa di avanzamenti tecnologici, i capitalisti investono in macchinari, che prendono il posto di lavoratori in carne e ossa, il tasso di profitto cala. Ma perchè?
RispondiEliminaSi suppone che solo il lavoro vivo produca plusvalore, ma mi pare un'affermazione "metafisica", indimostrabile. Una macchina, un robot, può fare lo stesso lavoro di un uomo, e perdipiù senza pretendere un salario! (pensiamo a una lavanderia automatica, a un casello autostradale ecc.). Il profitto semmai dovrebbe aumentare".
Io gli ho risposto, ma vorrei conoscere prima il tuo parere, e quindi la relativa risposta.
Perchè, a distanza di giorni, ho dei dubbi, circa il fatto se sono stato all'altezza nel rispondere a Gengiss.
Saluti da F.G
quando si arriva al terzo libro terza sezione de Il Capitale e non si capisce ciò che vi è scritto chiaramente, vuol dire che c'è qualche problema a monte
Eliminaè vero che un robot può fare lo stesso lavoro di un uomo, come tu dici, ma, come nel caso di ogni macchina del processo produttivo, chiediti chi ha costruito il robot, chi lo alimenta, controlla e sorveglia, gli dà assistenza e gli fornisce la materia con cui svolgere le sue funzioni. il robot non è altro che una forma più complessa di macchinario, di utensili.
il lavoro in una lavanderia automatica si scambia con reddito non con salario perciò non produce plusvalore
bisogna tornare sui libri e leggere bene, attentamente, soprattutto leggere
ciao
Grazie del post: è mediante tali scritti che si percepisce e comprende la cogente attualità della teoria di Karl Marx.
RispondiEliminaè per lettori come te che si ha la soddisfazione di scrivere
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