Il
superamento del modo di produzione capitalistico è il comunismo. Non c’è alternativa al di fuori di questa
possibilità/necessità a meno di non voler immaginare una regressione a forme
generali di produzione e di scambio – e delle condizioni del lavoro – precapitaliste.
Piaccia o no, chi parla di superamento del modo di produzione capitalistico
deve misurarsi con questa realtà storica, e chi, per contro, considera il modo di produzione
capitalistico come assoluto, si accorge adesso che esso stesso genera dei
limiti che però non attribuisce alla produzione, bensì in primis a fenomeni della sfera della circolazione
e della finanziarizzazione. In ciò sta l’incomprensione delle cause della crisi e del fallimento dei
rimedi proposti (*).
S’è vero che, in ultima analisi, è la crescita, l’espansione delle forze produttive (**),
l’elemento promotore delle
trasformazioni sociali, ciò non di meno essa avviene sempre sotto il segno
ed il dominio dei rapporti di produzione dominanti. Così, per esempio, nel modo
di produzione capitalistico, la crescita delle forze produttive si realizza per
e attraverso l’accumulazione capitalistica, ed è perciò la razionalità del plusvalore che definisce, in ultima istanza, la forma delle modificazioni che vengono ad
esse apportate.
Il saggio del profitto costituisce la forza
motrice della produzione capitalistica: viene prodotto solo
quello che può essere prodotto con profitto e nella misura in cui tale profitto
può essere ottenuto. Proprio nella
determinazione del saggio
del profitto nel processo di
produzione capitalistico, quindi nell’accumulazione, sono insite una serie di
contraddizioni che determinano non solo la possibilità della crisi, ma la sua
necessità. La forma astratta della sua possibilità diventa realtà. Tanto è vero
che lo sviluppo capitalistico, la
sua accumulazione, può avvenire soltanto
attraverso momenti successivi di crisi.
Tutto
ciò, le teste gloriose degli economisti borghesi lo sanno bene, solo che ne
danno un’interpretazione di comodo scaricando la responsabilità della caduta del saggio del profitto sulla produttività
dell’operaio piuttosto che sulle leggi oggettive che la riguardano. Il che non
è casuale per gente remunerata per tamponare in qualche modo le falle teoriche
delle dottrine dello sfruttamento e falsificare e diffamare il marxismo.
In tal modo passano in silenzio proprio il fatto che dovrebbe
chiarire la contraddizione di fondo, ossia che lo sviluppo della forza produttiva del
lavoro, determinando la caduta del saggio del profitto, genera una legge che, ad un dato momento, si
oppone inconciliabilmente al suo ulteriore sviluppo e che deve quindi di
continuo essere superata per mezzo di crisi. È quindi la legge fondamentale dello
sviluppo capitalistico, la caduta del saggio generale del profitto, scoperta da Marx, che determina la necessità della crisi (***).
La contraddizione intrinseca cerca una compensazione
mediante l’allargamento del campo esterno della produzione. All’interno
dell’area investita dalla crisi di sovrapproduzione assoluta, si ha una crisi
generale della struttura produttiva e creditizia. Se questa mattina come ogni
altro giorno usciamo dal nostro guscio possiamo constatare con i nostri occhi
questo fenomeno. Che fanno allora i nostri bravi “imprenditori”? Ampliano
costantemente il mercato, cosicché i suoi rapporti e le condizioni che li
regolano assumono sempre di più l’apparenza di una legge naturale indipendente dai produttori, sfuggono sempre di più
al controllo.
Ecco allora che solo una parte del capitale esistente – e
precisamente quello a composizione più elevata, quindi più concorrenziale –
potrà continuare, pur tra grosse difficoltà, a valorizzarsi, concentrandosi a
spese di altri capitali, mentre un’altra parte è esportata all’estero, in zone
dove il saggio del profitto, ossia il saggio di sfruttamento, è più elevato e,
quindi, può essere investito più produttivamente. Anche questo fenomeno, noto
oggi come globalizzazione, delocalizzazione, ecc., i salariati lo possono
constatare con i loro occhi e anzi sentirlo sulla propria pelle.
Non voglio tirarla per le lunghe e vengo al dunque: in tal
modo il capitale supera le crisi aumentando il suo grado di concentrazione,
quindi aumentando la sua composizione organica, ampliando la sua base
produttiva e di mercato. Tutto bene? Manco per il cazzo. Marx ci dice che “a partire da questo momento il
medesimo circolo vizioso verrebbe ripetuto con mezzi di produzione più
considerevoli, con un mercato più esteso e con una forza produttiva più elevata”.
Qualsiasi intelligenza, anche la
meno evoluta e coltivata, a questo punto dovrebbe trarre delle conclusioni.
Tranne i rotti in culo di cui sopra. È evidente che il capitalismo non può
esistere senza espansione e che nella sua espansione esso distrugge tutti i
modi precedenti di produzione e si estende su tutta l’area mondiale. Ma è anche
vero che in tal modo le sue contraddizioni si universalizzano e inaspriscono
ulteriormente. La caduta del saggio del
profitto diventa sempre più rapida e le crisi sempre più distruttive e
generalizzate. L’allargamento della base di un’area produttiva può avvenire
solo a spese di un’altra (nord Europa-sud Europa, Cina – Usa e Europa, ecc.),
occupando un’altra area capitalistica e minacciando i suoi relativi interessi.
Pertanto le guerre per una nuova spartizione del mondo diventano indispensabili
per ogni ulteriore sviluppo.
Mai come ora l’essenza del
capitalismo (e il suo limite storico) si rivela ai nostri occhi per ciò che
essa effettivamente è, di là delle chiacchiere sulla libertà e la democrazia:
“produrre per distruggere, distruggere per produrre”.
(*) Scrive Marx, a riguardo degli
economisti, che “l’“horror” che essi
sentono dinanzi alla tendenza alla diminuzione del saggio del profitto è
provocato soprattutto dal fatto che il modo di produzione capitalistico trova, nello sviluppo delle forze
produttive, un limite che ha nulla a che vedere con la produzione della
ricchezza in quanto tale; e questo
particolare limite testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico,
transitorio, del modo di produzione capitalistico; prova che esso non
costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza,
ma, al contrario, arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo
stesso ulteriore sviluppo” (Terzo
Libro, cap. 15).
(**) Per forze produttive capitalistiche
si deve intendere anzitutto i lavoratori produttivi (di capitale) insieme ai
mezzi di produzione (tanto gli strumenti del lavoro che i materiali del lavoro,
quindi le risorse naturali). Questi concetti si trovano sviluppati nelle opere
economiche di Marx.
(***) La
tendenza progressiva alla diminuzione del saggio generale del profitto non è
quindi che un’espressione peculiare del modo di produzione capitalistico per lo
sviluppo progressivo della produttività sociale del lavoro. Ciò non significa che il saggio
del profitto non possa temporaneamente diminuire anche per altri motivi, ma
significa che, in conseguenza della stessa natura della produzione
capitalistica e come una necessità logica del suo sviluppo, il saggio generale
medio del plusvalore deve esprimersi in un calo del saggio generale del
profitto. Dato che la massa di vivo lavoro utilizzato diminuisce di
continuo rispetto alla massa di lavoro oggettivato che essa ha posto in
movimento (cioè rispetto ai mezzi di produzione consumati produttivamente),
anche la parte di questo vivo lavoro che non è pagato e che si oggettiva in
plusvalore dovrà essere in proporzione sempre decrescente nei confronti del
valore del capitale complessivo impiegato. Questo rapporto fra la massa del
plusvalore ed il capitale complessivo impiegato costituisce però il saggio del
profitto, che dovrà di conseguenza diminuire costantemente (Marx, cit., cap.
13).
L'immagine è di Roberto Innocenti.
L'immagine è di Roberto Innocenti.
Già, ma dove sta la forza politica che raccolga la sfida per il superamento del modo di produzione capitalistico, per un traghettamento a un livello superiore di produzione sociale?
RispondiEliminaLenin in sedicesimo
Grazie di questa prolusione dicembrina.
RispondiEliminagrazie a te, decabrista
Elimina