martedì 6 aprile 2010

Multinazionali del crimine

Che i preti, secondo papa Ratzinger, debbano comportarsi come degli "angeli", non è possibile sotto diversi riguardi. Che essi debbano essere considerati responsabili e giudicabili per i propri atti, sarebbe già un bel passo avanti. Che la Chiesa cattolica venga chiamata a rispondere per responsabilità oggettiva in capo agli atti compiuti dai suoi funzionari è quantomeno doveroso in uno stato di diritto.
Kevin Annett, l’ex pastore della Chiesa Unita che ha denunciato al mondo il genocidio dei nativi canadesi, ha dichiarato al Baltimore Chronicle:

The government and the multinational corporations wanted the Indian land, and so native children from as young as three years old were forcibly taken from their families and sent to residential schools (including Catholic ones), where they underwent 'acculturation' programs. Between fifty and one hundred thousand ended up dead, murdered by the church and the government.

Senza l’asservimento dei nativi americani, il furto delle loro terre, l’importazione di schiavi dall’Africa, l’espansione europea nel cosiddetto Nuovo Mondo non avrebbe avuto luogo [*]. Il mito bianco di una civiltà superiore è da intendersi fondamentalmente come esercizio di una violenza meglio organizzata e spietatamente dispiegata. L’uso della forza aveva però bisogno di una motivazione adeguata che la rendesse non solo accettabile, ma che la confermasse come giusta e doverosa. In altri termini, l’inferiorità antropologica dei “selvaggi” non metteva al riparo dal fatto che ci si trovava comunque in presenza di esseri umani nati in terre che abitavano da millenni. Essi vivevano però in uno stato di disordine morale dovuto all’ignoranza della vera fede, ed ecco quindi come segno della bontà e necessità della loro salvezza l’apposizione del sigillo dell’“evangelizzazione”. Naturalmente non si trattò di un processo lineare e gratuito, come dimostrano le vicende di alcune congregazioni (encomienda) dell’America latina. Ma anche questi episodi, in realtà, s’inseriscono nella concorrenza tra i diversi poteri e interessi per il controllo e lo sfruttamento della manodopera indigena. Tanto è vero che il “buon” Las Casas ebbe a scrivere degli indigeni:
Dio ha creato queste genti semplici senza peccato e senza astuzia. Sono assai obbedienti e fedeli verso i loro signori naturali e verso i cristiani che essi servono … Sarebbero sicuramente i più felici del mondo se soltanto adorassero il Vero Dio.
Queste poche parole esplicano l’idiosincrasia compassionevole e la presunzione razzista del naturale compagno di strada del conquistatore bianco, il cristianesimo.

[*] I primi coloni che arrivarono nelle Indie avevano una bassissima opinione della razionalità egli indiani, condivisa anche dal governatore Ovando. Quando questi arrivò ad Española, nel 1501, si trovò di fronte ad una situazione che si sarebbe poi ripetuta un’infinità di volte durante l’avanzata della conquista: gli indiani, raccontò, adoravano idoli e demoni e mostravano scarsa predisposizione al cristianesimo; vivevano in modo selvaggio, mangiavano insetti e lucertole, indulgevano a bestiali pratiche sessuali e si lavavano spesso, un’abitudine che, come la regina venne presto informata, li danneggiava enormemente. Cosa d’interesse assai più immediato, preferivano le feste, il bere, le danze e l’ozio all’onesto lavoro, e per evitare di servire gli spagnoli fuggivano sulle colline e nelle foreste. A causa dell’incapacità degli indigeni, i coloni europei morivano di fame, le miniere d’oro non funzionavano e le rendite reali languivano. In realtà, la prima colonia spagnola delle Indie si trovò di fronte a una vera crisi esistenziale (Lylen N. McAlister, Dalla scoperta alla conquista, Il Mulino, 1986, p. 205).
Le congregazioni e le fondazioni religiose giocarono un ruolo rilevante, soprattutto in America latina, come intermediari finanziari quali prestatori di considerevoli somme, garantite da ipoteche, ma investivano anche direttamente in attività imprenditoriali, specialmente in agricoltura. Inoltre, fatto non trascurabile, le ricchezze accumulate non erano esposte al rischio della dissoluzione che invece si verificava attraverso l’eredità.

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