L’inserto
domenicale de Il sole24ore del 4 aprile, pubblica una recensione a firma di
Sergio Luzzatto del libro di Nicola Tranfaglia, Vita di Alberto Pirelli
(1882-1971), biografia del magnate dell’omonima industria. Il ritratto che se
ne ricava è un classico dell’élite italica, di quella che conta veramente. Il
parallelo che viene in mente è, per esempio, con quello di un Vittorio Cini,
rimasto fascista e ministro fino al giugno 1943, per poi invece, cambiata
casacca, finanziare il CLN. È l’eterna storia della “girella” raccontata dal
Giusti.
Alberto
Pirelli eredita l’industria paterna agli inizi del Novecento, un’azienda
divenuta, in pochi decenni, leader a livello mondiale della fabbricazione e
posa di cavi sottomarini. Alberto, “un imprenditore di orizzonti planetari”,
così come lo descrive il recensore del libro, punterà sulla costruzione degli
pneumatici per automobili, quindi allargherà il proprio business alla
telegrafia e telefonia, in partnerships con colossi come General Eletric.
Ed
è per tali vie del business che il nostro raffinato bellimbusto, proprietario
di 3mila proletari (10mila alla fine del primo conflitto), entra in contatto
con i circoli più esclusivi dello schiavismo anglosassone e yankee. Era stato
nel 1918 capo di uno degli uffici del ministero Armi e Munizioni, l’anno
seguente membro della delegazione alla conferenza di Versailles, quindi ebbe
incarichi relativi alla sistemazione dei debiti di guerra e delle riparazioni.
Soprattutto divenne uno dei principali sostenitori e finanziatori del nascente
movimento fascista. Questo ovviamente il recensore non lo dice, ma per fortuna
soccorre Ernesto Rossi (I padroni del vapore), che resta sempre un eccellente
antidoto contro le sindromi di smemoratezza. Scrive Luzzatto che Pirelli rifiutò
la proposta di Mussolini di assumere la guida del nuovo ministero dell’Economia
nazionale a motivo che il nostro eroe sarebbe stato assai sensibile alla
questione che oggi chiamiamo “conflitto d’interessi”. Tuttavia nel 1924 accettò
di diventare “ministro plenipotenziario onorario” e nel 1938 fu nominato “ministro
di Stato”. Fu da subito consigliere economico ufficioso del suo Duce, di
gerarchi e personaggi militari (Lucio Ceva, Teatri di guerra: comandi, soldati
e scrittori nei conflitti europei, F. Angeli, 2005, p. 188).
Nei
suoi Taccuini, pubblicati nel 1984 per i tipi de Il Mulino, non vi è nulla
sulla crisi dell’ottobre 1922, ma egli vi ebbe parte importante assieme agli
altri industriali. Pirelli era, secondo Lucio Ceva, uno degli uomini più
informati d’Italia su tutti i risvolti politici, economici e militari di quegli
anni di regime fascista. La qualità e l’importanza dell’informazione di Pirelli
era “pari a quella di Mussolini e Ciano sul piano politico e altrettanto dicasi
per quello militare”, ma talvolta l’oltrepassava a motivo dei suoi fitti
contatti internazionali. Egli teneva costantemente i contatti con l’estero e
riforniva Mussolini di informazioni essenziali prima e durante il conflitto.
Non è azzardato definirlo l’eminenza grigia del Duce.
Pirelli
non fu aderente al fascismo perché fascista, poiché queste questioni e nozioni
di stampo eminentemente ideologico non importano granché alle élite che
contano; ciò che importa loro è l’uso della politica in difesa dei propri
interessi, del proprio predominio di classe. La visione geopolitica di Pirelli
era di tipo pragmatico, concretissima fino all’estremo cinismo.
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