mercoledì 7 aprile 2010

Padroni del vapore/1




L’inserto domenicale de Il sole24ore del 4 aprile, pubblica una recensione a firma di Sergio Luzzatto del libro di Nicola Tranfaglia, Vita di Alberto Pirelli (1882-1971), biografia del magnate dell’omonima industria. Il ritratto che se ne ricava è un classico dell’élite italica, di quella che conta veramente. Il parallelo che viene in mente è, per esempio, con quello di un Vittorio Cini, rimasto fascista e ministro fino al giugno 1943, per poi invece, cambiata casacca, finanziare il CLN. È l’eterna storia della “girella” raccontata dal Giusti.

Alberto Pirelli eredita l’industria paterna agli inizi del Novecento, un’azienda divenuta, in pochi decenni, leader a livello mondiale della fabbricazione e posa di cavi sottomarini. Alberto, “un imprenditore di orizzonti planetari”, così come lo descrive il recensore del libro, punterà sulla costruzione degli pneumatici per automobili, quindi allargherà il proprio business alla telegrafia e telefonia, in partnerships con colossi come General Eletric.

Ed è per tali vie del business che il nostro raffinato bellimbusto, proprietario di 3mila proletari (10mila alla fine del primo conflitto), entra in contatto con i circoli più esclusivi dello schiavismo anglosassone e yankee. Era stato nel 1918 capo di uno degli uffici del ministero Armi e Munizioni, l’anno seguente membro della delegazione alla conferenza di Versailles, quindi ebbe incarichi relativi alla sistemazione dei debiti di guerra e delle riparazioni. Soprattutto divenne uno dei principali sostenitori e finanziatori del nascente movimento fascista. Questo ovviamente il recensore non lo dice, ma per fortuna soccorre Ernesto Rossi (I padroni del vapore), che resta sempre un eccellente antidoto contro le sindromi di smemoratezza. Scrive Luzzatto che Pirelli rifiutò la proposta di Mussolini di assumere la guida del nuovo ministero dell’Economia nazionale a motivo che il nostro eroe sarebbe stato assai sensibile alla questione che oggi chiamiamo “conflitto d’interessi”. Tuttavia nel 1924 accettò di diventare “ministro plenipotenziario onorario” e nel 1938 fu nominato “ministro di Stato”. Fu da subito consigliere economico ufficioso del suo Duce, di gerarchi e personaggi militari (Lucio Ceva, Teatri di guerra: comandi, soldati e scrittori nei conflitti europei, F. Angeli, 2005, p. 188).

Nei suoi Taccuini, pubblicati nel 1984 per i tipi de Il Mulino, non vi è nulla sulla crisi dell’ottobre 1922, ma egli vi ebbe parte importante assieme agli altri industriali. Pirelli era, secondo Lucio Ceva, uno degli uomini più informati d’Italia su tutti i risvolti politici, economici e militari di quegli anni di regime fascista. La qualità e l’importanza dell’informazione di Pirelli era “pari a quella di Mussolini e Ciano sul piano politico e altrettanto dicasi per quello militare”, ma talvolta l’oltrepassava a motivo dei suoi fitti contatti internazionali. Egli teneva costantemente i contatti con l’estero e riforniva Mussolini di informazioni essenziali prima e durante il conflitto. Non è azzardato definirlo l’eminenza grigia del Duce.


Pirelli non fu aderente al fascismo perché fascista, poiché queste questioni e nozioni di stampo eminentemente ideologico non importano granché alle élite che contano; ciò che importa loro è l’uso della politica in difesa dei propri interessi, del proprio predominio di classe. La visione geopolitica di Pirelli era di tipo pragmatico, concretissima fino all’estremo cinismo.

 

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