Nel 1995, per i tipi dell’estinto e benemerito Istituto di propaganda del libro, Filippo Tamburini pubblicò un lavoro assai ben informato dal titolo Santi e peccatori, confessioni e suppliche dai Registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586). Tamburini è un prete, il maggior conoscitore di quelle carte e registri vaticani della Penitenzieria ai quali attendeva con inesausta curiosità fin dal 1969. A causa di questa pubblicazione, come sempre accade nei regimi totalitari, Tamburini pare abbia subito conseguenze: “licenziamento e rimozione dal rango di monsignore”.
Lo storico Attilio Agnoletto, nella Presentazione, si chiede “se la fonte della Penitenzieria non sia preziosa, indefettibile e forse anche storicamente la più persuasiva, a chiarire un dibattito che da qualche anno si è aperto sulla valutazione etica, storica e giuridica dell’operato del Sant’Uffizio”.
Di cosa si occupava dunque di così importante la Penitenzieria da essere considerata una delle più importanti istituzioni del governo centrale della Chiesa medievale e rinascimentale? Sorta intorno alla metà del XII sec. come tribunale di foro interno per il disbrigo dei casi riservati al papa e di altri delitti particolarmente gravi, assolveva i penitenti “in foro conscientiæ” o “confessionis” per il tramite del penitenziere papale. I penitenzieri erano due, uno Minore e l’altro Maggiore, quest’ultimo era il cardinale preposto all’ufficio che liberava i “penitenti” anche dalle conseguenze giuridiche esterne con l’approvazione della supplica mediante la formula del “Fiat”, ovvero la formula papale cui seguiva la spedizione della lettera del Penitenziere Maggiore al vescovo della diocesi competente, come del resto succede ancor oggi, sostanzialmente, con la Congregazione per la dottrina della fede (vds corrispondenza recente pubblicata dal NYT a proposito dello scandalo dei preti pederasti).
La penitenzieria godeva di vastissima facoltà ordinarie, straordinarie ed altre ancora che il Penitenziere poteva ottenere direttamente dal pontefice – come scrive il Tamburini – “vivæ vocis oraculo, facto verbo cum SS.mo”. Perciò la Penitenzieria concedeva assoluzioni, indulti e dispense le più diverse, anche per i crimini più vili ed efferati, secondo i casi “in utroque foro penitetiati et contentioso”, cioè da valere, oltre che nel foro di coscienza, anche in quello giudiziario e penale.
Si tratta, con ogni evidenza e alla luce dei fatti di cronaca di questi nostri anni, di una prerogativa alla quale il Vaticano non vuole (non ha voluto e non vorrebbe) rinunciare. Di seguito riporto uno scampolo dei casi trattati dalla Penitenzieria, non i più pruriginosi ed eclatanti:
Giovanni di Francesco, monaco del convento cistercense di Raymont, diocesi di Beauvais, è stato istigato dal proprio abate ad atti omosessuali e lo ha accusato ai superiori, ma è stato posto in carcere insieme a lui; ha poi ritrattato le accuse, ed è stato condannato al carcere perpetuo, dal quale è fuggito per venire presso la Curia Romana e chiedere l’assoluzione dalla sodomia, apostasia e dallo spergiuro, con licenza di passare ad altro monastero. 28 aprile 1461.
Orsolina dei Bianchi, Giustina dei Gambelli, Caterina dei Panizzari, Margherita degli Scarani e Susanna di Fontana, professe del monastero benedettino di S. Maria di Valleverde, dioc. di Piacenza, hanno tentato invano più volte di uccidere la badessa col veleno, allora hanno introdotto nel monastero un uomo, il quale l’ha strangolata. Essendo incorse nella scomunica e nel reato di omicidio, chiedono di essere assolte, anche perché se prima di tale fatto non osservavano la regola monastica, al presente vivono nella più stretta osservanza.
Ciascuna delle monache digiuni per tre anni tutti i venerdì a pane ed acqua, né possano essere elette badesse o riceve alcun incarico di superiora nel loro o in altro convento. 22 aprile 1465.
Martino Diez, figlio di Pietro di Cardenosa, laico di El Oso, diocesi di Avila, entrando in una abitazione ha trovato un uomo il quale, avendo sorpreso un prete con la moglie, gli aveva legato le mani e per tormentarlo gli aveva messo i genitali sotto il coperchio di una cassa (o le commessure di un armadio). L’oratore allora ha stretto con forza le corde che legavano le mani del prete e si è seduto sulla cassa affinché questo sentisse maggior dolore; in tal modo egli è in corso nella scomunica promulgata per tali violenze. Poiché il detto prete è poi stato liberato e guarendo [ai genitali] non è diventato inabile all’esercizio degli uffici sacri, mentre l’oratore è pentito per ciò che ha compiuto, si chiede l’assoluzione dalla scomunica. 22 ottobre 1500.
Ometto la sentenza di assoluzione misericordiosa, in latino, da parte del Santo Padre.
I casi più interessanti sono lasciati alla curiosità di chi vorrà leggere il libro.
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