[la prima parte QUI]
Non
bisogna mai dimenticare che il fascismo fu un movimento creato, finanziato e
portato al potere dal grande capitale nazionale.
Ecco che cosa ebbe a dire, rievocando l’avvento del fascismo, in un discorso pronunciato
nel 1932, il dott. Pirelli:
«Il
26 ottobre 1922 un gruppo di uomini, che oggi sono tutti qui presenti, andarono
da Benito Mussolini al “Popolo d’Italia”, in via Lovanio, a confermargli, quali
interpreti degli ambienti direttivi della produzione e degli scambi, i
gravissimi danni derivanti all’economia nazionale dallo stato di confusionismo
anarchico in cui versava il Paese dopo la mutilazione della Vittoria, ed
insieme ad esporgli talune particolari preoccupazioni del momento, in rapporto
all’andamento del credito, al corso dei titoli di Stato, al credito del paese
verso l’estero. Il Duce interrogò, rispose, ci trattenne a lungo; e quelli del
gruppo che non avevano mai avvicinato prima di allora il Capo del grande
movimento rivoluzionario in atto, restarono ammirati di trovare un uomo che i
problemi in questione discuteva con grande ponderazione, con vivo senso della
loro importanza e complessità, rivelando la volontà di dominare anche questa
materia» (E. Rossi, cit. pp. 87-88).
Che
cosa ebbe da guadagnare Alberto Pirelli, pronta cassa, con il suo appoggio al
fascismo? Un esempio è dato dal decreto dell’8-9-1923, n. 399, con il quale il
governo cedeva all’industria privata gli impianti telefonici di Stato per una cifra
di molto inferiore al loro valore. Pirelli non fu secondo a nessuno di quanti
beneficiarono.
Alberto
Pirelli è un uomo di gran classe, pronto a “fare affari con chiunque, e sotto
qualunque regime. Eccolo critico – scrive Luzzatto – della scelta mussoliniana
di muovere guerra all’Etiopia, nel 1935, eppure sollecito, dopo lo scoppio
della guerra, nel rifornire segretamente [cioè eludendo le sanzioni decretate
dalla Società delle Nazioni] il Regio Esercito con maschere antigas”, le quali,
ovviamente, non servivano per proteggersi dalle zanzare. Fu ostile alla guerra
nel 1940, ma zelante servitore del regime fino al luglio 1943e poi della
Repubblica di Salò, nel contribuire alla mobilitazione industriale dell’Asse,
ma verso la fine del conflitto prese a finanziare, residente in Svizzera, i
partigiani. Dopo il conflitto, seguì una brevissima parentesi di
pseudo-epurazione, quindi tornò, intonso il proprio patrimonio, come AD della
Pirelli e come “consigliere informale di De Gasperi”.
Per
comprendere meglio ancora di che pasta sono fatti questi grandi borghesi
cosmopoliti, vale rilevare il comportamento di Alberto Pirelli come
collaboratore dell’industria chimica tedesca (IG Farben) per la fabbricazione
della gomma sintetica (la cosiddetta “Buna”). La collaborazione di Pirelli
continuò anche negli impianti IG Farben situati nei territori occupati dai
nazisti, a cominciare da quello di Buna-Monowitz, cioè Auschiwitz [*]. Tale
impianto nell’aprile 1942 fu visitato dal figlio di Alberto, Giovanni, prima
che diventasse partigiano. Un partigiano singolare, posto che operava nel Terzo
Reich come ispettore della manodopera italiana ridotta in schiavitù legale.
Questo
fu sostanzialmente Alberto Pirelli, “un uomo per bene che passa tremendamente
vicino al male”, ci dice Luzzatto nella sua recensione. No, Alberto Pirelli non
fu un qualunque passante, certamente non un uomo innocente.
«A mezzogiorno avevamo avuto l'inattesa visita di Alberto Pirelli, che per tanti e tanti anni ci aveva dimenticati. Anni di orbace. Lo ritrovo invecchiato e però sempre ansioso di far buona impressione. Che altra allure suo padre, salito da modestissime condizioni ma signore per diritto naturale! Come ricordo le lezioni di patriottismo fascista che questo Alberto aveva osato dare a papò, riscuotendo, credo, quel che si meritava!» (Elena Carandini Albertini, Passata la stagione ..., Passigli, p. 378).
***
[*]
Scrive Primo Levi in Se questo è un uomo,
cap. VII: La Buna è grande come una città; vi lavorano oltre ai dirigenti e ai
tecnici tedeschi, 40.000 stranieri, e vi si parlano 15 o 20 lingue. Tutti gli
stranieri abitano in vari Lager che alla Buna fanno corona: il Lager dei
prigionieri di guerra inglesi, il Lager delle donne ucraine, il Lager dei
francesi volontari, e altri che non conosciamo. Il nostro Lager fornisce da
solo 10.000 lavoratori che vengono da tutte le Nazioni d'Europa; e noi siamo
gli schiavi degli schiavi, a cui tutti possono comandare, e il nostro nome è un
numero che portiamo tatuato sul braccio e cucito sul petto.
Oltre
che del lager e della fabbrica, Buna è il nome del prodotto sintetico. Deriva
da Butadiene e Sodio (Natrium, in tedesco). Nei primi giorni del 1941, il dott.
Otto Ambros dell’IG-Farben, individua il luogo dove sarà costruito il complesso
industriale. Si tratta della località di Dwory, a pochi chilometri da Oświęcim
(Auschwitz in tedesco). Auschwitz cominciò a generare una rete di campi
secondari al suo esterno, 34 in tutto, dove i prigionieri lavoravano in un
cementificio… una miniera di carbone… un’acciaieria… un calzaturificio.. ecc..
Uno di questi sotto-campi, il maggiore, era l’impianto dell’I.G. Farben-Buna.
Le condizioni a Buna erano simili a quelle di Auschwitz, gli appelli all’alba,
le razioni da fame, i ritmi infernali di lavoro, le percosse. I prigionieri che
morivano, dozzine ogni giorno, dovevano essere riportati al campo la sera, in
modo da essere sorretti e contati all’appello del mattino dopo. In totale,
circa 25.000 persone furono uccise nell’impianto dell’I.G. Farben. Uno dei
misteri irrisolti di Auschwitz è che questo impianto, costruito a prezzo di
indicibili sofferenze, non produsse mai un grammo di gomma sintetica. La
produzione, secondo i programmi, sarebbe iniziata il primo febbraio 1945. I
russi arrivarono tre giorni prima e tutto quell'immenso insieme di laboratori
diventò un cimitero di tubi e cemento. Nonostante i rapporti col nazismo, la
I.G. ha continuato ad avere stretti rapporti tecnici e commerciali con le
industrie chimiche internazionali e americane fino alla fine del 1941. La
Standard Oil acquistò i brevetti per la produzione di benzina sintetica dal
carbone, secondo una tecnica messa a punto da Bergius, e la Standard a sua
volta mise a disposizione della I.G. la tecnica per la produzione di gomma
sintetica Buna, che si rivelò utilissima per il funzionamento dei carri armati
impiegati poco dopo contro i soldati americani. La Ethyl Corporation americana
(50 % Standard Oil e 50 % General Motors), in grado di produrre negli anni
trenta il piombo tetraetile (l'antidetonante per benzine d'aviazione ad alto
numero di ottani) in regime di monopolio (quasi totale), mandò 500 t. di piombo
in Germania alla vigilia dell'occupazione della Cecoslovacchia.
In
Italia, durante il periodo dell’autarchia le difficoltà di approvvigionamento
di materie prime fanno intensificare le ricerche di prodotti e processi
industriali alternativi a quelli precedentemente adottati. Si vedono quindi
sperimentazioni con il coke, gas metano, benzine di scisti e lignite, alcol ed
ammoniaca. La società SIRI mette a punto il suo processo di sintesi del
metanolo (già utilizzato come combustibile, per la produzione di materie
plastiche e di esplosivi). Nel 1938 l’IRI e la Pirelli, sollecitate dal
Ministero dell’Industria, costituiscono la Società Agricola Italiana Gomma
Autarchica (SAIGA) per lo sfruttamento del Guayule. Tra il 1936 e il 1937 il
Centro Chimico Militare, aveva ottenuto la collaborazione della statunitense
International Rubber Co. per la coltivazione, in Puglia, del guayule. Da questa
pianta di origine messicana poteva infatti essere estratta della gomma. A
quella data il fabbisogno nazionale di gomma è stimato in 30.000 t/anno e la
SAIGA prevede di poterlo soddisfare per un terzo. Lo scoppio del conflitto
mondiale e poi l’entrata in guerra dell’ Italia interrompono i contatti con i
tecnici americani e nel 1943 l’impresa viene chiusa e i campi del tavoliere
riconvertiti a grano molto più necessario al sud. Il 14 settembre 1939, sempre
la Pirelli e l’IRI costituiscono la Società Anonima Industria Gomma Sintetica
(SAIGS per la produzione di butadiene o gomma sintetica a partire
dall’acetilene (carburo di calcio) secondo un brevetto tedesco in concessione
alla Bicocca. Per lo svolgimento di questa attività sono previsti due stabilimenti,
uno a Ferrara e uno a Terni. Nell’ottobre 1943 la linea per la produzione della
gomma sintetica non era stata però ancora completata. L’avanzata delle truppe
alleate indusse i tedeschi ad asportare i macchinari già installati per
proseguire la produzione in Germania.
Non
bisogna mai dimenticare che il fascismo fu un movimento creato, finanziato e
portato al potere dal grande capitale nazionale.
Ecco che cosa ebbe a dire, rievocando l’avvento del fascismo, in un discorso pronunciato
nel 1932, il dott. Pirelli:
«Il
26 ottobre 1922 un gruppo di uomini, che oggi sono tutti qui presenti, andarono
da Benito Mussolini al “Popolo d’Italia”, in via Lovanio, a confermargli, quali
interpreti degli ambienti direttivi della produzione e degli scambi, i
gravissimi danni derivanti all’economia nazionale dallo stato di confusionismo
anarchico in cui versava il Paese dopo la mutilazione della Vittoria, ed
insieme ad esporgli talune particolari preoccupazioni del momento, in rapporto
all’andamento del credito, al corso dei titoli di Stato, al credito del paese
verso l’estero. Il Duce interrogò, rispose, ci trattenne a lungo; e quelli del
gruppo che non avevano mai avvicinato prima di allora il Capo del grande
movimento rivoluzionario in atto, restarono ammirati di trovare un uomo che i
problemi in questione discuteva con grande ponderazione, con vivo senso della
loro importanza e complessità, rivelando la volontà di dominare anche questa
materia» (E. Rossi, cit. pp. 87-88).
Che
cosa ebbe da guadagnare Alberto Pirelli, pronta cassa, con il suo appoggio al
fascismo? Un esempio è dato dal decreto dell’8-9-1923, n. 399, con il quale il
governo cedeva all’industria privata gli impianti telefonici di Stato per una cifra
di molto inferiore al loro valore. Pirelli non fu secondo a nessuno di quanti
beneficiarono.
Alberto
Pirelli è un uomo di gran classe, pronto a “fare affari con chiunque, e sotto
qualunque regime. Eccolo critico – scrive Luzzatto – della scelta mussoliniana
di muovere guerra all’Etiopia, nel 1935, eppure sollecito, dopo lo scoppio
della guerra, nel rifornire segretamente [cioè eludendo le sanzioni decretate
dalla Società delle Nazioni] il Regio Esercito con maschere antigas”, le quali,
ovviamente, non servivano per proteggersi dalle zanzare. Fu ostile alla guerra
nel 1940, ma zelante servitore del regime fino al luglio 1943e poi della
Repubblica di Salò, nel contribuire alla mobilitazione industriale dell’Asse,
ma verso la fine del conflitto prese a finanziare, residente in Svizzera, i
partigiani. Dopo il conflitto, seguì una brevissima parentesi di
pseudo-epurazione, quindi tornò, intonso il proprio patrimonio, come AD della
Pirelli e come “consigliere informale di De Gasperi”.
Per
comprendere meglio ancora di che pasta sono fatti questi grandi borghesi
cosmopoliti, vale rilevare il comportamento di Alberto Pirelli come
collaboratore dell’industria chimica tedesca (IG Farben) per la fabbricazione
della gomma sintetica (la cosiddetta “Buna”). La collaborazione di Pirelli
continuò anche negli impianti IG Farben situati nei territori occupati dai
nazisti, a cominciare da quello di Buna-Monowitz, cioè Auschiwitz [*]. Tale
impianto nell’aprile 1942 fu visitato dal figlio di Alberto, Giovanni, prima
che diventasse partigiano. Un partigiano singolare, posto che operava nel Terzo
Reich come ispettore della manodopera italiana ridotta in schiavitù legale.
Questo
fu sostanzialmente Alberto Pirelli, “un uomo per bene che passa tremendamente
vicino al male”, ci dice Luzzatto nella sua recensione. No, Alberto Pirelli non
fu un qualunque passante, certamente non un uomo innocente.
«A mezzogiorno avevamo avuto l'inattesa visita di Alberto Pirelli, che per tanti e tanti anni ci aveva dimenticati. Anni di orbace. Lo ritrovo invecchiato e però sempre ansioso di far buona impressione. Che altra allure suo padre, salito da modestissime condizioni ma signore per diritto naturale! Come ricordo le lezioni di patriottismo fascista che questo Alberto aveva osato dare a papò, riscuotendo, credo, quel che si meritava!» (Elena Carandini Albertini, Passata la stagione ..., Passigli, p. 378).
***
[*]
Scrive Primo Levi in Se questo è un uomo,
cap. VII: La Buna è grande come una città; vi lavorano oltre ai dirigenti e ai
tecnici tedeschi, 40.000 stranieri, e vi si parlano 15 o 20 lingue. Tutti gli
stranieri abitano in vari Lager che alla Buna fanno corona: il Lager dei
prigionieri di guerra inglesi, il Lager delle donne ucraine, il Lager dei
francesi volontari, e altri che non conosciamo. Il nostro Lager fornisce da
solo 10.000 lavoratori che vengono da tutte le Nazioni d'Europa; e noi siamo
gli schiavi degli schiavi, a cui tutti possono comandare, e il nostro nome è un
numero che portiamo tatuato sul braccio e cucito sul petto.
Oltre
che del lager e della fabbrica, Buna è il nome del prodotto sintetico. Deriva
da Butadiene e Sodio (Natrium, in tedesco). Nei primi giorni del 1941, il dott.
Otto Ambros dell’IG-Farben, individua il luogo dove sarà costruito il complesso
industriale. Si tratta della località di Dwory, a pochi chilometri da Oświęcim
(Auschwitz in tedesco). Auschwitz cominciò a generare una rete di campi
secondari al suo esterno, 34 in tutto, dove i prigionieri lavoravano in un
cementificio… una miniera di carbone… un’acciaieria… un calzaturificio.. ecc..
Uno di questi sotto-campi, il maggiore, era l’impianto dell’I.G. Farben-Buna.
Le condizioni a Buna erano simili a quelle di Auschwitz, gli appelli all’alba,
le razioni da fame, i ritmi infernali di lavoro, le percosse. I prigionieri che
morivano, dozzine ogni giorno, dovevano essere riportati al campo la sera, in
modo da essere sorretti e contati all’appello del mattino dopo. In totale,
circa 25.000 persone furono uccise nell’impianto dell’I.G. Farben. Uno dei
misteri irrisolti di Auschwitz è che questo impianto, costruito a prezzo di
indicibili sofferenze, non produsse mai un grammo di gomma sintetica. La
produzione, secondo i programmi, sarebbe iniziata il primo febbraio 1945. I
russi arrivarono tre giorni prima e tutto quell'immenso insieme di laboratori
diventò un cimitero di tubi e cemento. Nonostante i rapporti col nazismo, la
I.G. ha continuato ad avere stretti rapporti tecnici e commerciali con le
industrie chimiche internazionali e americane fino alla fine del 1941. La
Standard Oil acquistò i brevetti per la produzione di benzina sintetica dal
carbone, secondo una tecnica messa a punto da Bergius, e la Standard a sua
volta mise a disposizione della I.G. la tecnica per la produzione di gomma
sintetica Buna, che si rivelò utilissima per il funzionamento dei carri armati
impiegati poco dopo contro i soldati americani. La Ethyl Corporation americana
(50 % Standard Oil e 50 % General Motors), in grado di produrre negli anni
trenta il piombo tetraetile (l'antidetonante per benzine d'aviazione ad alto
numero di ottani) in regime di monopolio (quasi totale), mandò 500 t. di piombo
in Germania alla vigilia dell'occupazione della Cecoslovacchia.
In
Italia, durante il periodo dell’autarchia le difficoltà di approvvigionamento
di materie prime fanno intensificare le ricerche di prodotti e processi
industriali alternativi a quelli precedentemente adottati. Si vedono quindi
sperimentazioni con il coke, gas metano, benzine di scisti e lignite, alcol ed
ammoniaca. La società SIRI mette a punto il suo processo di sintesi del
metanolo (già utilizzato come combustibile, per la produzione di materie
plastiche e di esplosivi). Nel 1938 l’IRI e la Pirelli, sollecitate dal
Ministero dell’Industria, costituiscono la Società Agricola Italiana Gomma
Autarchica (SAIGA) per lo sfruttamento del Guayule. Tra il 1936 e il 1937 il
Centro Chimico Militare, aveva ottenuto la collaborazione della statunitense
International Rubber Co. per la coltivazione, in Puglia, del guayule. Da questa
pianta di origine messicana poteva infatti essere estratta della gomma. A
quella data il fabbisogno nazionale di gomma è stimato in 30.000 t/anno e la
SAIGA prevede di poterlo soddisfare per un terzo. Lo scoppio del conflitto
mondiale e poi l’entrata in guerra dell’ Italia interrompono i contatti con i
tecnici americani e nel 1943 l’impresa viene chiusa e i campi del tavoliere
riconvertiti a grano molto più necessario al sud. Il 14 settembre 1939, sempre
la Pirelli e l’IRI costituiscono la Società Anonima Industria Gomma Sintetica
(SAIGS per la produzione di butadiene o gomma sintetica a partire
dall’acetilene (carburo di calcio) secondo un brevetto tedesco in concessione
alla Bicocca. Per lo svolgimento di questa attività sono previsti due stabilimenti,
uno a Ferrara e uno a Terni. Nell’ottobre 1943 la linea per la produzione della
gomma sintetica non era stata però ancora completata. L’avanzata delle truppe
alleate indusse i tedeschi ad asportare i macchinari già installati per
proseguire la produzione in Germania.
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