giovedì 25 marzo 2010

Corsi e ricorsi/3


[continua da QUI]

Gli anni Trenta sono stati un decennio di guerra commerciale, di protezionismo globale,  tra paesi divisi su tutto: sui dazi protezionistici, sul cambio, sui pagamenti, ecc.. La Conferenza economica mondiale che si tenne nel 1933 non approdò a risultati: gli Usa rinviarono la riduzione dei propri dazi e lasciarono il dollaro in caduta libera nonostante la Gran Bretagna chiedesse una stabilizzazione del cambio. Come sempre, il rapporto import-export è la chiave di lettura del periodo storico considerato, tanto più per un paese come la Germania, povero di materie prime (salvo il carbone, mentre con la perdita dell’Alsazia-Lorena, le materie ferrose dovettero venire importate dalla Scandinavia) e con un’agricoltura largamente insufficiente. Essa era, dopo la GB, il maggior paese industriale d’Europa; la GB il maggior paese esportatore verso la Germania. La politica economica nazista si caratterizzò su due punti: la moratoria unilaterale sul debito e una corsa al riarmo senza precedenti.

Questa politica economica fu varata in una riunione di gabinetto tenuta l’8 giugno del 1933. Le proteste, soprattutto della City londinese, contro la moratoria sui debiti, portarono ad una mezza marcia indietro dei tedeschi; il riarmo invece comportava investimenti pari a 35 miliardi di marchi (5-10% del PIL) in otto anni. Una cifra enorme per un paese con un reddito pro capite basso. Mentre la spesa pubblica per la creazione di lavoro consisteva nella riallocazione dei fondi destinati agli enti locali, la spesa per finanziare le “misure speciali”, le spese in armamenti, comportavano forti importazioni a fronte di una riserva in valuta estera assolutamente esigua, non sufficiente nemmeno per le partite correnti.

Bisogna tener conto che il marco aveva un rapporto di cambio assai sfavorevole e ciò aveva consentito, fino a quel momento e a fronte dell’indebolimento delle altre monete, grande vantaggio nei pagamenti sull’estero. Era però fuori discussione, dati gl’ingenti debiti esteri, pensare ad una sua svalutazione in modo da poter favorire le esportazioni, così come stavano facendo soprattutto gli Usa con il dollaro e la GB con la sterlina, svincolata dalla parità aurea.

Se l’economia interna tedesca cresceva, le esportazioni stavano declinando paurosamente: nel 1933 furono inferiori all’anno precedente, con un differenziale ancor più negativo negli ultimi mesi dell’anno. Nel 1934 il trend proseguì con ricavi in discesa del 20% sul già pessimo 1933 (mentre la spesa pubblica prevalentemente dovuta agli armamenti arrivò a toccare nel 1935 un aumento del 70% rispetto ai livelli del 1928). Senza valuta estera la Germania diventava insolvente e non poteva importare. I distretti industriali centrali e orientali, le grandi città commerciali della valle del Reno, e le città del Blatico e del Mare del Nord dipendevano dal commercio estero. La colpa di queste difficoltà era attribuita, manco a dirlo, ai comunisti e agli ebrei.

Nel 1934 la Germania era a meno di un passo dal disastro finanziario. Si trattava di trovare un rimedio: esportare senza svalutare. La risposta fu data da Hjalmar Schacht, potente presidente della Reichbanck.

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