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In chi vede nel celibato la causa o uno dei motivi principali degli abusi sessuali con protagonisti il clero e i religiosi, dovrebbe riflettere sul fenomeno pederastico nell’antica Grecia (largamente diffuso soprattutto tra le classi alte e propagandato dai media antichi, ad es.: Medea e il mito sull’origine dei sessi nel Simposio, ma anche nella produzione vascolare, statuaria, ecc.); quindi le forti similitudini e le differenze (specie sul piano giuridico in riferimento alla prostituzione maschile) con la Roma antica nelle sue diverse epoche, nonché il ruolo della donna nelle due società. In Grecia, per rimanere sull’esempio più noto, il modello di rapporto educativo pederastico aveva radici legate alla tradizione, dorica e cretese, e si richiamava a pratiche più antiche di iniziazione dei giovani maschi. Quindi la questione del celibato, in rapporto al problema della “pedofilia”, può avere un qualche motivo di considerazione, ma solo in via molto subordinata.
Il penultimo libro di Eva Cantarella, Secondo natura, offre in questo senso molto materiale per una riflessione (in part. pp. 121-26 per la Grecia, pp. 138-39 sulla concezione dello stupro nella società romana, da p. 141 sulla lex Scatinia, ecc.), non ultimo il capitolo sulla trasformazione della morale pagana, processo in atto già a partire dalla prima età imperiale e ancor più nel tardo antico ma del tutto indipendente da ogni influenza cristiana.
Scrive Cantarella a p. 243: L’idea di una contrapposizione tra la carne e lo spirito, tra la ragione e le pulsioni, tra la componente materiale e quella immateriale dell’essere umano non è […] novità cristiana. Diversamente formulata, essa è presente nella cultura pagana, ne attraversa la storia.
[Tuttavia] la tendenza alla continenza, al controllo di sé, talvolta addirittura all’astinenza aveva fatto sì, indiscutibilmente, che ai rapporti fra uomini si guardasse con una certa perplessità […] Ma non perché «contro natura»: semplicemente perché non finalizzati alla riproduzione [sempre più acuto, specie nelle classi alte diventava il problema della denatalità, e con le invasioni e le crisi, le epidemia, quello demografico più in generale]. E, di conseguenza, riprovava esattamente allo stesso modo il rapporto eterosessuale non procreativo [p. 259].
L’omosessualità in sé, insomma, nell’etica tardo pagana, non è ancora espressione di una sessualità riprovabile. Quando si manifesta nell’assunzione del ruolo attivo, essa fa ancora parte di diritto del mondo del desiderio: preoccupa ed è biasimata solo quando è effeminatezza. […] L’unico rapporto omosessuale contro natura […], è quello fra donne […]: una collocazione questa che si iscrive perfettamente nella visione maschile repressiva della sessualità femminile [pp. 260-61].
È molto difficile, in verità […], non pensare al cristianesimo come a una delle cause, per non dire alla causa fondamentale e determinante del mutamento della politica legislativa, del suo progressivo inasprirsi, e soprattutto dell’estensione del campo dei comportamenti omosessuali puniti.
Fin qui l’ottimo lavoro di ricostruzione “filologica” dell’Autrice. Tuttavia il cristianesimo non va inteso semplicemente come una semplice sovrastruttura, ossia come mera risposta ideologica in un’epoca di crisi degli antichi istituti. Sotto le sembianze di una riforma religiosa radicale, l’organizzazione ecclesiastica cristiana fu agita come protagonista attiva del progetto di riassetto dell’esistente, in grado cioè di offrire il necessario ricambio delle élites ormai inadatte a far fronte agli imponenti cambiamenti nelle condizioni sociali ed economiche (ed è in tale chiave interpretativa che, per esempio, Peter Brown legge la vicenda di Ipazia). L’intuizione di Costantino, il christianismus politicus, fu davvero rivoluzionaria, cioè la svolta di un uomo audace e pragmatico, sebbene incapace, altresì, di “momenti di raccoglimento interiore” (Burckhardt). Questa vicenda delle origini dovrebbe portare a considerare, al di là di certi concioni dei gerarchi del clero, volti ad rassicurare le anime belle, come la coscienza di ogni uomo in ogni epoca risulti essere in stretta dipendenza con il proprio ambiente ideologico e sociale.
Messo in secondo piano il celibato, il quale resta comunque questione connessa alla separazione e alla vana sublimazione delle inquietudini, l’abuso sui minori da parte dei preti e religiosi, lo scandalo sessuale, così come altri di diversa natura, rinvia a determinazioni che riguardano segnatamente il modo di essere della chiesa cattolica e, di riflesso e in particolare, i fondamenti della sua organizzazione, il suo potere totalitario, la sua ideologia, idiosincratica di ogni autentica diversità e alterità. Il sentirsi depositari di un potere e di un ruolo di privilegio, ha fatto dei preti una falange tebana che in tutte le situazioni in cui svolge un ruolo nell’àmbito della formazione e dell’affidamento di minori, assume “naturalmente” atteggiamenti e comportamenti di seduzione, soprafazione e abuso, tanto più perché sa che tali pratiche saranno comprese, tollerate, all’occorrenza negate e occultate fin dove possibile, e in definitiva non punite dalla gerarchia.
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Sulla storia del celibato ecclesiastico, resta, per molti aspetti, ancora molto utile l’opera di Henry Charles Lea, in due volumi, pubblicati in Italia (Mendrisio, Svizzera, per aggirare certi problemi) nel 1911 e che si possono ancora recuperare presso il mercato antiquario (data la veste editoriale e il tipo di carta versano sempre in uno stato pietoso). L’Autore, un erudito di altri tempi, fu socio onorario della nostra Accademia dei Lincei. Divenne molto noto per l’insuperata e poco citata, oggi, storia dell’inquisizione spagnola.
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