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La fede […], nel senso più stretto e quindi intimo della parola, non è altro che la convinzione o la certezza della soddisfazione del desiderio: della sua passata soddisfazione se il desiderio è rivolto al futuro, di quella già realizzata se esso è rivolto al presente. Un chiaro esempio e, al contempo, una prova evidente di questa antecedenza del desiderio rispetto alla fede è la fede nell’immortalità. Non si desidera l’immortalità perché vi si crede o perché se ne ha addirittura prova, ma visi crede e la si dimostra perché la si desidera. Certo, in colui per il quale la fede è soltanto tramandata questo desiderio può essere generato unicamente attraverso le rappresentazioni della fede religiosa; ma, in colui che genera autonomamente la rappresentazione dell’immortalità, l’origine della fede è il desiderio. Senza il desiderio di non morire, infatti, ad un mortale non sarebbe mai venuta in mente l’immortalità. La fede produttiva, originaria – e soltanto questa è quella decisiva, quella che fornisce il termine di paragone –, la fede non artefatta né ripetuta pedissequamente, è una fede vivente, ma la sua anima vivificate è soltanto il desiderio. Al contrario, una fede che non sia espressione di un desiderio e che, poiché trasmessa, non porti alla luce nell’uomo il medesimo desiderio dal quale è originariamente sorta, è una fede morta, insignificante e inutile.
Ludwig Feuerbach, Teogonia, Laterza, 2010, p. 39.
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Provo a metterci una frasetta di commento: il desiderio è la fonte originaria della fede; al contrario, una fede che non sia espressione del desiderio, una fede trasmessa, è una fede dell’angoscia, come lo può essere la fede cristiana. Tutto molto bello, però Feuerbach è ancora, nonostante il notevole passo avanti, negli impacci tipici dell’idealismo. Meglio sarebbe stato trattare l'opposizione tra il potere assoluto del desiderio e il potere miserabile e usurpato dei preti.
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