Al tempo del comunismo di stato, gli operai polacchi erano i meno produttivi dell’Europa dell’Est. Perfino il cardinale Wyszynski, il 26 agosto 1980, mentre era in atto un esteso sciopero degli operai di Danzica, ebbe a dire che i lavoratori polacchi erano famosi per la loro scarsa produttività, sottolineando che tutti, e non lo stato soltanto, erano responsabili del collasso economico. Tuttavia, alla popolazione era garantita l’istruzione (con precedenza per i figli dei ceti proletari), la sanità, modestissime abitazioni, il pane, le patate, il latte e anche la carne e qualche svago. Lec Walesa, nel 1981, alla Tv francese, dichiarò: “Naturalmente voi vivete meglio di me, possedete più cose, ma siete anche più felici?”. Ai giapponesi disse invece che i loro diritti erano “schiacciati dal progresso”, che vivevano in un regime di “inarrestabile competizione”.
La Polonia era anche un paese dove c’era una diffusa piccola proprietà privata, però mancava soprattutto di un bene molto prezioso, la libertà.
Ora le cose sono cambiate. L’operaio polacco è diventato il più produttivo. Negli stabilimenti della Fiat, dove si producono le Cinquecento, i risultati sono strabilianti. Il salario medio è equivalente a circa 220 euro, ma nel 2009 si sono lavorati 38 sabati e 9 domeniche e coloro che fanno molti straordinari possono arrivare all’equivalente di oltre 400 euro mensili.
Quando escono dalla fabbrica, l’operaio e l’operaia polacchi non trovano più i negozi semivuoti, ma ben forniti. Solo che un paio di scarpe medie costa oltre l’equivalente di 50 euro, e le altre merci hanno ugualmente prezzi altissimi per i redditi operai. Nemmeno le automobili che producono sono alla portata del loro salario: serve la paga di 4 anni per acquistarne una. Per non parlare poi dei prezzi delle abitazioni. Insomma, i negozi sono pieni ma le tasche sono vuote o quasi.
Comunque hanno conquistato finalmente la libertà. Possono pregare la Madonna nera, ma anche prima lo potevano fare; possono scioperare, ma sono 15 anni che alla Fiat non c’è un’ora di sciopero; possono protestare, ma non c’è più nessuno che raccoglie le loro doglianze.
A che serve la libertà se non la si può usare?
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