Avete presente l’evento Carriton? Quello del 1859, perché pare che ce ne furono anche altri. Ebbene, vi sto per raccontare, in anticipo come sempre, che cosa potrebbe accadere nel 2024, oppure nel 2025 o 2026, non troppo oltre. Tenetevi forte, oppure “toccatevi”, se credete.
Il Sole è una stella e, come molte stelle, è costituito essenzialmente da idrogeno. Questo elemento è molto semplice: un nucleo elettricamente carico, chiamato protone. E una particella elementare, anch’essa carica elettricamente, un elettrone, 1.836 volte più leggero del protone. Ma il Sole è così caldo che i due sono dissociati: una zuppa di protoni e una nuvola di elettroni.
Come una zuppa che bolle, il Sole sperimenta l’evaporazione. Si chiama “vento solare”. La sua velocità media a livello terrestre è di 1,3 milioni di chilometri orari, ma la variabilità è grande. Questo vento solare è fatto ovviamente di protoni ed elettroni, cioè di elettricità che si muove.
Non serve essere delle massaie provette per sapere che la bollitura della zuppa genera dei getti, particelle di liquidi, espulsi violentemente dal calore. Per il Sole il meccanismo è diverso, ma l’effetto è lo stesso. Quando questi materiali sono espulsi vicino alla superficie, vengono chiamati brillamenti solari, diretti verso la Terra. Così come si può leggere su Wikipedia, nel 1859, un’eruzione solare causò interruzioni nelle reti telegrafiche: gli operatori del codice Morse videro le loro macchine prendere fuoco spontaneamente.
Questo evento fu il primo ad essere stato documentato da due osservatori inglesi, Richard Carrington e Richard Hodgson. Ma porta solo il nome del primo. Diciassette ore dopo, il campo magnetico terrestre (ne ho già accennato in altro post a proposito del cambiamento climatico) è diminuito del 4% e l’aurora boreale è apparsa a Roma, a Cuba, alle Hawaii, in Messico. Come tutti sappiamo, l’aurora boreale è una conseguenza dell’attività solare che impatta con il campo magnetico terrestre (*).
Un’eruzione sulla superficie solare può essere così violenta che il suo vento diventa relativistico. Entrando nell’atmosfera, i suoi protoni generano per collisione una serie di particelle, in particolare carbonio 14 e berillio 10. Scienziati giapponesi hanno trovato tracce di questi radionuclidi risalenti all’anno 775, e poi al 993.
Una tempesta solare 1.000 volte più energetica dell’evento Carrington può verificarsi ogni cinquemila anni circa; una tempesta solare “solo” 100 volte più energetica ogni ottocento anni. Per un evento di Carrington abbiamo diverse stime: centocinquanta anni secondo i Lloyd’s, uno di quei mostri internazionali che sono allo stesso tempo banchieri, assicuratori e riassicuratori.
Fatti due conti, sono già passati 164 anni, dunque siamo nel periodo statistico di un nuovo evento Carrington. Il 2024 potrebbe essere candidato all’evento. E anche nel periodo statistico di un Carrington moltiplicato per 100. Lo so, questa non ci voleva, proprio quest’anno che avete prenotato lunghi viaggi esotici.
E allora? Dato che il pianeta ha già attraversato tali eventi senza soffrire tipo nel novembre scorso), perché preoccuparsene? Nella migliore delle ipotesi vedremo le luci polari da Napoli ... . Non è così semplice. Le nostre società tecnologiche utilizzano ormai gli stessi vettori del Sole: elettricità e radiazioni. Non sorprende quindi che siano diventate sensibili ai capricci della meteorologia spaziale. Dipende dall’intensità di queste tempeste geomagnetiche.
Immaginiamo il peggio. Ci tengo a precisare che l’ipotesi è molto seria, ed è oggetto di molte ricerche. Se si verificasse un nuovo evento Carrington, e fosse della potenza di 100 Carrington, il lampo di radiazione solare raggiungerebbe la Terra in otto minuti, espandendo l’atmosfera superiore. Cosa troviamo a quell’altezza? Ebbene, 8.800 tonnellate di oggetti spaziali, ovvero 34.000 frammenti più grandi di 10 cm, che viaggiano a circa 8 km al secondo. Sono 10 volte più grandi e 10 volte più veloci di un proiettile di fucile di grosso calibro.
Questi frammenti possono facilmente far esplodere un pannello solare, strappare un’antenna, perforare una cabina, perché nessuna delle loro schermature resisterebbe a quei frammenti lanciati a tali velocità e con una sezione effettiva superiore a 2 cm. Pare siano stati identificati e tracciati 22.300 di questi oggetti. Ma che dire dei 900.000 frammenti da 1 a 10 cm e dei 128 milioni di oggetti più piccoli? Circolano a casaccio come tanta polvere pericolosa sopra le nostre teste.
Bene, ok, il cielo è una discarica. Ma questi rifiuti sono in orbita, sotto controllo, possiamo stare relativamente tranquilli. Forse per l’ultimo dell’anno, ma per l’anno nuovo? Sotto l’effetto dell’espansione atmosferica causata dal vento solare perdiamo il controllo di quegli oggetti.
Attraverso una reazione a catena chiamata “sindrome di Kessler” – come nel film Gravity – questi detriti spaziali si scontrano tra loro e si moltiplicano in frammenti più piccoli. La maggior parte dei nanosatelliti, tipo quelli di Elon Musk, vengono spazzati via come coriandoli. Le loro dimensioni e massa impediscono che siano dotati di motori ausiliari: sono perduti, e alla fine colpiranno la Terra dopo essersi incendiati al rientro nell’atmosfera.
L’aumento della radiazione moltiplica il contenuto elettronico totale della ionosfera (lo strato superiore dell’atmosfera). Le onde GPS vengono interrotte e anche i sistemi a doppia frequenza iniziano a funzionare male. Il sistema non sa più dove localizzarti. Stai guidando e pensi che tutto sommato è poca roba, stai ascoltando My way cantata da Sid Vicious e hai sempre la vecchia carta stradale da qualche parte. Ahi no, l’hai gettata nel cesso. Per le dighe idroelettriche il cui movimento è monitorato con GPS, è ancora meno divertente. Qui da noi non sarà un nuovo Vajont, ma altrove?
Allo stesso tempo, il lampo di luce acceca diversi radar aeroportuali, come è successo in Svezia nel 2005. I controllori non sono in grado di guidare gli aerei, creando enormi ingorghi nel traffico aereo. A quel punto non sappiamo ancora se la nube di plasma dell’eruzione raggiungerà l’orbita terrestre: la prima si muove ormai a 5 milioni di chilometri orari, la seconda a 107.000 km/h attorno al Sole.
Ma non è finita. Se la nube di plasma proveniente dal Sole raggiunge l’orbita terrestre, l’elettronica di bordo dei satelliti, qualunque sia la loro orbita, potrebbe subire danni se vengono privati di pannelli solari ed elettronica. Molti di loro diventano dei girovaghi spaziali: si perdono. Le comunicazioni si interrompono, Internet è in tilt a livello mondiale, con tutte le conseguenze che vi lascio immaginare. Tipo: non potrete più collegarvi a questo blog. Gli sfortunati astronauti della Stazione Spaziale Internazionale ricevono dosi letali di protoni. Moriranno più o meno rapidamente come con un cancro accelerato.
Al suolo le correnti indotte dalla corrente elettrica del vento solare si amplificano. Le centrali elettriche sul loro percorso si surriscaldano, i trasformatori di alcune si sciolgono, come è avvenuto in Canada nel 1989. È imperativo ridurre la tensione, ma questo non è possibile con le centrali nucleari. Oh cazzo, le centrali nucleari, non ci avevamo pensato, tremo quando penso alle mini centrali nucleari progettate dal governo sul nostro territorio. Ma anche le altre non sono lontane.
In caso di problemi di questo tipo non puoi rivolgerti ai promotori delle centrali nucleari per escogitare una “soluzione realistica”. L’energia prodotta dal reattore deve essere “evacuata” a tutti i costi. Tuttavia, la tempesta geomagnetica può benissimo sciogliere le bobine elettromagnetiche che consentono ... . Avviene lo stesso se l’elettronica dei robot addetti al monitoraggio della radioattività negli spazi ristretti delle centrali elettriche non è protetta da campi elettrici intensi.
In generale tutta l’elettronica di bordo non può che soffrirne. Come in Germania all’inizio degli anni 2000, i treni si fermarono. Gli aerei non sono da meno. Gran parte della flotta aerea è a terra. Le comunicazioni sono tutte interrotte, soprattutto le comunicazioni HF che vengono ancora utilizzate negli aeroporti, ma soprattutto in ambito militare.
In tale disastro ci sono però anche delle buone notizie: le operazioni militari sul campo sarebbero ferme perché gli eserciti sarebbero finalmente diventati sordi e muti. Infine, un grande affronto: le società più resilienti, quelle che riuscirebbero a resistere a questa tempesta, sono quelle meno avanzate tecnologicamente.
Oltre a ciò, immaginiamo lo scenario finanziario: le compagnie di assicurazione non riescono più a far fronte ai rimborsi per centinaia di satelliti danneggiati e migliaia di voli sospesi. Vanno in bancarotta. I loro azionisti, le maggiori banche mondiali, vengono trascinati giù con loro: l’intero sistema finanziario globale sta crollando come un castello di carte spazzato via dal vento solare. Ecco perché l’OCSE, a seguito di un rapporto pubblicato nel 2011, ha classificato le tempeste geomagnetiche tra i cinque rischi planetari, accanto ai rischi finanziari sistemici, ai rischi informatici, ai disordini sociali e alle pandemie.
Che cosa possiamo fare a fronte ad un evento che, prima o poi, accadrà?
Non molto. Dobbiamo ovviamente interrompere tutti i lanci di certi satelliti. Tranne quelli di quell’idiota di Elon Musk, che ha già perso 40 satelliti dalla sua flotta privata nel febbraio 2022 per questo motivo perché pensa di essere più forte e scaltro del Sole (una tempesta geomagnetica di classe G-1, ma la scala arriva a G-5).
Axa, il terzo assicuratore spaziale al mondo, ha incluso la meteorologia spaziale tra i rischi emergenti. Il loro obiettivo: definire gli standard spaziali che proteggano da una simile tempesta e garantire solo i satelliti che siano conformi, anche se pesano il doppio.
L’esercito americano ha un battaglione meteorologico spaziale. Non c’è dubbio che altre potenze abbiano i loro. Ma è top secret. L’Agenzia spaziale europea (ESA) prende molto sul serio la meteorologia spaziale. Spendono molti soldi in vari studi, codici di previsione e osservazioni terrestri o spaziali. Le compagnie petrolifere, i grandi gruppi industriali, le compagnie spaziali private non comunicano, oppure nascondono la testa sotto la sabbia (ad esempio i data center), con un argomento forte: gli scienziati non sono in grado di dirci quando accadrà. Perché dovrebbero spendere grandi cifre per un pericolo che si verificherà tra cinquanta, cento o mille anni? Certamente, ma ciò potrebbe accadere anche domani.
(*) La Terra, a differenza di Marte, presenta un buon campo magnetico terrestre che devia il vento solare. A differenza di 50 anni fa, lo spostamento del polo nord magnetico è oggi maggiore di circa quattro volte e ciò corrisponde ad una diminuzione di intensità del campo magnetico terrestre, con tutte le conseguenze del caso. La butto lì come mera ipotesi, come semplice domanda: i quasi 2.500 test nucleari c’entrano nulla con tutto ciò? E, più in generale, quali effetti a medio-lungo termine possono aver avuto, direttamente o indirettamente, tali test sul cambiamento climatico?