venerdì 29 dicembre 2023

Un libro per chi ha voglia d'imparare qualcosa


Segnalo l’uscita di un libro che non è destinato a quel “popolo” di tifosi al quale alludevo nel post precedente, cioè a coloro che sanno già tutto e possiedono una granitica opinione su qualunque argomento. È un libro molto documentato e decentemente equilibrato, cosa rara, davvero rara, per il tema trattato: L’invenzione del Medio Oriente, Neri Pozza, 20,00.

La storia del Medio Oriente è stata rimodellata fino ad assumere la configurazione che conosciamo oggi. Questa storia ruota attorno a tre promesse, in parte contraddittorie, che la Gran Bretagna fece nel corso delle ostilità della prima guerra mondiale.

Agli arabi, più precisamente ad al-usayn ibn ʿAl, dell’antica dinastia hashemita, a capo della penisola arabica dove si trovano la Mecca e Medina (ma il resto del territorio era sotto controllo delle dinastie avversarie), i britannici, tramite l’Alto commissario per l’Egitto, Sir Henry McMahon, promisero, in caso di vittoria degli alleati e in cambio della sollevazione araba e la rivolta armata contro gli ottomani, una “indipendenza” e uno Stato esteso su quasi tutti i territori di lingua araba dell’impero ottomano.

Tra parentesi: dopo la guerra, gli arabi sostennero che la promessa di McMahon aveva incluso anche la Palestina nell’area destinata alla sovranità araba; i sionisti, appoggiati dal Foreign Office, affermavano invece che McMahon, pur essendosi espresso in modo contorto, l’avevo esclusa (*).

Alla Francia, con l’accordo Sykes-Picot (un cinico atto di avidità imperiale), i britannici promisero il governo diretto sulla costa del levante da Tiro (Libano) ad Alessandretta e Mersin (Turchia meridionale) passando per Latakia (Siria) e il controllo indiretto su un’area che abbracciava l’odierna Siria e la regione di Mosul (Iraq settentrionale), oltre all’amministrazione congiunta, assieme alla Gran Bretagna, sul cuore della Palestina (in base a questo stesso accordo, i britannici avrebbero ottenuto il governo diretto sulle aree di Baghdad e Bassora e il controllo indiretto sulla Transgiordania, l’Iraq occidentale e l’area di Kirkuk); infine e come terza promessa, i britannici s’impegnarono col movimento sionista per la creazione di una “casa nazionale” ebraica in Palestina (**).

Il famoso Thomas Edward Lawrence venne a conoscenza dell’accordo segreto Sykes-Picot solo dopo aver mobilitato le tribù beduine per combattere gli ottomani in nome del nazionalismo arabo. La promessa deliberatamente vaga di indipendenza della Gran Bretagna agli arabi una volta sconfitti turchi e tedeschi puntava in realtà a spartirsi con la Francia e molto limitatamente con la Russia zarista l’ex impero ottomano. Nonostante una lunga serie di negoziati e intrighi, nonché la creazione di uno stato arabo indipendente di breve durata sotto l’emiro Faisal usayn, l’accordo Sykes-Picot fu mantenuto.

In verità va rilevato che la rivolta delle tribù beduine non diede un contributo decisivo alla vittoria degli alleati nello scacchiere del Vicino Oriente, poiché tale successo fu dovuto principalmente all’avanzata verso nord del generale Edmond Allenby alla testa delle truppe regolari alleate, dal Sinai attraverso Gaza e Gerusalemme negli ultimi mesi del 1917 e attraverso la Galilea e Damasco fino ad Aleppo nel settembre-ottobre 1918. Le truppe beduine cammellate, una realtà totalmente tribale (il nazionalismo panarabo è un mito, tanto è vero che come forza di coagulo prevale l’islamismo), marciarono verso nord da Yenbu ad Aqaba fino a Damasco, dove Allenby aveva permesso a Faisal, figlio di al-usayn, di entrare prima di lui.

La Conferenza di pace di Parigi del 1919, fu in gran parte dedicata a far quadrare il cerchio delle promesse britanniche (come si ricorderà anche all’Italia per quanto riguarda la questione adriatica e più marginalmente anche a riguardo della spartizione della “carcassa del turco”). Scrive Faught: « [...] la Conferenza di pace di Parigi continuò a riunirsi per altri tre mesi, fino a concludersi in giugno, ma non arrivò mai a risolvere la situazione geopolitica del Medio Oriente e men che meno la richiesta degli arabi.»

Dopo la conferenza di Sanremo nell’aprile del 1920, che tenne impegnati sul tema dei “mandati”, così come era stato stabilito a Parigi l’anno precedente, la conferenza che disegnò il Medio Oriente dopo la caduta dell’impero ottomano e quale noi oggi conosciamo, si tenne al Cairo nel 1921, ed è appunto di tale conferenza che parla prevalentemente il libro di C. Brad Faught.

Scrive Faught: «A complicare le cose in una situazione che nel Medio Oriente era già difficile si aggiungeva poi la costante pressione esercitata da Chaim Weizmann e dai suoi sodali sionisti sui britannici, perché tenessero fede alla promessa contenuta nella Dichiarazione di Balfour. Allenby [comandante dell’Egyptian Expeditionary Force] ammetteva che le loro pretese si sarebbero scontrate in modo irreversibile con circa 600.000 arabi che risiedevano stabilmente in Palestina, anche perché la popolazione ebraica era di gran lunga inferiore e si posizionava attorno alle 60.000 persone soltanto. In dicembre scrisse al ministero della Guerra che “bisogna prendere atto che le aspirazioni a una nazionalità araba contano poco in Palestina, dove la popolazione non ebraica si preoccupa in primo luogo di mantenervi una posizione che ritiene minacciata dal sionismo”. In altre parole, nel loro tentativo di far rispettare la dichiarazione Balfour, la maggior parte dei sionisti non si preoccupava poi troppo di nazionalismo arabo degli abitanti della Palestina. Allenby non si faceva quindi troppe illusioni su quanto attendeva i partecipanti alla ormai prossima conferenza di pace a Parigi.»

La celebre arabista, viaggiatrice e agente segreto britannico Gertrude Bell, secondo quanto riporta Brad Faught, «fu di un’assoluta coerenza, perché si disse parimenti contraria alle aspirazioni sioniste in Palestina e riteneva che l’applicazione da parte dei britannici della Dichiarazione Balfour si sarebbe tradotta in un sicuro disastro per il mondo arabo.» È bene tener presente, anche dal punto di vista storico, che il sionismo non è altro che la metamorfosi imperialista dell’antisemitismo occidentale.

Come si fosse giunti alla Dichiarazione di Balfour (richiesta da Lord Rothschild) l’autore del saggio storico lo racconta a modo suo, sostenendo che il premier David Lloyd George fu un deciso sostenitore della causa sionista: «Cresciuto nel cristianesimo evangelico battista del suo natio Galles, condivideva con il sionismo la visione di un imminente fine del mondo, un punto sul quale convenivano anche molti cristiani millenaristi. Tutti consideravano il ritorno degli ebrei in Palestina un segnale anticipatore dell’apocalisse e quindi della seconda venuta di Cristo in terra. Questa ferma convinzione, tuttavia, si scontrava con la determinazione di Weizmann di rifiutare per la patria sionista qualsiasi altra offerta territoriale britannica che fosse diversa dalla Palestina.»

Non ho elementi per mettere in dubbio questa versione dell’autore, tuttavia ho già raccontato come tra il governo britannico e il professore di chimica Chaim Weizmann fosse intervenuto, durante il conflitto mondiale, uno scambio assai più concreto che non di semplici premonizioni millenaristiche e apocalittiche (vedi il post: Che c’entra l’acetone con la questione palestinese?).

Inoltre, c’erano altre ragioni convincenti per la lettera di Balfour a Lord Rothschild, in particolare la speranza britannica che gli ebrei americani influenzassero gli Stati Uniti a favore dello sforzo bellico alleato. 

I meccanismi ideologici generali che condizionano le concezioni correnti accettano assai difficilmente una prospettiva secondo la quale un insieme umano qualsiasi, al quale venga attribuito complessivamente un segno – per esempio quello della vittima – possa essere, in altre circostanze, come stiamo vedendo ancora oggi, caratterizzato anche parzialmente con il segno opposto. Per esempio, quello di dominatore ingiusto e anche di boia. In merito a questo atteggiamento ideologico, non mi riferisco solo alle plebi, chiamate dai media a spasimare pro o contro, ma anche a spiriti solidi e generalmente indipendenti, i quali non sono capaci di andare oltre quest’ottica ideologica semplificatrice e riduttiva.

P.S.: quello che manca in genere in queste storie, ben documentate e raccontate, è il punto di vista dei turchi ...

(*) Chi volesse prendersi la briga di leggere la traduzione italiana della corrispondenza tra Henry McMahon e lo Sceriffo della Mecca al-usayn, la può trovare in Ernesto Rossi: Documenti sull’origine e gli sviluppi della questione araba, pubblicazione dell’Istituto per l’Oriente Roma, 1944, pp. 168-171. 

(**) Nel corso dei secoli, i francesi avevano stabilito un protettorato sulle comunità cristiane nell’impero ottomano. Inoltre, i loro interessi commerciali includevano grandi investimenti in strade, ferrovie, porti e compagnie di navigazione ottomane, nonché in servizi pubblici e banche. Alla vigilia della guerra, circa 90.000 bambini ottomani provenienti da famiglie d’élite imparavano il francese e assorbivano le idee francesi nelle scuole francesi. In Libano il patriarca maronita era una figura centrale nella rete clientelare francese. Per molti francesi influenti, la Siria e il Libano costituivano un’estensione levantina della stessa Francia. Portare questi territori sotto il dominio francese sembrava un legittimo bottino di guerra, che i nativi fossero d'accordo o meno.

Quanto agli interessi britannici: in primo luogo, controllare la produzione e lo smaltimento del petrolio iraniano e mesopotamico (in qualità di Primo Lord dell’Ammiragliato, nel 1912 Winston Churchill aveva preso la decisione di convertire la flotta dal carbone al petrolio); controllare la Palestina come cuscinetto per la difesa del Canale di Suez e dell’Egitto, quindi controllare le rotte terrestri e marittime verso l’India, attraverso il Canale di Suez fino al Mar Rosso e lungo il Golfo Persico fino all’Oceano Indiano.

7 commenti:

  1. Carissima ti leggo sempre ma commento quando posso.
    Mi permetto di consigliare a te e ai tuoi lettori i libri di James Barr (A line in the sand, Lords of the Desert e Setting the Desert in fire).
    Buon anno, Peperin

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    1. che piacere risentirti. vedo di procurami il primo, intanto. buon 2024, ciao

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  2. Grazie per la dritta
    Pietro

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  3. Che piacevole sorpresa, libro notato e acquistato giusto qualche giorno fa ma non ancora iniziato; devo ammettere che questo blog è una fonte bibliografica di prim'ordine, che nel mio piccolo diffondo a piene mani

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  4. Scaricato. Ma la coda è lunga: quanti posti dovrei fargli saltare?

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