lunedì 18 dicembre 2023

Le voci del Novecento

 

In un articolo pubblicato ieri, Massimo Cacciari scrive: «Stagione chiusa [quella operaista e delle potenzialità rivoluzionarie su cui aveva puntato Negri] con la grande trasformazione organizzativa, tecnologica, politica del capitalismo globale, dopo la fine della guerra fredda. Compimento di cui sono testimonianza le gloriose fini delle socialdemocrazie europee. Il soggetto rivoluzionario – si chiede Cacciari – tramonta, ora, per sempre o ne muta la figura?»

Di quale soggetto storico rivoluzionario parla Cacciari, di quale mutamento della sua figura? Piaccia o no, la classe operaia resta il perno su cui regge il capitalismo, anche se all’interno delle stesse classi sociali ciò che sembra essersi profondamente modificato è il senso di appartenenza a una data classe sociale e ciò è particolarmente vero per la classe media e la classe operaia.

Dunque, ritorniamo sempre al solito discorso che riguarda la divisione sociale del lavoro e la distribuzione della ricchezza prodotta, che è conseguenza dei rapporti di produzione e del grado di sfruttamento della forza lavoro. Ben sa Cacciari che le classi sociali sono determinate dal rapporto con i mezzi di produzione, sulla base del ruolo nell’organizzazione sociale del lavoro, quindi sulla base del modo in cui ottengono la ricchezza sociale e per l’importanza della ricchezza di cui dispongono.

Ecco dunque delineata la figura del soggetto rivoluzionario, ossia quella canonica di chi è costretto a passare un’ampia quota della sua giornata inchiodato sul posto di lavoro per produrre merci, in contrapposizione a chi si appropria, sotto varie maschere e forme, del profitto che si può ricavare da quelle stesse merci.

Marx rifletteva anche su un altro fatto: «Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un polo e che dall’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione (Il Capitale, I, VII, 3).»

Pertanto, il soggetto potenzialmente rivoluzionario, lungi dall’aver mutato sostanzialmente la sua figura sociale, ossia quella di salariato, e per quanto possa vestire Armani o Prada, esiste. Resta da stabilire perché questa potenzialità del soggetto non si trasformi in azione concreta. Se dalle rivendicazioni contingenti non si è passati alla lotta più generale contro la società capitalista, questo è un indicatore convincente della colpevolezza del “riformismo”.

Si deve ricordare che la coscienza rivoluzionaria non è data naturalmente alla classe operaia. Certo, non basta neanche dire: “i lavoratori sono sfruttati”, far seguire la citazione tratta da Marx e il riferimento di pagina. L’”educazione” rende necessaria l’organizzazione e altro. E però gli esponenti intellettuali della sinistra si sono rivolti in massa verso soggetti “rivoluzionari” sostitutivi, modificando profondamente la loro etichetta “rivoluzionaria” in quella di “protesta”, quando non di diretta collaborazione.

Oggi a ricordarci certe cose sono i liberali!


Le voci del Novecento che avevano animato ciò che in varie forme è stato il marxismo, si sono esaurite o sono state “silenziate”. Resta il vuoto, l’impotenza, l’insignificanza e la retorica, quando va bene.

Per il resto, dominano le pantegane che vorrebbero insegnarci che cos’è la democrazia e altre cose, uscite dalle fogne per reggere l’amministrazione coloniale del paese, eredi rancorose del fascismo.

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