Nel 1970, Almirante, in un suo discorso ebbe a dire: «Se i comunisti hanno vinto la guerra del linguaggio, noi l’abbiamo finora perduta [...] Dobbiamo stare molto attenti a non rappresentare, proprio noi, in modo grottesco il fascismo, comunque in modo inattuale, anacronistico, stupidamente nostalgico.» (*)
Il “padre fondatore” più di mezzo secolo fa dettava la linea: abbiamo bisogno di un neofascismo trendy, disinibito, che faccia dimenticare le polverose origini. I suoi discepoli l’hanno preso in parola e sono diventati maestri della espropriazione semiologica delle classi subalterne. Da cui slogan come: “Costruiamo nelle scuole l’alternativa culturale per costruire nel paese l’alternativa al sistema”.
Il neofascismo al potere non è cosa piovuta dal cielo, un fatto occasionale e transeunte. Giorgia Meloni rappresenta un prodotto genuino di quella “costruzione” dal basso del neofascismo e portatrice di un nuovo linguaggio. Non semplicemente un aggiornamento verbale e d’immagine: essa ha saputo presentarsi non come una forza eversiva, ma come proposta alternativa e allo stesso tempo conservatrice, vittima d’una oppressione “di regime”.
Poi vi sono i vecchi e nuovi tromboni con le loro allusioni esplicite e più o meno patetiche, a rassicurare i nostalgici duri e puri che il cambiamento, il camuffamento, è tattico e di superficie, che non c’è stato nessun rinnegamento delle origini. A questi sopravvissuti risponde l’isolato grido di protesta di un loggionista, mantenendo gli altri un silenzioso assenso, incuranti che al centro del prestigioso palco sedesse un simile ceffo.
Siamo di fronte alla vittoria di una coalizione guidata da una formazione di ispirazione fascista. Non è solo l’estrema destra: è il fascismo eterno che torna al potere, ma indossando altri vestiti e altre sembianze, spudoratamente sostenuto dai media un tempo antifascisti e dai partiti conservatori.
Sulla vittoria incontrastata della Meloni, passata dal 4,4% dei voti nel 2018 al 26,2% nel 2022, sul suo zoccolo duro elettorale attorno al 30% che non deflette nei sondaggi, liberali e sinistra non si sono ancora interrogati a fondo. Non si vuole confessare apertamente che le devastazioni della globalizzazione liberista non sono una reminiscenza del fascismo. Per cui è stato facile per il neofascismo proporsi all’insegna dell’alternativa al sistema, un sistema a lungo governato dalla “sinistra”.
La vittoria del neofascismo italiano rappresenta la definitiva normalizzazione dei partiti neofascisti nel cuore dell’Europa. Non si tratta più della lontana Ungheria o della Polonia ultracattolica. L’Italia non è un paese qualsiasi dell’Europa. Il trionfo di Fratelli d’Italia segue l’abbandono delle politiche redistributive e della antica vocazione di socializzazione della sinistra, lo stretto inequivocabile abbraccio al dogma di un capitalismo che più sadico di così non si potrebbe.
Il successo delle estreme destre europee è, nel senso più profondo, un clamoroso fallimento del progetto europeo rispetto alla sua promessa di lunga data di promuovere la democrazia, i diritti umani, la cultura e l’inclusione sociale per tutti.
Le dinamiche della guerra e delle dispute geopolitiche accelerano l’involuzione dell’Europa, e l’Italia è sempre stata storicamente il primo dei laboratori politici. Ai padroni, alle corporazioni, ai rentier, alla Chiesa più reazionaria e alle altre forze che vogliono meno democrazia e niente più, la Meloni piace e fa il loro gioco, perciò sono disposti a chiudere gli occhi sulle sciocchezze e scelleratezze del suo tragicomico parterre ministeriale (**).
Si raccoglie ciò che si è seminato.
(*) Il testo del discorso fu pubblicato dal Secolo d’Italia il 7 aprile 1970, a pagina 3 con il titolo: Noi siamo la nostalgia dell’avvenire. Cit. da Maurizio Dardano, Il linguaggio dei giornali italiani, Laterza, 1981, p. 184, nota 62.
(**) Vale ricordare che nel 1922 Benito Mussolini formò e guidò un governo di coalizione composto da vari partiti non solo di estrema destra, e ciò nonostante avesse ottenuto solo l’8,15% dei voti.
il fatto è che verso il progetto europeo c'è stata troppa acquiescenza da parte di molti. In questo senso è vero: si raccoglie ciò che si è seminato.
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