mercoledì 6 dicembre 2023

Pur applaudendo e fischiando

 

Globalizzazione, finanziarizzazione e più spesso neoliberismo sono termini largamente impiegati. Di che cosa si tratta? Globalizzazione e finanziarizzazione si riferiscono a processi storici, caratteristici del capitalismo in generale. Il neoliberalismo, invece, è una fase del capitalismo, che ha innescato un’accelerazione dei primi due processi.

Alla base della fase neoliberista, vi sono scelte politico-ideologiche ed è dunque un fenomeno di classe, in cui è stata coinvolta l’intera società. L’obiettivo è stato l’aumento dei redditi delle classi “superiori”, che nei primi decenni del dopoguerra erano stati contenuti (*).

Come si traduce l’obiettivo neoliberista a livello ideologico? Un credo “scientifico” che vanta di liberare le relazioni di mercato da ogni ostacolo (una ricetta che non è mai servita a scongiurare le crisi del capitalismo), laddove per ostacolo s’intende l’intervento pubblico nell’economia. Il mercato, fatto passare come un vettore di uguaglianza, oggi minaccia sia l’uguaglianza che la libertà degli individui (del resto, per quanto riguarda la forza-lavoro, uno scambio tra pari sarebbe assurdo).

Dal punto di vista pratico, i governi e le grandi istituzioni finanziarie hanno agito nel senso della più ampia apertura ad una deregolamentazione selvaggia dei meccanismi finanziari e alla libera circolazione internazionale dei capitali, con lo spiegamento delle multinazionali in tutto il pianeta.

Finanziarizzazione e globalizzazione sono i mezzi per la creazione di redditi molto alti al vertice della piramide sociale. I limiti che il New Deal e il dopoguerra avevano posto sui meccanismi finanziari, sulla globalizzazione finanziaria (un aspetto della quale è la creazione di paradisi fiscali), sull’espansione delle multinazionali sono stati progressivamente eliminati, anche prima del neoliberismo, ma con una tremenda accelerazione negli ultimi tre o quattro decenni. Queste pratiche erano e sono l’espressione degli obiettivi di classe neoliberisti.

Non si tratta solo di questo, ma anche dell’importanza data al capitalismo manageriale, una specie di “ibridazione” di classe, con i manager senior che entrano nella proprietà del capitale in forza del loro reddito molto elevato. Complessivamente, il fenomeno che ne è derivato è stato lo spettacolare aumento delle disuguaglianze.

È stata dunque la finanza e il capitalismo manageriale a guidare la lotta per l’affermazione dell’ordine neoliberista. Sarebbe importante, dal punto di vista dell’analisi, indagare sulla condivisione tra le diverse classi della destinazione del cosiddetto valore aggiunto, vale a dire del plusvalore (sono due concettualizzazioni diverse, ma prendiamo per buona la loro sovrapposizione). I profitti, gli alti stipendi manageriali (bonus, paracadute d’oro, ecc.) e i salari della grande massa dei lavoratori (la cui quota è diminuita).

Tuttavia, ciò che m’interessa è sì la motivazione soggettiva e ideologica del processo storico in atto, che appare nel fenomeno oggettivo del gigantesco trasferimento di ricchezza (qui la critica ai menestrelli dello slogan “anche i ricchi piangono” e alle tesi semplicistiche che vedono nella tassazione dei cosiddetti extra-profitti un meccanismo di riequilibrio risolutore), ma soprattutto m’interessa la sua crisi, ossia rilevare il disastro sociale che tale processo ha provocato e l’impatto in termini politici che sta avendo (**).

Su quest’ultimo punto, per farla breve, c’è da osservare che il premio al capitale è pagato con l’impoverimento e la precarizzazione delle classi medie e popolari. Ve da sé che dal punto di vista politico ed elettorale la reazione allo stato di cose descritto è consequenziale ed evidente con la crisi dei partiti tradizionali, coinvolti fino al collo nel neoliberismo. Ad avvantaggiarsi, storicamente e ancora una volta, sono le formazioni politiche dell’estrema destra.

Ripeto una cosa ovvia: il nuovo fascismo non assume, salvo aspetti marginali e caricaturali, le sembianze del vecchio fascismo. Non necessariamente legge Atreiu, saluta col braccio teso e cose del genere. Come ben osservava Marx, è la specifica forma economica in cui il pluslavoro non pagato e succhiato ai produttori diretti che determina il rapporto di signoria e schiavitù, come esso è originato dalla produzione stessa e da parte sua reagisce su di essa in modo determinante. Su ciò si fonda l’intera configurazione della comunità economica che sorge dei rapporti di produzione stessi e con ciò insieme la sua specifica forma politica. In ciò noi troviamo l’intimo arcano, il fondamento nascosto di tutta la costruzione sociale e quindi anche della forma politica del rapporto di sovranità e dipendenza, in breve della forma specifica dello Stato in quel momento.

Soggiungo per chi avesse scopo e voglia di comprendere: nella formazione sociale capitalistica, forme economiche e forme politiche, in virtù della loro relativa autonomia, interagendo senza mai identificarsi, consentono al modo di produzione capitalistico di fornire di sé un’immagine illusoria, vale a dire di far operare i rapporti politici, che sono rapporti di dominio, in forma mascherata.

Lo sfruttamento capitalistico e la dittatura borghese, in altri termini, vestono i panni della democrazia e la commedia, naturalmente, si replica finché gli sfruttati e i sottomessi restano al posto loro assegnato, pur applaudendo e fischiando ai vari atti che si susseguono sul palcoscenico della politica e ai diversi attori che essi stessi in parte hanno delegato.

(*) Possiamo dire che il neoliberismo ha risvegliato i vecchi demoni capitalisti che l’ordine sociale del dopoguerra non aveva mai realmente esorcizzato. Gli accordi di Bretton Woods del 1944 riconobbero le limitazioni al commercio internazionale e ai movimenti internazionali di capitali. Ma gli Stati Uniti non hanno realmente accettato questo nuovo quadro e hanno agito per superarlo (in tal senso mi viene in mente la disputa americana con Churchill sul punto quattro della Carta atlantica). Il motivo è semplice e si riferisce alla questione delle questioni: l’imperialismo americano. Il dopoguerra non ha mai smesso di essere imperialista e, come tale, il nuovo ordine sociale difficilmente poteva accogliere restrizioni allo spiegamento di capitale a livello globale. Dunque, in nuce, c’era già tutto.

(**) Con la forsennata deregolamentazione, le innovazioni finanziarie che ne sono derivate, la crescita degli investimenti finanziari all’interno di ciascun paese e nel mondo, la crescita degli investimenti da parte delle multinazionali (investimenti diretti), ecc. si è progressivamente costruito un quadro impossibile da controllare, sia da parte dei “mercati” che delle autorità centrali.

Le procedure contabili (in particolare la valutazione degli attivi con i valori osservati sui mercati o calcolati mediante modelli matematici), la cancellazione degli attivi rischiosi dai bilanci delle società finanziarie e cose del genere, sono tutte pratiche che hanno reso fittizi i calcoli della redditività, pur giustificando il pagamento di redditi individuali folli (dividendi, stipendi mostruosi, bonus, ecc.). È stato oltrepassato il confine e siamo nel pieno della cecità collettiva e della frode.

4 commenti:

  1. Profitto Privato e Perdite Pubbliche

    Dalla crisi del 2008 in poi si è assistito ad un'accelerazione del fallimento economico dello Stato, in quanto istituzione democratica che gestisce i servizi pubblici.

    La domanda a cui, da cittadini, non abbiamo più una risposta logica è "perché paghiamo le tasse?". Lo Stato da fornitore di servizi a prezzi accessibili/gratuiti è diventato semplicemente uno strozzino che utilizza i miliardi di euro raccolti per interessi privati. Poco importa che questi interessi siano dei pupazzi politici che siedono al governo o delle aziende private che ingozzare i propri bilanci attraverso le mitologiche infrastrutture "strategiche" (il ponte sullo stretto).

    Lo Stato è pieno di debiti e ha già venduto tutta l'argenteria di famiglia e di conseguenza non ha più la forza (né la volontà politica) di arginare l'interesse privato che, in un mondo dove tutto è messo a profitto, detenendo il capitale ne determina il suo funzionamento: classe dirigente, leggi, finanziaria, informazione, sanità etc etc.

    Oggi viviamo un triplice paradosso:
    lavoro estremamente tassato
    evasione fiscale sistemica e senza freni
    servizi pubblici assenti, mangiati dall'offerta privata

    Questo sistema non potrà per molto reggere senza qualche correttivo strutturale che non si vede all'orizzonte. Se pensano che introducendo il premierato il popolo troverà la felicità, riqualifica la decisione storica di Maria Antonietta sulle brioches.

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    1. l'invecchiamento della popolazione e la disoccupazione di massa che verrà saranno fattori decisivi. su quale piega prenderà la situazione si possono fare delle ipotesi, ma nulla di più.

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  2. Ma questo trasferimento di ricchezza non può essere infinito, no? Deve arrivare un momento in cui nè l'inflazione, nè i salari indecenti, nè i trucchi contabili possono generare altro capitale: che succede allora?
    Pietro

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    1. infatti è una fase. sul dopo si possono solo fare ipotesi.

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