Ci chiediamo perché personalità della cultura e della ricerca, che godevano fino a ieri della stima e del rispetto pressoché incondizionato di tutti, siano oggi oggetto di dileggio e anche di peggio? Perché hanno assunto certe nette posizioni e non altre? Non può dipendere solo per motivi contingenti legati all’oscena gestione pandemica. Questa segna certamente il colmo della misura, ma non è forse l’occasione per levarsi contro l’insolenza e la prepotenza manifesta di un sistema di governo locale e globale non più sopportabile?
Tale insofferenza riguarda tutti. Si tratta della gestione tout court delle cose, fin dentro a quelle minute e più quotidiane, compresa l’imposizione di un nuovo vocabolario, di una neolingua da un lato “inclusiva” e dal’altro tecnocratica, con la quale siamo costretti a fare i conti pena l’esclusione. Non si tratta dunque solo del green pass connesso all’epidemia, bensì dello stillicidio di “lasciapassare”, materiali e immateriali, imposti e subiti per muoverci e agire nel contesto generale della vita sociale, ritmata sempre più dal tempo elettronico, indirizzata da logaritmi e sorvegliata da reti monopolistiche di cui sappiamo troppo poco e soprattutto fuori del nostro controllo.
Si tratta della nostra stessa identità, della nostra legittimità di rivendicare qualsiasi cosa. Legittimità che oggi è revocata in dubbio, anzi, sospesa o negata. Entità diverse ma con interessi convergenti operano nella catena produzione-distribuzione-scambio-consumo fino a fagocitare l’intera formazione economico-sociale. Un dominio reale totale che le generazioni del passato non potevano immaginare in forme così sofisticate, con una modificazione qualitativa dei bisogni, dei gusti, della mentalità, della morale, in una parola della coscienza di ognuno.
Siamo diventati prodotti programmati e finalizzati, in un vortice di cambiamenti che ci impedisce la piena comprensione della complessità dei movimenti sociali attuali. Diviene obsoleto perfino lo schema struttura-sovrastruttura, avendo ormai il capitale, e l’ideologia di cui si serve, assoggettato a sé formalmente e realmente ogni rapporto umano come mai prima d’ora. E ciò si riflette inevitabilmente nei rapporti sociali tradizionali che stanno andando completamente per aria.
La pandemia, e ciò che ne è conseguito, non fa altro che mostrare ciò che era in atto, da un lato, nel progresso della tecnologia e dei “sistemi logici” a essa connessi, dall’altro nel lavoro ideologico degli ultimi decenni, ossia non solo l’eliminazione di ogni tipo di antagonismo, ma dell’idea stessa di reale opposizione all’esistente. Cari riformisti di ieri e di oggi, solo ora cominciate ad assaporarne le conseguenze di questa strategia di distruzione estesa e profonda dei pregressi rapporti sociali in tutti gli ambiti di produzione della vita.
Eppure tutto ciò, in nuce, era già stato scritto in un librino di oltre un secolo e mezzo fa.
Bel post, d'accordo in tutto tranne l'ultima frase. Nessuno, ma proprio nessuno può prevedere cosa sarà la società umana dopo un secolo e mezzo. Altrimenti Il Capitale diventa come la Bibbia e il Corano. E si vuole interpretare la società attuale con i codici di secoli fa. Come pretendere da Lucrezio di interpretare l'ingegneria genetica.
RispondiEliminaMarx non era un profeta. Ha posto in luce le leggi di movimento del processo storico, segnatamente quelle relative al modo di produzione capitalistico.
EliminaPotrebbe esserle utile leggere con calma il volumetto citato e (si parva licet) questo mio post:
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2017/02/al-tempo-stesso-troppo-onore-e-troppo.html
Grazie, Olympe.
RispondiEliminaNon potendo fare altro che apprezzare i tuoi post, mi limito a condividerli dove mi è reso possibile.
Grazie, Mario.
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