lunedì 20 dicembre 2021

La Grande rassegnazione



Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve statunitense, ha dato sfoggio di pragmatismo. La scorsa settimana ha dichiarato di non essere preoccupato della variante virale Omicron: “Penso che ondata dopo ondata, le persone stiano imparando a conviverci”. Ha osservato che la variante Delta “ha avuto l’effetto di rallentare le assunzioni” e “ha danneggiato le catene di approvvigionamento globali”.

I modesti aumenti salari statunitensi, causati dalla competizione tra le imprese per trovare nuovi dipendenti, ha scatenato onde d’urto. Nei giorni scorsi, i massimi responsabili delle politiche economiche, gli analisti di Wall Street e i media hanno avvertito che il pericolo più grande per l’economia è costituito da una potenziale “spinta salariale” da parte dei lavoratori il prossimo anno, che potrebbe coinvolgere il sistema finanziario. Siamo già a caccia del capro espiatorio (*).

C’è stata la riunione del Federal Open Market Committee, composto da 12 membri, che ha deciso l’aumento del tasso d’interesse: tre quarti di punto nel 2022 e l’iniziale riduzione degli acquisti di asset per raffreddare l’incipiente inflazione (l’aumento dei prezzi al consumo del 6,8%, il più alto in quattro decenni). L’annuncio è stato un’inversione della posizione di nove mesi fa, quando la Fed aveva indicato che non ci sarebbero stati aumenti dei tassi fino al 2024.

C’è da scommettere che l’aumento dei tassi non si fermerà a tre quarti di punto nel 2022. Ad ogni modo vedremo. Ciò che veramente preoccupa i capitalisti è l’aumento del costo del capitale variabile, che va a incidere direttamente sul saggio del plusvalore e su quello del profitto (due concetti che alludono a realtà diverse).

Powell ha affermato che il fattore decisivo alla base della decisione di aumentare i tassi d’interesse è stato l’Employment Cost Index (ECI) pubblicato dal Bureau of Labor Statistics il 29 ottobre, che mostra un aumento “molto elevato” del costo orario del lavoro rispetto agli ultimi tre mesi.

La Fed e i meteorologi economici avevano inizialmente pensato che l’aumento dei salari sarebbe stato temporaneo e transitorio. Si aspettavano che il taglio da parte dell’amministrazione Biden degli stimoli finanziari e delle indennità di disoccupazione causa pandemia sarebbero stati sufficienti a far rientrare i lavoratori nel mercato del lavoro e alleviare le “pressioni inflazionistiche”.

Powell ha dichiarato: «The important metric that has been disappointing really has been labor force participation, of course, where we had widely thought, I had certainly thought that last fall as unemployment insurance ran off as vaccinations increased, that schools reopened, that we would see a significant surge, if you will, or at least a surge in labor force participation. So we've begun to see some improvement.»

Sebbene ci sia stato “un certo miglioramento”, ha aggiunto, è probabile che il ritorno degli schiavi salariati a una maggiore partecipazione per ingrassare i nostri profitti richieda più tempo. Non ha usato proprio queste parole, ma il senso è questo, così come il tono di delusione.

Ha continuato: «Il rapporto tra l’offera di lavoro, ad esempio, e i posti vacanti è ai massimi storici, le dimissioni, i salari, tutte queste cose sono ancora più scottanti (hotter). Certe persone non vogliono tornare nel mondo del lavoro perché o sono vulnerabili dal punto di vista medico o non sono a loro agio a tornare mentre il Covid è ancora ovunque. Questa è una cosa. La mancanza di disponibilità di servizi di assistenza all’infanzia è un altro motivo, non solo per i bambini, ma anche per le persone anziane.»

Pur riconoscendo che «i salari non sono una parte importante della storia dell’alta inflazione a cui stiamo assistendo», il che è vero, «tuttavia se i salari reali fossero costantemente al di sopra della crescita della produttività, ciò eserciterebbe una pressione al rialzo sulle aziende e sull’aumento i prezzi [...]. Non è ancora così, ma prestiamo attenzione a questi dati.»

Nonostante un calo del tasso ufficiale di disoccupazione, a novembre 2021 il tasso di partecipazione alla forza lavoro degli adulti statunitensi di età pari o superiore a 65 anni era del 7,2 percento inferiore rispetto a febbraio 2020, mentre quello degli adulti di età compresa tra i 25 e i 54 anni è diminuito dell’1,3. Inoltre, pare siano andati in pensione circa tre milioni di lavoratori in più rispetto a quanto previsto in base alle tendenze dell’anno precedente.

Non siamo all’inizio di una nuova “Grande depressione”, ma a quella che potremmo chiamare “Grande rassegnazione” (in ogni senso).

Se si fossero presi la briga di dare una scorsa a che cosa succedeva dopo le pandemie di peste dei secoli passati, avrebbero capito che cosa succede all’economia e segnatamente al mercato del lavoro dopo di esse. La peste del Trecento fu decisiva per un cambio d’epoca, per esempio. I fatti storici di epoche diverse non sono esattamente sovrapponibili, tuttavia offrono spunti di riflessione analogica.

(*) Il Bureau of Labor Statistics ha stimato all’inizio di questo mese che i guadagni orari medi nella produzione del settore privato e per i dipendenti senza contratto collettivo siano aumentati di soli 12 centesimi, a 26,40 dollari (a quanto dovrebbe essere fissato il salario minimo in Italia?). Nel complesso, negli ultimi 12 mesi, la retribuzione oraria media è aumentata del 4,8%. Se si tiene conto dell’inflazione, i salari reali negli Usa sono diminuiti dell’1,9% nell’ultimo anno. 

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