Circa 3,3 milioni di anni fa, al tempo dell’australopiteco di Kubrick, i nostri progenitori cominciarono a scheggiare delle pietre per adattarle a determinati usi. L’evoluzione della tecnologia ci circonda da sempre, in anticipo sul genere homo e poi fino a oggi (*). Per milioni di anni questa evoluzione non ha avuto bisogno di brevetti. Poi, man mano, sono venuti a opporsi degli ostacoli alla diffusione della conoscenza.
Certi procedimenti tecnici sono stati tenuti segreti e il controllo di alcune materie prime ha assunto un ruolo strategico sotto il profilo economico e politico. Si pensi alla produzione degli specchi e di altri prodotti industriali a Venezia (legge del 1474, che costituisce un primato a livello mondiale di legislazione brevettuale), la seta e la porcellana cinese, le miniere di stagno e l’allume di rocca, la produzione di armamenti, oppure l’impiego odierno delle terre rare, ecc..
Ciò che valeva per l’industria e le materie prime, valeva anche per i ritrovati medicamentosi e le tecniche mediche, in alcuni casi sotto segreto per motivi di esclusiva e dunque d’interesse. Come scrisse un grande filosofo napoletano (1898-1967), la gente deve farsene una ragione: appartenimmo à morte!
Nella Magna Grecia può essere ritrovata una prima approssimazione dei brevetti, sotto il nome di Legge di Sibari, un testo del VI secolo e.c. che rendeva pubbliche le ricette di cucina, ma solo per un anno l’inventore aveva il diritto esclusivo di ricavare un profitto (**).
Il 19 giugno 1421, a Firenze, nel periodo d’incubazione, nascita e sviluppo della letteratura tecnica degli artisti-architetti, fu concesso il primo brevetto tecnico (“privilegium”) a Filippo Brunelleschi, che aveva ideato un sistema di trasporto e sollevamento che consentiva un transito e uno scarico più rapido dei navigli mercantili sull’Arno e su ogni altro fiume o “acqua”. Il documento, pubblicato per la prima volta nel 1839, indica con cura i divieti e le pene a tutela dell’esclusiva concessione (***).
In ballo c’è sempre una vecchia questione: come incoraggiare gli individui a innovare, a fornire soluzioni tecniche ai problemi del proprio tempo, consentendo all’intera società di beneficiare delle loro scoperte. Le menti più fertili e ingegnose saranno tanto più desiderose di scervellarsi quanto più potranno toccare con mano dei concreti benefici.
Durante la Rivoluzione francese, il governo si trovò di fronte alla medesima questione: come conciliare il diritto a incoraggiare l’invenzione, la possibilità di mantenere segreta la sua ricetta, la lotta contro la ciarlataneria e l’interesse per la salute pubblica a non creare monopoli che ostacolassero l’accessibilità dei rimedi per tutti.
Il diritto di proprietà dell’inventore fu tradotto nel moderno sistema dei brevetti poco dopo che un analogo principio fu sancito nell’art. 1 sz. 8 della Costituzione degli Stati Uniti. Infatti, il 7 gennaio 1791 i costituenti crearono un nuovo diritto, quello di proprietà intellettuale, e il “brevetto d’invenzione”, che sostituiva le “patentes”, in vigore fino ad allora (dal latino “patere”, rendere pubblico).
Questa legge dava agli inventori un diritto esclusivo di cinque, dieci o quindici anni su una nuova macchina o processo chimico. Il brevetto identifica il nome dell’inventore, veniva pubblicato nel Bollettino delle leggi e in un Repertorio dei brevetti d’invenzione, senza previo esame (****). Chi vuole utilizzare quella tecnica deve acquistare una licenza d’esercizio, che paga l’inventore e specifica le condizioni alle quali l’invenzione può essere utilizzata. Si tratta in partenza di limitare gli abusi: impossibile brevettare il fatto di bollire l’acqua, poiché un’invenzione non può essere un’ovvia derivazione di quanto già noto. Inoltre, il brevetto riguarda solo le tecniche, in una logica d’uso da parte dell’industria, e non la conoscenza in generale.
Nel 1810, Napoleone (poteva mancare?) firmò un decreto imperiale secondo il quale gli inventori dei rimedi “di cui soli hanno la ricetta” saranno obbligati a “consegnarlo con avviso delle malattie a cui possono applicarsi”, una commissione dovendosi pronunciare sul “prezzo che è opportuno pagare, per la sua segretezza, all’inventore del rimedio riconosciuto utile”.
La legge del 1844 stabilizzerà per un certo tempo il diritto francese. Il chimico Louis Joseph Gay-Lussac (1778-1850), titolare di numerosi brevetti, difese strenuamente la brevettabilità, sfruttando l’argomento mercantilista delle esportazioni francesi; tuttavia l’esclusione dalla brevettabilità per “composizioni farmaceutiche e rimedi di ogni genere” fu ugualmente sancita.
Questa legge ha dissuaso dalla loro opera inventori e ricercatori? Pasteur ha agito sotto quella legge e non ha potuto brevettare alcun vaccino (a differenza della pastorizzazione, ad esempio). Albert Sabin è rimasto un modello inimitato. Solo nel 1968 i prodotti farmaceutici in Francia sono tornati al diritto comune sui brevetti. Tuttavia, in molti paesi, una clausola, adotta per motivi di salute pubblica, rende possibile, in caso di carenza dell’attore privato (produzione insufficiente o prezzo anomalo) di procedere con “licenza d’ufficio”. Sembrerà strano, ma l’Organizzazione mondiale del commercio considera lecita questa misura.
(*) Con l’homo sapiens si passerà dalle pietre scheggiate alle asce bifacciali, poi alle punte di lancia e frecce sempre più raffinate e standardizzate morfologicamente, come quelle prodotte dai Neanderthal. La componente minerale, quindi la roccia, è sempre stata dominate nella nostra evoluzione. La selce ci ha accompagnati lungo i millenni fino all’impiego della pietra focaia per i fucili, per accendere il fuoco, ecc.. Finita l’epoca della pietra focaia all’inizio dell’Ottocento, abbiamo comunque un elemento fondamentale della pietra, la silice, che è alla base di tutta la componentistica elettronica.
(**) Pare che in un documento, conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia, sia riportato il singolare editto, che non costituiva un privilegio concesso “ad personam”. Non so quale sia il fondamento reale di tale documento; il sospetto che si tratti di un’estensione leggendaria di qualcosa di storicamente autentico è per me comunque forte.
(***) L’invenzione, una speciale imbarcazione che per forma, costruzione ed equipaggiamento sono rimasti sconosciuti, doveva consistere in particolare nella capacità di trasportare marmo di Carrara destinato al cantiere della cattedrale di Firenze risalendo il corso del fiume da Pisa al porto di Signa. Prometteva facilità d’uso, utilizzabilità in ogni stagione e costi minori dell’usuale alle imbarcazioni degli scafaioli che normalmente risalivano la corrente a remi o con l’aiuto di pertiche, oppure su carri trainati da buoi o su piccoli navigli. Pare che l’imbarcazione sia naufragata.
(****) Prima del 1791, i privilegi dell’invenzione venivano conferiti dopo un esame approfondito dell’invenzione da parte del Bureau du Commerce, che consigliava il Royal Council in materia economica e commerciale. I membri dell’Ufficio di presidenza, collegati con i membri dell’Accademia delle scienze di Parigi, e talvolta avvalendosi di artigiani, sottoponevano l’invenzione a un esame materiale e reale per determinarne la vera utilità, indipendentemente dalle affermazioni (spesso esagerate) dell’inventore. Nelle loro valutazioni, gli esaminatori dovevano verificare il funzionamento di una macchina o testato le presunte proprietà di un processo chimico. L’utilità aveva un ruolo di primo piano nelle valutazioni dell’Ufficio di presidenza; solo quelle invenzioni o ritrovati ritenuti sufficientemente utili erano degne di ricevere un privilegio dal re.
Dopo il 1791, i brevetti sono stati consegnati su richiesta, con requisiti burocratici minimi. L’abrogazione della procedura d’esame può apparire come un punto secondario e banale all’interno del nuovo quadro giuridico, eppure era fondata su cruciali considerazioni politiche ed epistemologiche, ovvero su una nuova inscindibile mescolanza di politica ed epistemologia. Poiché i brevetti non derivavano dalla volontà del sovrano ma dai diritti naturali di proprietà dell’inventore, non potevano essere soggetti ai capricci di un tribunale burocratico, fosse esso composto dai maggiori scienziati del paese. E poiché nessuna invenzione poteva essere valutata prima di essere messa in uso, il diritto di giudicare e determinare il valore di un’invenzione spettava solo al pubblico, cioè ai consumatori, le cui decisioni sono sempre state più illuminate di quelle di un corpo di esperti. Insomma, si trattava di un costrutto politico basato su aleatori diritti naturali, sul contrattualismo e sul meccanismo di autoregolamentazione dell’interesse personale e dell’esperienza. Oggi sarebbe un anacronismo con non lievi risvolti di pericolosità sociale.
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