venerdì 10 dicembre 2021

Anche il capitalismo cinese è pur sempre capitalismo

 

La crisi della società cinese Evergrande, sviluppatore immobiliare, è entrata in una nuova fase con il coinvolgimento diretto delle autorità di regolamentazione cinesi in quello che sembra essere un tentativo di garantire una riorganizzazione ordinata dei suoi obblighi internazionali dovuti al forte indebitamento e, infine, la liquidazione della società.

La mossa è stata accelerata da un annuncio della società alla borsa di Hong Kong venerdì scorso: Evergrande non è in grado di soddisfare una richiesta di rimborso di un debito di 82,5 milioni di dollari. In termini molto chiari: non vi è alcuna garanzia che disporrà di fondi sufficienti per adempiere ai propri obblighi finanziari, anche se nelle ultime ore il governatore della banca centrale cinese, Yi Gang, ha assicurato che rimborserà secondo priorità fra le varie categorie di debiti, vale a dire le obbligazioni senior (secured).

Lunedì gli investitori avevano riferito di non aver ricevuto pagamenti sulle obbligazioni dopo la scadenza di un periodo di grazia di 30 giorni, il che significa in effetti che la società è in default di fatto, senza trascurare che ha in circolazione, soprattutto in Cina, 19,2 miliardi di dollari in obbligazioni offshore (che è pur sempre debito: ricordiamoci del fallimento del gruppo statale cinese Yongmei e del gruppo Brilliance Auto).

Il mancato rispetto del pagamento porterà a una corsa da parte dei creditori per assicurarsi ciò che possono dalla carcassa dalla società, con effetti inevitabilmente contagiosi sul settore immobiliare cinese altamente indebitato, per non parlare delle cifre mostruose del debito locale (comuni e province).

In conseguenza dell’annuncio, il fondatore e principale azionista di Evergrande, Hui Ka Yan, è stato convocato a una riunione dal governo provinciale del Guangdong per discutere la situazione dell’azienda.

La crisi è emersa lo scorso settembre, quando Evergrande ha iniziato a non onorare gli obblighi di debito e ha ottenuto la citata dilazione di 30 giorni. Da allora ha vissuto un’esistenza alla giornata per quanto riguarda il flusso di cassa. Sotto la pressione delle cose e del governo centrale, la società ha rastrellato denaro con la vendita di asset e di azioni a prezzi ampiamente scontati.

Dopo l’incontro con le autorità del governo provinciale, lunedì Evergrande aveva annunciato che “in considerazione delle operazioni e delle sfide finanziarie” il consiglio di amministrazione ha istituito un comitato di gestione del rischio.

Oltre a Hui e allo chief financial officer di Evergrande, Pan Darong, fanno parte del nuovo comitato di gestione i rappresentanti di società statali, tra cui Guangdong Holdings, una società di investimento controllata dal governo provinciale e dalla China Cinda Asset Management Company, che è uno dei più grandi gestori di crediti inesigibili della Cina (e che a sua volta, vedo dall’indice, non gode di buone performance borsistiche).

Va peraltro ricordato che il modus operandi di Evergrande era molto in linea con la promozione dello sviluppo immobiliare basato sul debito e favorita dal governo centrale e caratteristica di molti altre società simili. Ad agosto scorso il cambio di rotta, quando il governo, sempre più preoccupato che il modello promosso stesse portando a una crisi finanziaria di tutto il settore immobiliare, ha deciso di tirare i remi in barca. Se si tiene conto degli effetti di flusso economico complessivo, si stima che il settore rappresenti fino al 30% dell’economia cinese.

Oltre a ingenti prestiti, Evergrande si è finanziata con pagamenti anticipati da parte degli acquirenti di appartamenti che sono stati poi utilizzati per finanziare un’ulteriore espansione, in effetti ricevendo denaro senza interessi dagli acquirenti in quello che equivaleva a una sorta di schema Ponzi. Che è poi in definitiva uno schema comune in un’economia capitalistica, specie nella fase, per dirla con Marx, dell’accumulazione originaria.

Ora, in buona sostanza, si tratta di gestire un collasso societario al rallentatore, un processo di ristrutturazione che è ancora nelle sue primissime fasi. I processi di ristrutturazione del debito non sono mai semplici perché generalmente richiedono l’accordo di tutte le parti creditrici coinvolte. Se alcuni creditori decidono che è meglio agire in modo indipendente, le cose si complicano. Solo che in tal caso andrebbero a sbattere contro la muraglia cinese.

Vi sono migliaia di società legate al settore immobiliare cinese, delle quali almeno un centinaio sono quotate alla borsa di Hong Kong. Tra i più grandi nomi in difficoltà c’è Sinic Holdings Group, che non è riuscita a rimborsare 250 milioni di obbligazioni lo scorso ottobre. Altri inadempienti includono Modern Land, Fantasia Holdings e China Fortune Land Development.

Intanto la Banca popolare cinese a partire dal 15 dicembre taglierà il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, la seconda mossa di questo tipo quest’anno, liberando 188 miliardi di dollari di liquidità a lungo termine per sostenere il rallentamento della crescita economica. Ad ogni modo la riserva obbligatoria delle grandi banche cinesi è del 10,5%, per altri istituti tra il 5 e l’8,4%, cosa che ci sogniamo in occidente.

Questa è solo la punta dell’iceberg del debito. Anche il capitalismo alla cinese è pur sempre capitalismo. Senza debiti, interventi pubblici colossali, crisi e guerre, il capitalismo sarebbe già finito da un pezzo. A tale riguardo è di sicuro interesse quanto scrive Agustín Carstens, direttore generale della BRI, nella sintesi del rapporto trimestrale a proposito degli intermediari finanziari non bancari (NBFI). Si stima che questo settore non bancario, praticamente non regolamentato, ora conti per quasi la metà di tutte le attività finanziarie.

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