martedì 28 dicembre 2021

Con quel curriculum?

 

La passione, non solo italiana, per le disuguaglianze. Da sempre è l’operaio che finanzia il dirigente, ma prima ancora finanzia il padrone. Marx ha solo spiegato i dettagli. Solo dei poveri di spirito possono credere che i ricchi e le classi medio-alte paghino per i poveri.

La prima spesa dello Stato, in assoluto, sono i dipendenti pubblici: polizia, esercito, giustizia, istruzione, sanità (in parte). Per finanziarsi (2020), lo Stato riscuote le tasse: IVA (141.166 milioni), imposta sul reddito (192.774), accisa sui prodotti energetici, loro derivati e prodotti analoghi (21.354), accisa sull’energia elettrica e addiz. (2.683), tabacchi (10.603), proventi delle attività di gioco (233), apparecchi e congegni di gioco (3.210, ma nel 2019: 6.592), proventi del lotto (5.950, ma nel 2019: 7.632), ecc..

Dalle concessioni governative lo Stato incassa la risibile somma di 751 milioni.

La maggior parte delle imposte dovrebbe essere proporzionale al reddito, o alla spesa. Il caso tipico è l’IVA: il barbone all’angolo della strada, quando compra una maglietta a 20 euro paga la stessa IVA di Giovanni Ferrero e Leonardo Del Vecchio. E fin qui non ci possiamo fare nulla. Quando questi ultimi squattrinati acquistano da una galleria o per importazione “oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, nonché per le cessioni degli oggetti d’arte effettuato dagli autori, o dai loro eredi o legatari, l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto è stabilita nella misura del 10 per cento”. Piove sempre sui poveracci.

Sento affermare che i redditi medio-alti sono quelli che versano la maggior parte dell’Irpef. Propongo un altro punto di vista, con due dati ricavati dal Bollettino delle entrate tributarie 2020. La prima cifra riguarda il preconsuntivo relativo alle ritenute Irpef dei dipendenti settore privato: 77.347 milioni; lavoratori autonomi 10.834 milioni; settore pubblico: 79.339 milioni.


Pertanto, per quanto riguarda il periodo gennaio-dicembre 2020, sulla base delle suddette cifre, il gettito Irpef del settore pubblico costituisce il 47,3% del gettito complessivo Irpef. Tradotto significa che quasi la metà dell’Irpf è praticamente una partita di giro, ossia di somme destinate dallo Stato in forma figurativa a stipendi e pensioni pubblici e in realtà ritenute alla fonte come Irpef.

Chi vuol capire, capisca.

«Di fatto, il 20 per cento delle famiglie in condizione economica meno favorevole [i più poveri], che sono già sostanzialmente escluse dall’ambito di applicazione dell’Irpef a causa dell’elevato livello dei redditi minimi imponibili [circonlocuzione che significa: redditi da fame o da scaltri evasori], non sono coinvolte dalla revisione dell’Irpef».

La questione non riguarda tanto il criterio distributivo della misura adottata, e dunque lo sbilancio della riduzione media d’imposta che favorisce nettamente e sfacciatamente i redditi più alti, quanto il fatto che l’evasione e l’elusione fiscale possono procedere allegramente. C’è poi la questione dei canoni demaniali, che come visto sopra sono irrisori e offensivi. La minore tassazione sulle plusvalenze da questo e quello, l’imposta su successioni, donazioni e polizze varie, il tema di quelli che chiamo “esuli fiscali”, ossia del regime d’imposta per le imprese non omogeneo in UE, i vari regimi fiscali agevolati, l’estromissione dei beni dal patrimonio dell’impresa e altre cosette del genere che ben sappiamo.

Che cosa ci si aspetta da Mario Draghi sulla base del suo curriculum?

Ci raccontano da decenni la solita favola secondo cui quando lo Stato riduce le tasse, e quindi si priva di gettito fiscale, le entrate aumentano. Questa assurda argomentazione è stata servita in tutte le salse a partire da Ronald Reagan e da un certo Arthur Laffer, “inventore” di una curva fasulla secondo la quale le entrate fiscali diminuiscono quando le tasse aumentano. Che dà la stura a una teoria economica che non esiste, secondo la quale, se abbassiamo le tasse ai più ricchi, iniziano a investire nelle aziende. Perché dovrebbero farlo?

Anche per quanto riguarda il cosiddetto ceto medio, che medio non è secondo aritmetica sui redditi, ossia i redditi superiori a 42.000 euro, in che cosa potranno investire il loro risparmio fiscale? Non certo in ristrutturazioni edilizie, poiché c’è già il superbonus al 110% (se non è follia quella, ditemi che cos’è).

Dio mio, abbiamo scoperto come funzione una società di classe. E ora che facciamo?

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