Come già anticipato, le ostetriche palestinesi hanno revocato lo sciopero e così anche per quest’anno il Bambino è nato. Egli gode di ottima salute nonostante il freddo e il gelo, in attesa di lavori di ristrutturazione della mangiatoia ai sensi del superbonus. Il bue e l’asino saranno rimpiazzati da pompe di calore e pannelli solari. All’orizzonte sono comparsi i tre Magi, ognuno con il suo dono: prima, seconda e terza dose di vaccino. Pertanto chiudo il capitolo natale e apro quello “anno nuovo”, segnatamente per quanto riguarda la Turchia, con una rapida scorsa a ciò che è accaduto recentemente.
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Immaginiamo che l’Italia nel 2011 non fosse entro il sistema dell’Euro. Forse oggi non sarebbe una repubblica parlamentare (non lo è più comunque). Si sarebbe trovata nella stessa situazione in cui è oggi la Turchia, anzi molto peggio. Il debito pubblico turco sfiora il 40%, quello italiano d’allora era al 120. Vero è che quello italiano oggi sembra costituire una variabile indipendente grazie all’euro, però, credete a me, non finirà bene per la maggioranza di noi.
Recep Tayyip Erdoğan lunedì scorso ha annunciato misure finanziarie e la Banca centrale ha buttato 7 miliardi di dollari nel disperato tentativo di arginare il crollo della lira turca (LT). Pare che circa il 65 per cento dei depositi in Turchia siano in valuta estera. Per incoraggiare i turchi a cambiare i loro dollari ed euro in depositi in LT, Erdoğan ha fatto garante lo Stato (l’état c’est moi) per coprire qualsiasi scostamento nel cambio di qui a 3-6- 12 mesi.
Un’operazione pronti contro termine senza commissioni (pare), con un rischio elevatissimo per l’emittente, poiché questa garanzia statale data ai conti di deposito in lire turche sarà coperta da nuovi prestiti e, inevitabilmente, dalla stampa di denaro della Banca centrale. Indovinate chi pagherà il prezzo di tale azzardo attraverso una maggiore inflazione.
“Vi domando perdono, vi avevo preso per uno sgabello”.
Lunedì la LT si scambiava oltre 18 contro il dollaro USA, dai 7 dollari di inizio febbraio. Martedì, dopo l’annuncio di Erdoğan, il dollaro è tornato a 12,5 e pare che ora oscilli poco sotto. Succede come per i malati gravi, che poco prima di tirare le cuoia mostrano un miglioramento, forse l’ultima chance giocata dal sistema immunitario prima del collasso.
Erdoğan preme sulla Banca centrale turca affinché tagli i tassi d’interesse per sostenere la crescita economica nei settori delle esportazioni e delle costruzioni. Con un altro sconto dell’1% la scorsa settimana, la Banca centrale turca ha tagliato i tassi d’interesse di 500 punti base negli ultimi quattro mesi. Normalmente, le banche centrali alzano i tassi per frenare l’aumento dei prezzi, ma zio Erdogan ha definito tali strumenti come “la madre e il padre di tutti i mali”.
Nell’ultimo anno si è registrato un aumento di circa il 100% dei prezzi dell’energia e dei beni di prima necessità, mentre l’inflazione annua ufficiale, stimata al 21% a novembre, è data realmente oltre il 30. Erdoğan ha risposto la scorsa settimana annunciando un aumento del salario minimo di quasi il 50% per il 2022, avendo in mente che tra poco più di un anno ci saranno, salvo sorprese, le elezioni politiche. Calcolato in dollari, il salario minimo mensile, a 384 all’inizio del 2021, è sceso a 370.
Non vi è dubbio che un deprezzamento della valuta può aiutare ad aumentare i volumi delle esportazioni, ma l’elevata volatilità dei cambi fa perdere alle aziende il controllo sui loro costi, e a ogni modo il saldo tra l’export e l’import della Turchia non va molto bene, almeno a giudicare dai dati riferiti a luglio scorso: tra luglio 2020 e luglio 2021 le esportazioni della Turchia sono aumentate di 1,43 miliardi di dollari (10,1%), da 14,1 miliardi a 15,6, mentre le importazioni sono aumentate di 2,69 miliardi di dollari (15,7%) da 17,2 miliardi a 19,8 di dollari, con un saldo commerciale negativo di 4,26 miliardi di dollari.
Andamento confermato secondo gli ultimi dati, quelli di novembre. Le esportazioni del Paese sono aumentate del 33,4% su base annua, raggiungendo il massimo storico con 21,5 miliardi di dollari, mentre le importazioni ammontano a 26,8 miliardi. Pertanto ancora un disavanzo netto, essendo il rapporto di copertura delle esportazioni su importazioni dell’80%.
Sul fronte del turismo, anche la Turchia, dopo una ripresa rispetto al 2020, soffre la situazione che tutti conosciamo. Ad ogni modo, anche quando le cose vanno al meglio si tratti di avanzi netti sull’ordine dei 2-3 miliardi di dollari. Da non buttar via, ma non sono un salvagente sufficiente in questa temperie finanziaria turca che data ormai da diversi anni.
Erdoğan intende restare al potere fino alla fine dei tempi sognando di ricreare almeno in parte il tardo impero ottomano, vedi il progetto dell’istmo simile a quello di Panama e Suez destinato a collegare il Mar Nero con il Mar di Marmara. In realtà non si sta giocando solo la rielezione ma anche la propria testa.
(*) Nel 2019 la Turchia è stata la 19a economia in termini di PIL, la a29 nelle esportazioni totali, la 26a nelle importazioni totali, la 77a economia in termini di PIL pro capite e la 40a economia più complessa secondo l’Indice di Complessità Economica (ECI). Nel luglio 2021, l’aumento delle esportazioni annuali della Turchia è dovuto principalmente a un aumento verso l’Italia (319 milioni di dollari, 73,6%), gli Stati Uniti (285 milioni, 41,3%) e la Germania (264 milioni, 24,3%). Tuttavia, nel luglio 2021, l’aumento delle importazioni annuali ha visto un aumento dalla Russia (1,23 miliardi di dollari, 106%), dalla Cina (991 milioni, 63,4%) e dal mondo(566 milioni, 47,5%).
Grazie per questo interessante articolo.
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Ciao Peppe
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