venerdì 17 dicembre 2021

La capa

 

A Marguerite

Come ogni lunedì, la direttrice generale dei servizi segreti si infilò chirurgicamente i suoi aderentissimi pantaloni in pelle, rimise a posto il reggiseno discreto e indossò il discreto gilet, sempre di discreta pelle ecologica.

Fatto ciò, prese la discreta valigetta che l’attendeva sulla sedia accanto all’imponente armadio a specchio e lasciò la stanza sicura di sé, montata su discreti tacchi a spillo. Per una donna della sua condizione era fondamentale essere più discreta possibile, sebbene personalmente non avesse nulla da nascondere.

Mai attirare l’attenzione su di sé, questo era il suo motto. Si era sempre sforzata di circondarsi di persone stravaganti che distogliessero lo sguardo da lei, lasciandola nell’ombra in ogni luogo e in ogni circostanza, per quanto bella fosse. In tal modo divenne invisibile.

Arrivata alla porta d’ingresso, baciò sulla fronte il marito, sul collo la cameriera e accarezzò energicamente la folta criniera fulva del suo Schäferhund, poi saltò sul sedile posteriore della grossa e lussuosa Mercedes nera che da un buon quarto d’ora l’aspettava davanti al cancello di casa con un discreto lampeggiante acceso.

Da buon capo qual era, scambiò alcune banalità con la sua guardia del corpo sudtirolese, chiedendogli senza ascoltare che cosa avesse fatto nel fine settimana, poi con circospezione si lanciò nell’esame meticoloso dell’unico documento contenuto nella valigetta, un dossier classificato Cosmic-Bilderberg, il più alto livello di N.O.S., che non aveva avuto il tempo di esaminare durante il week-end.

È stata colpa di Javier, suo marito, per la sua focosa e inesauribile esibizione di ... flamenco. Lo rivide inguainato in pantaloni neri attillati, con il frustino e una camicia rossa, battere il parquet con i tacchi metallici come se avesse calpestato un’invasione di virus delle più contagiose e letali varianti. Anche la cameriera s’era divertita tanto.

Che branco d’incompetenti, esclamò tra sé tornando al fascicolo, devo davvero occuparmi di tutto in prima persona! Poi s’accarezzò dolcemente il mento e disse all’autista: “prima di andare in ufficio, portami dove sai”.

“Dove sai”, ripeté l’autista nella sua testa, e subito pensò a Louis Vuitton, a meno che non fosse Hermes o Chanel. Ma a quell’ora, i negozi non erano ancora aperti. “Dove sai”, no, davvero, non lo sapeva di preciso.

“Scusi, signora direttrice, potrebbe essere più specifica?”.

“Il primo indirizzo dell’elenco che ti è stato dato venerdì sera”, rispose seccata di dover sempre spiegare tutto. Come sono lenti gli uomini!

L’autista pensò che, dopotutto, era solo un semplice autista, quindi non era tenuto a preoccuparsi troppo di quelle faccende.

Dopo mezz’ora, la Mercedes nera si fermò davanti a una modesta bifamiliare di periferia, l’autista e la guardia del corpo si guardarono negli occhi interrogandosi per un attimo. “L’indirizzo è questo, signora direttrice”, disse l’autista.

Fu la signora Luisa, che in quel momento si trovava sul balcone, dando una pacca pesante su un soffice piumino, la prima a vedere l’auto accostata e informò immediatamente il marito. “Marcello, vieni a vedere”, esclamò abbastanza forte perché lui la sentisse, ma non troppo forte per non attirare l’attenzione del vicinato.

L’uomo trascinò i piedi dalla cucina alla camera da letto, la brioche in una mano e il caffè nell’altra, s’affacciò sul piccolo balcone gremito dal sedere grassoccio della moglie. “L’aria è fredda, pensò, c’è il rischio mi venga la bronchite”. Questo inverno gli aveva congelato le ossa.

L’autista era balzato fuori dall’abitacolo, come fosse sulle molle, e aveva aperto la portiera posteriore destra con i vetri oscurati. La direttrice, sulla sessantina e passa ma truccati assai bene, scese con grazia.

Sentendosi osservata, alzò lo sguardo: “Signor Covoni?”.

Marcello spinse un po’ a lato la moglie, guardò incuriosito la donna con autista e tutto il resto. “Vorrei parlare con lei di una questione della massima importanza”, disse algida la direttrice dirigendosi con passo svelto oltre il cancello.

Marcello s’affrettò. Bevve in un sorso quel che restava del suo caffè e, con un rumore di porcellana, lasciò cadere la tazza nel lavello della cucina. Luisa aveva già chiuso la finestra del balcone, rimesso il piumino sul letto e si diresse verso di lui con gli occhi da merluzzo lesso.

“Marcello, ma chi è quella?”. “Non so chi sia, comunque mettiamoci la mascherina ...”, rispose rapido il marito, già pentendosi di qualcosa che in quel momento ancora non sapeva. Controllò nello specchio del corridoio che i capelli fossero a posto, si tolse la felpa e infilò la giacca, quindi la mascherina d’ordinanza e andò ad aprire la porta. Si sentivano già i tacchi sulle scale.

Comodamente seduta in poltrona, la direttrice brevemente declinò la sua identità e la sua funzione. “Cazzo”, pensò quasi incredulo Marcello, “il capo dei servizi segreti, e pure una donna!”. Non capita tutti i giorni che il grande capo degli agenti segreti venga a cercarti a casa, non per la perdita di un rubinetto. Sospettoso, ripensò ai ladri bulgari che avevano operato nel quartiere giorni prima spacciandosi per funzionari del ministero della Sanità prima di svuotare la casa agli ingenui malcapitati con la scusa della bonifica antivirale radicale.

“Scusi signora, che cosa mi prova che lei è quella che dice di essere, ha un documento in tal senso?”, chiese Marcello simulando occhietti intelligenti e furbi che non aveva.

La direttrice non si aspettava una domanda del genere, poiché la gente non osava più chiedere nulla dopo il successo avuto dal “Programma di rafforzamento del principio di autorità”, secondo cui s’obbedisce e basta.

Lei non si scoraggiò: “Signor Covoni, lavoro nei servizi segreti, non nella polizia. È prassi di sicurezza che non s’abbia un documento del genere e lei capirà facilmente il motivo”.

L’uomo scosse la testa per indicare che non ci credeva del tutto.

“Non siamo in una vecchia fiction ante 2020”, osservò ironica la direttrice, “cerchi su Internet, troverà la mia foto e il mio nome”.

In risposta, si udì un rumore di stoviglie che urtavano. Marcello guardò verso la cucina. Luisa arrivò nella stanza fingendo di riporre i piatti nella credenza ma era chiaro che non si perdeva una parola. Forse aveva anche un coltello a portata di mano, per ogni evenienza. Anche lei aveva sentito la faccenda sui bulgari.

“Ancora non capisco che cosa lei vuole da me”, disse Marcello.

La direttrice venne ai fatti. L’argomento caldo e delicato riguardava il tracciamento di soggetti sospetti. L’uomo spalancò ancor più gli occhi non capendo che cosa c’entrasse lui.

Lei precisò che nel caso specifico non si trattava di soggetti legati a reti terroristiche mediorientali o di fughe d’informazioni riservate in stile WikiLeaks. “Si tratta di soggetti attenzionati per altri motivi”, disse verbalizzando le sue parole.

“Ma io non ho fatto nulla”, disse Marcello arrossendo e congiungendo le mani.

“Lei”, disse la direttrice, “martedì scorso è entrato in una sala bingo”. Poi, fissandolo negli occhi: “Lo sappiamo con certezza, i nostri sistemi elettronici di tracciamento non sbagliano, sono gli stessi che pedinano i fumatori e i terroristi, roba tecnologica israeliana, non so se mi spiego”, firmò orgogliosa.

“E cosa c’è di male?”, osservo Marcello, che però stava già sudando freddo. “Lei lo sa bene, non ha ancora fatto l’ultima dose di vaccino, e nonostante questo ha esibito un green pass, ma falso!”, concluse la direttrice abbozzando un sorriso di vittoria.

Il signor Covoni Marcello, classe millenovecentoerotti, si sentì perduto, guardò prima la moglie, cercando conforto, e poi la direttrice, supplicandola di misericordia.

“Lei, Covoni, ha un solo modo per limitare i danni provocati dal suo irresponsabile comportamento, dire il nome del falsificatore di green pass e quello di almeno altri due soggetti che come lei l’hanno comprato, tra voi vi conoscete, almeno qui nel quartiere”.

“Le assicuro, disse Marcelo con voce supplice e scivolando sempre più sulla poltrona, che non ho comprato nulla, non conosco nessuno”.

“Non cerchi di prendermi in giro, rispose feroce la donna, sappiamo che ha un mutuo da pagare, un figlio disoccupato e una figlia che studia scienze della comunicazione”. Quindi, alzandosi in piedi: “È messo male Covoni, non ha scelta, il tempo stringe, collabori per il suo bene e quello della sua famiglia”.

Luisa osservava, senza veramente capire. Com’è stato possibile che suo marito avesse fatto una simile cosa senza dirle niente? Era vero, non si finisce mai di conoscere la persona con cui si vive, anche dopo tanti anni. E poi quell’uomo non l’aveva mai attratta troppo, e aveva messo da parte la sua libido da molto tempo, anzi dalla prima notte di nozze. Con quelle natiche orribilmente pelose. Non fosse stato per altri motivi non l’avrebbe mai sposato.

“Ma no, mi lasci spiegare”, replicò Marcello con la smorfia di un ragazzino che è stato beccato dai suoi genitori a farsi uno spinello. “Il green pass l’ho fatto in casa, fotocopiando quello di mia moglie, poi con forbice e colla ... guardi, un fotomontaggio maldestro, mi creda”.

L’affermazione fu accolta dalla direttrice con una prolungata risata sardonica.

In quel momento Marcello allungò la mano verso il comodino e spense la radiosveglia che trillava.

Marcello, quando fu in cucina, raccontò l’incubo a sua moglie. Luisa, affaccendata con la colazione, gli disse: “Quante volte t’ho detto di non guardare certi programmi televisivi?”.

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