martedì 21 luglio 2015

Limone e liquirizia


Quando si parla di crisi generale storica del modo di produzione capitalistico il senso comune non coglie la realtà di tale concetto e la sua intrinseca dinamica (*). Ci sono epoche nelle quali tutto sembra inutile e la nostra epoca di questa inutilità ci parla in ogni momento. Del resto che senso ha rivolgersi al senso comune per simili faccende? Già Rosa Luxemburg ebbe a osservare a tale proposito che ogni periodo forgia il suo materiale umano e che se la nostra epoca avesse veramente bisogno di lavori teorici, essa stessa creerebbe le forze necessarie alla sua soddisfazione. Per intendere il significato esatto di tale fatto, come in quasi tutti i giudizi dell’intelligenza, occorre innanzitutto rovesciarlo. L’epoca attuale può offrire un saggio dell’intelligenza ma non un uso delle sue molteplici possibilità poiché essa è legata alla conservazione fondamentale di un ordine antico.

*



Prendiamo in esame la composizione superiore del capitale costante in rapporto a quello variabile. Ebbene sappiamo che l’aumento del capitale costante in rapporto a quello variabile accelera la caduta del saggio del profitto (ho esemplificato, sulla traccia della legge scoperta da Marx, in questo post), e a sua volta la diminuzione del saggio del profitto accelera la concentrazione di capitale e la sua centralizzazione tramite l’espropriazione di piccoli capitalisti, degli ultimi produttori diretti sopravvissuti presso i quali vi è ancora qualcosa da espropriare. È questo un fenomeno sotto gli occhi di tutti ma ciò non significa che la sua dinamica immanente sia immediatamente intellegibile.

Dato che la valorizzazione del capitale è l’intrinseco fine della produzione capitalistica – questo almeno il senso comune dovrà ammetterlo – il saggio di valorizzazione del capitale totale ne è la molla, sennonché la sua caduta rallenta la formazione di nuovi capitali indipendenti e si presenta come un ostacolo per lo sviluppo del processo di produzione capitalistico. In altri termini, per citare una famosa frase di Marx, “il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso”. Vediamo il dettaglio.

Gli economisti borghesi, che considerano come assoluto il modo di produzione capitalistico, si accorgono che tale modo di produzione genera esso stesso dei limiti ed attribuiscono questi ultimi non alla produzione, bensì a fenomeni di natura sociale e persino psicologica, o semplicemente speculativa, comunque transitori ed emendabili con le giuste “riforme”. Per contro è vero che la caduta del saggio del profitto favorisce la sovrapproduzione, la speculazione, le crisi, un eccesso di capitale insieme a un eccesso di popolazione, e tuttavia questi sono fenomeni prodotti della contraddizione fondamentale che sta alla base del modo di produzione capitalistico.

La tendenza alla diminuzione del saggio del profitto è provocata soprattutto dal fatto che il modo di produzione capitalistico trova, nello sviluppo delle forze produttive, un limite che ha nulla a che vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale (**); e questo particolare limite testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico, transeunte, del modo di produzione capitalistico; prova che esso non costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario, arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo.

Vedo di esemplificare ulteriormente. Poiché l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro umana, la diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga a un punto del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al valore del capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica (***). Spero, vivaddio, non sia il caso di aggiungere “numerelli” a sostegno in un post già così lungo. 

Occorre tener presente che la composizione organica non è una semplice composizione (rapporto) di valore tra capitale costante e variabile, ma essa presuppone ed è sostenuta da una data composizione tecnica, ovvero da un determinato livello di sviluppo tecnologico, di condizioni organizzative e di formazione della forza-lavoro nella produzione capitalistica. Lo sviluppo costante della composizione tecnica rappresenta la tendenza del capitale a sviluppare produzione e produttività del lavoro.

Il fatto che ogni composizione organica presupponga e sia sostenuta da una data composizione tecnica comporta che non ogni quantità di profitto possa trasformarsi in un aumento dell’apparato tecnico di produzione. Cosa che s’intuisce anche da sé: per l’espansione quantitativa e qualitativa della scala della produzione è necessaria, infatti, una quantità minima di capitale addizionale che, nel procedere dell’accumulazione, diventa, a causa della crescita accelerata del capitale costante, sempre maggiore.

L’accumulazione è costretta, quindi, ad interrompersi, non perché vi sia l’impossibilità tecnica di procedere oltre, ma perché il valore di scambio non è più in grado di “misurare” il valore d’uso: ciò vale a dire che i rapporti capitalistici di produzione non possono più sostenere il livello raggiunto dalle forze produttive sociali.

Richiamo l’attenzione del volenteroso lettore su questo aspetto: se analizziamo il processo di riproduzione, e quindi l’accumulazione del capitale sociale, cioè del capitale complessivo della società, ci troviamo immediatamente di fronte ad una contraddizione: come può il plusvalore sociale, che è sotto forma di merce, trasformarsi in denaro e poi riconvertirsi in nuovi mezzi di produzione addizionali e una nuova forza-lavoro, dati i rapporti di mercato capitalistici, e, quindi, come può realizzarsi la riproduzione allargata che è la base ed il fine del sistema capitalistico?

In definitiva la risposta a tale problema è la chiave di tutto. Dall’impostazione che le viene data dipende anche l’interpretazione delle crisi, come crisi di sproporzionalità (ma non come crisi generale). Non è tema di questo post (forse di uno futuro) ricostruire in dettaglio ed ab ovo le teorie borghesi in risposta a questa questione, ed a ogni modo è sufficiente leggersi le Teorie sul plusvalore di Marx, segnatamente il II vol., per avere chiare le cose.

Questo “limite”, dicevo, che nelle prime fasi del capitalismo si manifesta, nei punti più avanzati, periodicamente con delle crisi cicliche, quando invece il capitalismo ha raggiunto un alto grado di sviluppo si presenta come crisi generale storica, che accompagna il sistema e lo investe nella sua totalità. Crisi generale non significa però “blocco” delle forze produttive, o “crollo” automatico, ossia impossibilità assoluta di accumulare. L’accumulazione prosegue, ma sempre più faticosamente e sempre più su una base più ristretta, accompagnata da crisi cicliche sempre più ravvicinate e scardinanti, con contraddizioni, anche di ordine sociale, sempre più laceranti.

Il plusvalore sociale, la ricchezza sociale per dirla in termini correnti, diventa sempre più insufficiente a valorizzare l’intero capitale esistente, ma è però in grado di valorizzarne una parte. Il monopolio dei settori produttivi e delle aree di mercato, la centralizzazione sempre più accentuata e su scala sempre più ampia, il superamento delle barriere nazionali e continentali sulla base di grandi accordi, l’utilizzo degli Stati e delle istituzioni di governance come vettore fondamentale per l’accumulazione, si impongono come leggi ferree, prodotto necessario dello sviluppo capitalistico nella sua fase di declino. 

Siamo dunque già a uno stadio molto avanzato del processo di trasformazione profonda della formazione sociale capitalistica, che coinvolge tanto la struttura dei capitali, quanto la struttura delle classi, il rapporto tra struttura economica e sovrastruttura statuale. Ecco che si comprende perché il capitalismo più si sviluppa e più si pone per la borghesia la necessità di controllare e regolare le contraddizioni; ecco per esempio, quale chiave di lettura anche di avvenimenti recenti, che si fa calzante, anche se non strettamente rigorosa, la definizione luxemburghiana dell’imperialismo quale “espressione politica del processo di accumulazione del capitale nella sua lotta di concorrenza intorno ai residui ambienti non-capitalistici non ancora posti sotto sequestro”.

Ad ogni modo dev’essere chiaro, tanto per sgombrare il campo da interpretazioni che pongono l’accento sulle contraddizioni tra produzione e consumo (cosa spontanea anche a “sinistra”, sulla scia proprio della Luxemburg, e che intriga molti esponenti “illuminati” dell’accademia borghese), che tale contraddizione è solo un aspetto importante della crisi capitalistica, poiché racchiude già la possibilità ma non la necessità della crisi del modo di produzione capitalistico, che dunque va ricercata nella produzione del plusvalore e non semplicemente nella sua realizzazione.

E dunque, per dare una morale di sollievo al lettore che sia giunto fin qui, è utile senz’altro insistere per una più equa distribuzione della ricchezza sociale, e tuttavia "la lotta contro" tale cinica iniquità, di cui perfino un papa si può fare interprete, è sì, per dirla semplice, il motivo delle cosiddette crisi classiche di sproporzionalità, ma non è di per sé la ragione della crisi generale storica del modo di produzione capitalistico.  

(*) Per senso comune non intendo solo quello spicciolo, piccolo borghese, largamente esposto alle influenze del pensiero reazionario, ma intendo anche quel pensiero accademico il cui livello di comprensione scientifica dell’economia politica non solo non è progredito rispetto ai classici del primo periodo ma è costantemente degradato verso teorie fittizie, fino a diventare mera politica monetaria.

(**) Per fare un esempio, il limite allo sviluppo del sistema produttivo antico trovava un limite nello sfruttamento del lavoro servile, ma tale condizione non impediva la produzione in quanto tale.

(***) Per composizione organica del capitale s’intende il rapporto reciproco che si stabilisce tra composizione di valore e composizione tecnica. In altre parole, la composizione di valore riflette la proporzione in valore delle parti costitutive del capitale (abbiamo visto: capitale costante e capitale variabile). La composizione tecnica riflette invece il rapporto fisico tra materie prime, mezzi di produzione e lavoro e indica il livello tecnico raggiunto dalla produzione.

Non distinguere tra “composizione in valore” e “composizione tecnica”, riducendo la composizione organica a semplice “composizione in valore”, preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la contraddizione fra lo sviluppo storico-naturale delle forze produttive e la forma che esse assumono nel modo di produzione capitalistico, sia la vera ragione per cui l’aumento della composizione organica, provocando la caduta tendenziale del saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi dell’accumulazione capitalistica.


19 commenti:

  1. Sfido chiunque a trovare in rete riflessioni sulla scienza di Marx esposte con tanta chiarezza e lucidità, e senza alcuna concessione alla retorica, come quelle che propone Olympe.

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    1. meriti la mia considerazione solo per essertelo letto e con questo caldo! credo sarà l'ultimo ... per la stagione

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  2. Cara Olympe,
    credo tu viva dentro un frigorifero,io di questo periodo connetto relativamente.
    In tutti i casi i miei complimenti per la lucidita'del post,mi riservo pero ' il diritto di digerirlo lentamente,come si conviene dopo aver pranzato a base di un mezzo infante,come si conviene.
    A meno che la Sig Assunta ,consigli diete diverse per la stagione.

    caino

    ps.
    x la sig Assunta
    Consiglio una lettura dei dieci giorni che sconvolsero il mondo,quando l'autore narra di frotte di proletari che difeseroSan PPietroburgo dai feroci cosacchi.
    Si narra che i proletari misero in fuga i feroci cosacchi,scagliandovisi contro quasi a mani nude,i cosacchi fuggirono ,quando videro che i proletari si mangiavano i cavalli,dopo temettero che si mangiasero pure loro..bah cosa non si quando la fame incalza..la Assunta si tranquillizzi ,quello narrato non era un rito..solo fame..

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  3. Dopo - e solo dopo - essermi associato ai suddetti complimenti, mi metto nei panni di un "volenteroso" lettore di centrosinistra (o centrodestra, tanto è uguale) e rispondo alla domanda sul come può realizzarsi la riproduzione allargata: lavorare quasi a gratis (Jobs Act!) e fare debito con la carta di credito revolving.

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  4. vorrei, se mi è consentito, sollevare due questioni, una specifica, l' altra di carattere generale.

    1 ) partendo da questa affermazione :
    " non ogni quantità di profitto possa trasformarsi in un aumento dell’apparato tecnico di produzione."

    mi chiedo: perché il miglioramento dell' apparato tecnico ( nel senso di una maggiore produttività ) deve necessariamente procedere dal reinvestimento di una parte del profitto ? Perché si esclude che possa procedere da nuove scoperte scientifiche ? In altre parole, perché il progresso tecnico scientifico viene considerato solamente una variabile endogena e non anche una variabile esogena ?

    2 ) che utilità e senso può avere stabilire che una cosa ( la crisi generale del sistema capitalistico e il passaggio ad altro sistema ) accadrà sicuramente, se non si fa contemporaneamente cenno né a quando accadrà di preciso, né se sarà sostituita da qualcosa di migliore oppure di peggiore ? Mi sembra che porre la questione in questi termini precluda implicitamente, di per sé, ogni pur vaga possibilità di intervento politico sulla realtà.

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    1. 1) infatti: parlo di aumento e non di miglioramento; inoltre, il senso è riferito a tutt'altro concetto;

      2) lei mi saprebbe dire qual è l’istante storico in cui si è passati dal modo di produzione antico a quello feudale e da questo a quello capitalistico? Inoltre, non ho scritto che accadrà bensì di un processo già in atto;

      Come ho già avuto modo di scrivere in un post precedente: La teoria marxista della crisi consente dunque di prevedere scientificamente in quali condizioni si realizzi la tendenza allo sfacelo del modo di produzione capitalistico, e tuttavia tale punto limite del modello teorico, quello che segna l’arresto dell’accumulazione, nella realtà non coincide con il crollo spontaneo o automatico del capitalismo. E ciò non solo perché l’istante-limitedel modello è un istante logico e non immediatamente storico, ma anche perché il movimento reale è più complesso, multiforme e variegato del movimento concettuale che ne riflette le leggi. Come dice Lenin: “il fenomeno è più ricco della legge”.

      a quale genere d'intervento "politico" allude?

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    2. 1 ) credevo che "aumento" stesse per miglioramento. Se per "aumento" si intende una semplice espansione del capitale costante non capisco perché questa espansione dovrebbe essere indispensabile all' accumulazione, essendo, perché questa si verifichi, sufficiente un aumento della produttività del lavoro. Che tra l' altro è sempre possibile ottenere, oltre che dall'impiego di macchine "migliori" ma di uguale valore, con un una riduzione dei salari.

      2 ) benissimo. Ma forse sarebbe utile specificare che l'istante limite del modello potrebbe non avere mai una realizzazione storica e che l' accumulazione potrebbe, storicamente, continuare all'infinito.

      alla riappropriazione del controllo della moneta da parte dello stato. Mi sembra il punto centrale oggi, per sottrarsi al ricatto del capitale usuraio.

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  5. Dopo aver lentamente diigerito,mi associo rimarcando due asetti:
    1 la proletizzazione mondiale ,globale ancora non si e'copiuta e lascia margini di sfruttamento ..vd continrnte africano
    2)i recenti avvenimenti internazioli si possono interpretare solo ed esclusivamente nel quadro della teoria generale sopraesposta,diversamente possono andar bene anche le credenze sull'esistenza deglia "alieni" alla pari di certe teoria economiche borghesi da Nobel
    3)la vicenda greca in questo quadro e' solo uno degli aspetti del fenomeno e nemmeno il piu'importante su scala planetaria
    4) i margini per riforme (strutturali) nel quadro dell'economia borghese sono al lumicino
    5) per il sig ,di cui sopra ,nessuno ha mai predetto che le cose debbano per forza evolversi nel meglio..

    caino

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  6. premessa: non vorrei essere importuno, è che sto leggendo Marx ( il Capitale ) e vorrei mettere a confronto ( per approfondirla ) la mia interpretazione. I miei riferimenti sono Costanzo Preve e Riccardo Bellofiore. Forse ho capito cosa intende dire. Lei identifica il capitalismo con la riproduzione allargata. Se è così il suo post è perfettamente comprensibile e condivisibile. E adesso capisco anche il post precedente. Può darsi che in ambiente marxista questa assimilazione sia scontata ma dovremmo allora metterci d' accordo su come chiamare un sistema di riproduzione semplice ma non di meno basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sull' estrazione del plusvalore. Io penso che effettivamente un tale sistema è quello nel quale siamo già da un pezzo. In un tale sistema il capitale si valorizza attraverso l'aumento della produttività del lavoro e attraverso il suo trasformarsi in capitale usuraio. A confondermi credo sia stato l'uso che lei fa del termine sviluppo. Per sviluppo lei intende, credo, aumento del capitale sociale. Per sviluppo io intenderei il raggiungimento di un equilibrio qualitativamente diverso e la capacità di produrre sempre maggiore ricchezza ( intesa come insieme di cose utili e comode per la società). Dunque non capivo perché mai la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto dovesse portare necessariamente ad un arresto dello sviluppo, mentre è chiaro che porta ad un arresto della riproduzione allargata. Ho inteso bene ?

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    1. lei ha fatto una scelta giusta, legga il Capitale con calma e attenzione e lasci perdere cosa posso dire io e soprattutto Preve e c.. Quando poi, con calma e conseguentemente, sarà arrivato alla terza sezione del terzo libro, allora comprenderà cosa ho voluto intendere, ma a quel punto non sarà assolutamente di rilievo che cosa ne penso io.

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    2. va bene, ma obiettivamente è una scienza "strana" quella che si può imparare solo leggendo l'opera del fondatore e che si può discutere solo attraverso tale opera. E' come dire che per imparare la geometria elementare si debbano per forza leggere gli Elementi di Euclide. Il contenuto scientifico prescinde, per definizione, dalle circostanze in cui si è manifestato storicamente. Se no, si tratta di letteratura o di filosofia.

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    3. forse perché son tutti pagati dai capitalisti che non vogliono si sappia che il capitalismo sta per finire....Allo stato mi sembra la risposta più probabile.

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    4. ma lei vuole imparare o cerca solo il contraddittorio con me?

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    5. non si può imparare senza contraddittorio. E dunque neanche sapere, secondo me.

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  7. Ho il terrore dei filosofi e di tutti quelli che affrontano Marx solo dal punto di vista filosofico,senza parlare poi di Marx giovane,Marx maturo,Marx vecchio ect,ect,delle contraddizioni con Engels , (presunte)..sembra di essere in una giostra ,dopo centinaia di giri ci si ritrova allo stesso punto..mentre ,chissa perche' si evita di approfondire il nocciolo del metodo dialettico ,del percorso che i due hanno fatto per giungervi..

    caino

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    1. forse perché son pagati dai capitalisti che non vogliono si sappia che il capitalismo sta per finire. Allo stato mi sembra la risposta più probabile.

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  8. Se e' solo per questo,ci riescono benissimo, a gratis

    caino

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  9. oltre alle categoria segnalata da eco il web amplifica quella di chi: polemizzo ergo sum.
    attenzione anche alle foto se non vuoi vedere il tuo blog sommerso di selfie

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