In questi giorni a proposito della
vicenda ellenica, e dunque a riguardo di fatti e misfatti dell’unione europea,
si sente spesso invocare i diritti dei popoli, la democrazia e altre simili fantasie.
Rilevava un antico tedesco che componendo migliaia di volte la parola popolo
con la parola democrazia, la parola diritti con la parola uguaglianza, non ci
si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.
La domanda che invece ci dovremmo
porre, di là delle considerazioni su quanto sia iniquo e bastardo questo modo
di governare i processi di cambiamento, è dove ci sta portando tale mutamento
delle cose.
Abbiamo sotto gli occhi diverse
evidenze. Dapprima quella che le illusioni del riformismo, laddove non siano
già defunte, stanno svanendo. Molto semplice: la gente ha smesso di crederci e
ha ormai colto nitidamente l’essenziale di questo sistema di rapina e
corruzione. Però il sistema è ancora vincente sul terreno della lotta
ideologica, laddove ha saputo sfruttare il fallimento del sedicente comunismo
sovietico a tal punto che qualsiasi ipotesi di alternativa sul terreno
dell’antagonismo comunista (e non banalmente
anticapitalista) è diventata sinonimo delle cose peggiori.
Un’altra essenziale evidenza, sul
terreno pratico, è quella che vede lo sviluppo capitalistico aver creato le
premesse per una svolta epocale verso la quale ci stiamo inerpicando. Vediamo
come il lavoro sia sempre meno richiesto come quota di lavoro immediato, cioè come
la quantità di lavoro vivo sia sempre più esigua rispetto al lavoro passato che
mette in moto. I numeri della disoccupazione e sottoccupazione sono in tal
senso eloquenti e non ci sarà alcuna significativa inversione di tendenza,
anzi.
In altri termini, possiamo
osservare un fatto inedito nella storia, e cioè come la quantità di prodotti
disponibili non sia più determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla stessa forza produttiva del lavoro.
Ciò è dimostrato dall’enorme sproporzione tra il tempo di lavoro impiegato e il
suo prodotto, tra il lavoro e la potenza del processo di produzione che esso
sorveglia.
Ciò si palesa in tutte le sfere
della produzione, ma colpisce la fantasia (soprattutto degli ideologi borghesi)
laddove è massicciamente impiegata la robotica: pochi addetti possono controllare
una lunga e complessa catena produttiva che pochi decenni or sono richiedeva il
lavoro di decine e anzi centinaia di schiavi salariati.
Da questa evidenza si coglie che:
1) il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della
ricchezza, e con ciò il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua
misura; 2) il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza
odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che
si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria
stessa.
Se il lavoro necessario per
produrre una gran massa di prodotti si riduce grazie allo sviluppo
dell’automazione e delle tecniche produttive, ciò dimostra inconfutabilmente
che il lavoro necessario alla società per creare ricchezza sufficiente per
tutti, e dunque non più subordinato all’esigenza
di creare profitto, può essere ridotto ad un minimo.
Sempre più in evidenza che produzione
sociale e appropriazione privata non possono andare ancora insieme. Il
pluslavoro (cioè il lavoro erogato in più dall’operaio allo scopo di profitto
del capitalista) cessa di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza
generale, così come il non-lavoro dei pochi cessa di essere condizione dello
sviluppo intellettuale della società.
La società umana, per quanto sia
soggetta alle leggi di natura, non è una colonia di topi. La società umana è
capace di trasformazione cosciente della materia sociale, della produzione e
distribuzione, dell’organizzazione in generale secondo scopi predefiniti.
Le forze socialmente attive
agiscono in modo assolutamente uguale alle forze naturali, ma fino a quando
esse agiranno – così com’è avvenuto finora – in maniera cieca, violenta,
distruttiva, cioè fino a quando non le riconosciamo e non facciamo i conti con
esse, ci domineranno.
Come ebbe già ad osservare Engels,
fino a quando ostinatamente ci rifiuteremo di intenderne la natura e il
carattere di queste forze – e a questa intelligenza si oppongono i sostenitori
di questo sistema –, esse agiranno
malgrado noi e contro di noi. Una volta che le abbiamo riconosciute, che ne
abbiamo compreso il modo di agire, la direzione e gli effetti, dipende solo da
noi il sottometterle sempre più al nostro volere e per mezzo di esse raggiungere
i nostri fini.
Come ho già avuto modo di
scrivere, la libertà non è la negazione della necessità ma ne è l'affermazione,
scoprire la necessità significa trovare
la libertà.