lunedì 5 novembre 2012

Si cammina sulle solite spine



A volte bisogna prestare orecchio a quello che pubblicamente dicono i padroni, perché può succedere che si lascino scappare mezze verità. È successo a Carlo De Benedetti ieri sera in televisione alla réclame del suo libro. La domanda verteva sulla cosiddetta “guerra mondiale per il lavoro”, in realtà sulla competizione mondiale per lo sfruttamento della forza-lavoro. De Benedetti nel suo libro afferma ciò che del resto anche l’intervistatore ammette siano fatti nudi e crudi, e cioè che diversi miliardi di individui, per sopravvivere, hanno bisogno di vendere la propria forza-lavoro, ma il sistema capitalistico ne può occupare al massimo una parte. È stato chiesto a De Benedetti: degli altri, per i quali non c’è lavoro (e quindi reddito), cosa ne facciamo?

Naturalmente De Benedetti non aveva una risposta al quesito, poiché la sua posizione di classe gli impedisce un'analisi che non sia in linea con l’ideologia dominante. Egli, pertanto, si è limitato ad affermare che “bisogna mettersi in gioco”. Questa risposta rivela semplicemente che questo sistema economico funziona sulla base della legge del profitto, che è poi la trasposizione, variamente temperata nei diversi sistemi sociali, della legge della giungla. Il destino di miliardi di esseri umani è legato alla lotta per il saggio del profitto, le condizioni di sopravvivenza dei salariati dipendono dalla “selezione naturale” innescata dal capitale.

Nell’ideologia costituzionale borghese, il diritto di proprietà riguarda ogni individuo e si presenta come il fondamento del lavoro. Nella realtà le cose vanno diversamente: da parte del capitalista, il diritto di proprietà si presenta come il diritto di appropriarsi del lavoro altrui, retribuendone solo una parte; da parte dell’operaio, tale diritto si presenta come possibilità di vendere la propria forza-lavoro, ma anche come impossibilità di appropriarsi del prodotto del proprio lavoro se non nei termini di un salario. La separazione tra proprietà e lavoro è diventata così conseguenza necessaria di una legge che in apparenza partiva dalla loro identità.

Nelle condizioni della produzione capitalistica, la separazione tra proprietà e lavoro, quindi l’appropriazione del lavoro non retribuito, costituisce la contraddizione assoluta, l’originaria causa delle crisi e della sovrapproduzione come sua manifestazione. Allo stesso modo, con lo sviluppo della grande industria aumenta il capitale complessivo, ossia anche la parte rappresentata dal capitale variabile (forza-lavoro), ma questo capitale variabile cresce in proporzione costantemente decrescente rispetto al capitale complessivo. Pertanto, la disoccupazione segue le leggi dell’accumulazione capitalistica e non può prescindervi (*).

L’appropriazione del lavoro non pagato avviene legalmente, senza che vi sia bisogno, in genere, di violenza manifesta o atto di rapina, sulla base di contratti sottoscritti “liberamente”. Ecco che quando si giura sulle virtù della democrazia, bisogna aver presente che si tratta di una forma storica determinata di democrazia, tipicamente borghese, di cui l’inganno elettorale è elemento costitutivo imprescindibile. Succede un po’ come per i cattolici: non è importante ciò in cui credi veramente, quello che conta è che vieni a messa e fai mostra di riconoscere il ruolo e l’autorità della Chiesa.

(*) Vedi: K. Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, cap. 23, para. 3: Produzione progressiva di una sovrappopolazione relativa ossia di un esercito industriale di riserva.



7 commenti:

  1. @ Eschatone.
    In che senso Olympe sarebbe una stalker (è solo per capire la battuta: vero anche che spiegarla è brutto... mi basterebbe un indizio :-/ )

    @ Olympe
    Alcuni giorni senza la tua analisi marxista degli eventi e mi sentivo perso.

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  2. Infatti, molti non si rendono conto che alle domande cruciali gli odierni "rappresentanti" del capitale rispondono in maniera evasiva, perché altrimenti dovrebbero ammettere che il sistema attuale non è fatto per dare lavoro secondo le capacità di ciascuno (di ciascun lavoratore reale, in carne ed ossa), bensì per creare abbondanza di "manodopera" (intesa in senso lato, cioè includendo in questa categoria ogni tipo di lavoratore salariato/stipendiato). Il capitale poi sceglie a suo piacimento "fior da fiore" e tutto il resto rimane sul "mercato" e non è del tutto "inutile" (agli scopi del sistema), giacché serve in qualche modo a non creare eccessiva "scarsità" di forza lavoro.
    In un mio post (fermandomi a un 15% delle questioni che il tema del lavoro in sé solleva) ho messo insieme una serie di domande per mostrare "dall'interno" le contraddizioni contenute nelle promesse correnti di "crescita", "sviluppo", "lavoro per tutti/e", ecc. Già il tentativo di portare all'incasso quelle "promesse", se fatto seriamente e collettivamente, svelerebbe il bluff dell'attuale politica economica e della "vulgata mercatista".
    Ci sarebbe molto da dire sulla nozione stessa di mercato del lavoro, ad es. partendo dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 o dal I libro del Capitale (ma, per come siamo messi oggi, persino partendo da Keynes!): sembra che in proposito ogni cosa sia stata già detta e invece si deve sempre ricominciare da capo.

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  3. Uomini o avvoltoi?

    Interessante notare come l'ing. tiri la gran volata a questo nuovo assetto economico.

    Non sarà perchè da tempo si è posizionato su settori come l'energia, la sanità e anche il turismo che dall'austerity hanno tutto da guadagnare?

    Eh sì, perchè si dice austerity ma si pronuncia privatizzazioni. Se mi togli la sanità pubblica dove mi curerò? Se svendi il patrimonio pubblico chi lo compra? Etc., etc.

    Già dai tempi lontani di Olivetti e delle scatole cinesi in borsa il nostro caro angelo è sempre stato uno che vedeva lontano.

    Anche con mondadori aveva visto bene ma a volte le iene arrivano prima.

    Ma non so quanto debba auguarsi che chi è senza lavoro si metta in gioco, potrebbe voler giocare un gioco che a lui non piacerà.

    Ciao la foto è molto bella,gianni

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