Gli insegnanti lavorano poco, il giusto (?) o tanto? La
domanda è fuorviante e la risposta può esserlo assai di più. Talmente
soggettiva che solo i diretti interessati si sentono aver cognizione e causa di
rispondervi. Lavorano tutti assai di più di 18 ore, su questo c’è unanimità. Qualcuno
arriva a scrivere che “svolgono una professione
estremamente logorante”. C’è anche chi sostiene – per paradosso – cose come
queste:
“Ho scelto
questo lavoro apposta e sono riuscita a farmi assumere perché sono stata molto
intelligente. Potevi farlo anche tu, ma eri troppo cretino per fare
l’insegnante”.
Si può rispondere che non di rado l’insegnamento è un
ripiego e la scuola diventa un modo per dare una sistemazione a tanta,
tantissima gente, anche a quella diversamente “intelligente”. Ci sono persone, nel ruolo d’insegnanti,
che svolgono il proprio lavoro con impegno e passione, alcuni con abnegazione. Per
non scontentarne troppi, dirò che la maggioranza lo fa onestamente, senza
infamia e senza lode, e ha scelto quel mestiere “estremamente
logorante” per non essere dalla parte dei “cretini”, ossia di quelli
che sgobbano davvero otto o dieci ore il giorno e i cui compiti glieli corregge
ogni momento il cliente, il capetto o il padrone.
Non voglio inoltrarmi in polemiche sterili, mi limito
a riportare un brano tratto da un libro che un tempo fu fiore all’occhiello di
molti insegnati bravi e progressisti. Il libro in questione non era diretto a
loro, come potrebbe far pensare il titolo (Lettera a una professoressa), “ma
per i genitori, un invito a organizzarsi”.
La media vecchia era classista soprattutto per l’orario e
per il calendario. La nuova non li ha mutati. Resta una scuola tagliata su
misura dei ricchi. Di quelli che la cultura l’hanno in casa e vanno a scuola
solo per mietere diplomi.
Però c’è un filo di speranza nell’articolo tre. Istituisce
un doposcuola di almeno dieci ore settimanali. Subito dopo lo stesso articolo
vi offre la scappatoia per non farlo: il doposcuola verrà attuato “previo
accertamento delle possibilità locali”. Dunque la cosa è rimessa in mano
vostra.
Quarantacinque
anni dopo essere state scritte, queste parole restano all’ordine del giorno. Gli
insegnanti se le sono scordate e ora vi si oppongono, e i genitori non si sono
organizzati.
Ciao!
RispondiEliminaLa questione è come dici tu.
Anzi è da un po' di tempo che rifletto sul fatto che una futura ipotetica società che fosse basata sulla democrazia diretta, potrebbe funzionare solo a patto che una parte significativa delle ore della giornata sia impiegata all'informazione, approfondimento di ogni aspetto della gestione collettiva, in modo tale che ognuno non passi il tempo alla macina come i muli ma possa concorrere attivamente e consapevolmente al funzionamento della società.
Ma sappiamo che la scuola ha altri obbiettivi. A caso tra i tanti: creare schiavi dediti al sacrificio di rispettare orari, tempi, eseguire ordini; inculcare la gerarchia; abituare alla socialità e a quel minimo sapere indispensabile all'organizzazione produttiva; omologare al pensiero unico; disciplinare i corpi a posture,immobilità, silenzi e discipline da panopticon; spesso anche ad avere in odio il sapere imposto come corpo separato dallo sviluppo delle inclinazioni e passioni soggettiva; e tanto altro ancora sarebbe da dire.
Poi c'è la situazione dei docenti. Mission quasi impossibol.
Ho insegnato alle medie per un breve periodo.
Classi di minimo 27 persone che devono stare forzatamente 5 ore sui banchi nell'età in cui non è assolutamente sano e normale farlo.
E come può esserci didattica date le premesse?
Ho verificato che il rapporto didattico funziona solamente se tu conosci la persona a cui ti rivolgi, e quindi conosci la strada per fargli arrivare il messaggio. Per dire le cose più semplici: c'è chi è più veloce,chi più lento, chi è aggressivissimo, chi timidissimo (sai le risse), chi ha più interesse a vedere nelle cose l'aspetto pratico chi quello astratto, chi arriva in classe con drammi familiari che gli riempono la testa e il cuore e tanto, tanto altro.
In fondo la radice del rapporto didattico la puoi trovare nelle ragioni del metodo maieutico e nella grande frattura che c'è fra cultura orale e parola scritta.
Insomma ti dico che dopo 5 ore in queste condizioni (in cui ti chiedono di fare il gendarme e non il professore) arrivavo a casa con una testa così, e avevo assoluto bisogno di silenzio e calma totali per qualche ora. Se non te ne freghi, e entri in contatto con così tante vite vere in periodi della loro vita complicati e decisivi, in questo contesto asurdo non puoi altro che consumarti.
Poi mi sono inventato di tutto e qualche cosa di positivo sono riuscito a trasmetterlo, ma tutto è predisposto solo per creare schiavi abituati alla sofferenza.
Per non parlare poi delle materie di insegnamento, di quello che contegono, di quello che nascondono e del tanto che è assente.
Peccato sarebbe uno dei mestieri più belli e più preziosi al mondo....
....gianni
L'amore, il sesso, la filosofia, il senso della vita (per dirla alla Bonolis) ... tutto è segnato dal conto in banca. E naturalmente anche la scuola. La supponenza dei replicanti consiste nel ritenere la "cultura" frutto di intelligenza.
RispondiEliminaC'è gente che paga per imparare le lingue con esiti incerti e c'è chi vive al confine tra due stati che conosce, oltre all'italiano, il francese, l'inglese o il tedesco o altro senza neanche accorgersene. Con naturalezza e senza sforzo. Chi vive immerso nella cultura "miete diplomi". Se il bimbo più povero del mondo fosse prelevato dalla culla e fatto crescere e vivere ad Arcore diventerebbe di sicuro un pezzo grosso. Un grosso pezzo...
C'è ancora una gran confusione tra nozionismo, cultura, intelligenza, saggezza!
Tutti gli esami nella vita sono solo esami che si basano sulla capacità di ricordare.
Esami della memoria e non dell'intelligenza (Osho > pag. 273).
Ho due cognate insegnati. Loro sono quelle intelligenti!
Piccolo errore.
RispondiEliminaLa citazione è a pag. 263 e non 273. Ciao.
Esami della memoria e non dell'intelligenza (Osho > pag. 263).
non si capisce perché gli insegnanti delle elementari debbano fare 24 ore e quelli delle medie 18, o sbaglio?
RispondiEliminadai commenti che leggo in giro mi pare proprio che la categoria degli insegnanti in italia sia come quella delle vacche in india.
"non si capisce perché gli insegnanti delle elementari debbano fare 24 ore e quelli delle medie 18, o sbaglio?"
Eliminaperche' le maestre non hanno carichi didattici aggiuntivi , non hanno " buchi di orario " , ed e' ben minor fatica "badare" bambini "seienni" piuttosto che "sedicenni" :-)
..
Concordo con quanto scrive Gianni (delle 20.03). Non sono d'accordo invece con l'idea delle vacche sacre. Ho il sospetto che le vacche sacre del capitalismo siano ben altre.
RispondiEliminaIl mestiere di insegnante, se fatto come si deve, è oggettivamente difficile e pesante, anche fisicamente. Lo dico perché, pur non essendo io un insegnante, conosco molto bene alcuni insegnanti: non ne parlo per sentito dire o per idées recues. E' una banalità, ma con tutto il sacrosanto rispetto per gli operai, non tutti gli esseri umani possono fare gli operai: non è colpa di nessuno e non è per fare gli schizzinosi, è che non siamo tutti fatti allo stesso modo, e molte persone che possono rendere discretamente in certe professioni come operai o commessi di magazzino sarebbero un disastro per loro stessi e per tutti. Pretendere il contrario sarebbe fare come quegli idioti che "dobbiamo essere tutti imprenditori", tutti venditori di noi stessi sul gran mercato delle vacche (non sacre) della vita, a prescindere che uno sia capace e bravo a inghiottire quella merda o no.
Quanto alla vexata quaestio degli orari, anche lì le comparazioni forzate con la catena di montaggio o gli orrori del commercio non aiutano. Insegnare non è la stessa cosa che stare alla catena o dietro un bancone di negozio. Sono attività ontologicamente diverse, e chiudere un insegnante in classe per otto o dieci ore al giorno con lo stesso salario da fame che ha adesso non servirebbe a produrre studenti migliori: servirebbe solo ad aumentare esponenzialmente il rateo di burnout e di dimissioni, incrementando le vaste platee di esauriti disoccupati, frustrati e incazzati.
mauro