La
più grande azienda di cui non avete
mai sentito parlare, nel 2011, quando decise finalmente di quotarsi in Borsa, redasse un prospetto informativo di 1.637 pagine. Una mostruosità anche per una
multinazionale. Nell’occasione in cui furono quotate e collocate le sue azioni,
ossia in un solo giorno, ben 500 suoi dipendenti diventarono milionari (in
euro) e cinque suoi dirigenti guadagnarono miliardi (sempre in euro). Del
resto, questa multinazionale controlla circa la metà del commercio
internazionale dello zinco e del rame, circa un terzo del trasporto marittimo
del carbone, è uno dei maggiori intermediari di cereali (controlla il 9% del
mercato, non poco) e gestisce il 3% del consumo petrolifero giornaliero
mondiale. Commercia, produce, raffina, spedisce o conserva novanta tipi di
materie prime. Nel 2011 ha realizzato un fatturato di 186 miliardi di dollari,
con 55 mila dipendenti in almeno 40 paesi. Ciò che balza agli occhi (e ha fatto
salire le sue azioni alle stelle) è la sua redditività media: 38 per cento. Si
chiama Glencore, ha sede a Baar, nel
cantone svizzero di Zurigo.
Il
20 novembre si fonderà con un altro gigante, roba da 70 miliardi di dollari, la
Xstrata, un’azienda mineraria di cui
la Glencore controlla già il 34% (il
Qatar Holding è il secondo azionista). In questo modo la sua sfera di attività
in tale settore andrà dal Sahara al Sudafrica. In questo modo si domina il
mondo senza sparare un colpo, o almeno senza farlo direttamente. Alla base del
successo di questa come di altre multinazionali sta la filosofia del mitico
“mercato”: soldi e corruzione, affari e amicizie, con chiunque ma in
particolare con i dittatori, merce non rara. È quanto ci rivela un’inchiesta
pubblicata dalla rivista Internazionale, n. 974, ora
in edicola. Scrive l’autore nella sua inchiesta sulla Glencore: “le sue attività più redditizie si svolgono ai margini
della mappa dell’economia mondiale, e in certo senso anche ai margini della
legalità. […] significa costruire labirinti fatti di società di comodo e
complicate partnership, aprire conti esteri per nascondere le transazioni,
appoggiarsi a intermediari poco raccomandabili per assicurarsi l’accesso a
importanti risorse, corteggiare regimi corrotti […]".
Il
fondatore di questa società è tale Marc Rich che l’articolo in questione
definisce “l’uomo che per anni è stato un leggendario latitante e una presenza
fissa nella lista delle persone più ricercate dall’Fbi". Così latitante e
ricercato – soggiungo – da non impedirgli di essere a capo di una simile
multinazionale. Il resto dell’inchiesta – davvero interessante – lo potete
leggere sulla rivista. Per esempio, potete scoprire chi è il principale sponsor
russo della Glencore.
L’autore
dell’inchiesta è Ken Silverstein. L'inchiesta in origine è stata pubblicata dalla rivista Foreign Policy, fondata da Samuel Huntington, la quale fa parte del
Gruppo Slate, una divisione del Washingtonpost.
L’editor è Moisés Naim, il quale è stato un ministro venezuelano e poi ha
lavorato per la Carnegie Endowment for
International Peace. Insomma, roba da prendere con le pinze. Tuttavia, ciò
che interessa sono le cose che racconta l’inchiesta.
Ringrazio
Luca per la segnalazione dell’articolo e per tanto altro.
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