lunedì 21 novembre 2011

La crisi, le crisi


In due post, aderendo anche alla richiesta di alcuni lettori del blog, cercherò di trattare brevemente e sommariamente due temi: la crisi (le crisi) e le classi sociali. Naturalmente alla buona e di getto, cioè così come mi è stato chiesto di fare e nell’unico modo consentitemi dalle mie capacità. Spero seguiranno dei commenti dei lettori e delle critiche o anche solo un cenno di esistenza in vita (magari adottando un nickname, un nome de plume, uno pseudonimo, quel che vi pare).

Ieri sera Niki Vendola in televisione ha affermato che le cause della crisi vanno cercate nell’enorme trasferimento di ricchezza dai redditi da lavoro ai profitti, alla rendita alla speculazione. Nella sintesi dello spettacolo mediatico la cosa può starci, anche se l’affabulatore barese avrebbe potuto dedicare un paio di minuti della sua narrazione non solo agli effetti della crisi ma anche alle sue reali cause. Non l’ha fatto, e non potrebbe nei termini che dirò, per il semplice motivo che egli è un esponente politico riformista e quindi, per quanto baroccamente critico, consustanziale al sistema, un “migliorista”, non un comunista.

Le cause economiche strutturali della crisi (ne scrissi diverse volte, fin troppe) riguardano le contraddizioni insite nel modo di produzione capitalistico e non vanno confuse con taluni suoi effetti, quali ad esempio la sovrapproduzione e l’impasse commerciale, la discrasia distributiva delle quote di plusvalore (il “trasferimento” della ricchezza, come vuole il verbo di Vendola), la crisi fiscale dello Stato e le politiche restrittive della spesa pubblica. Tuttavia la crisi attuale non è solo la solita classica crisi ciclica del processo di accumulazione alla quale, dopo una fase di recessione, segue la fase espansiva e tecnologicamente innovativa su scala allargata (di cui s’illudono certi “riscopritori” di Marx).

La crisi del modo di produzione capitalistico che da sempre accarezza le nostre vite, pur conservando i caratteri essenziali delle tradizionali crisi di ciclo, negli ultimi decenni si accompagna sempre più ad aspetti inediti per dimensione e profondità, caratteristici della fase matura del capitalismo, che un tempo si chiamava imperialismo (Hobson, Lenin) e che ora i cottimisti dell’ideologia dissimulano con il nome di “globalizzazione”, ovvero il fenomeno della centralizzazione monopolistica e della finanziarizzazione parossistica dell’economia (il “finanzcapitalismo” di Luciano Gallino), della circolazione di capitali e merci in tutto il globo senza i vincoli e le barriere di un tempo. Per esempio e detto in breve, il capitale industriale può sfruttare i differenziali di costo della manodopera (la cd “delocalizzazione”) di una determinata area geografica mettendo in crisi l’area economica di provenienza, così come, allo stesso modo degli impianti, può spostare i capitali finanziari e in tal caso in tempo reale.

La crisi economica strutturale si accompagna a una crisi finanziaria di proporzioni inedite che ha le proprie radici nel modo di produzione capitalistico e rivela i propri effetti disgreganti in forza della globalizzazione e della legislazione di Stati e sovrastrutture economico-politiche che hanno permesso, per esempio, alle banche di vendere crediti, ben sapendo di non poterli esigere, e poi di rivenderli a società ad hoc con un diluvio di carta straccia a cascata semplicemente demenziale. Oppure, tali legislazioni, hanno permesso di creare mercati di contrattazione finanziaria occulti (dark pool), quindi di favorire ogni genere di transazione opaca e di profitto peraltro senza alcun gravame fiscale.

Altra questione che riguarda la crisi è il cosiddetto debito pubblico, ovvero il fallimento delle politiche riformistiche ed espansive, adottate per scopi di consenso e di sostegno all’espansione economica, senza che fosse garantito un adeguato e corrispondente gettito fiscale (cosa quest’ultima che riguarda quanto affermato da Vendola in riferimento al “trasferimento” di ricchezza dal lavoro ai patrimoni). Il capitale non è più disposto, da diversi decenni, a pagare per la sua parte e cedere sue quote di plusvalore per il welfare e questa semplice ragione è alla base, in gran parte, della propaganda liberista. Gli Stati, per far fronte al debito strutturale e al deficit annuale, devono svendere il proprio patrimonio (immobili, concessioni e società partecipate) a profitto proprio di quel capitale che si sottrae legalmente (e illegalmente) a regimi fiscali più rigidi grazie a legislazioni adottate da politici corrotti da finanziamenti elettorali, partecipazioni occulte in società di business, favori di vario genere e vere e proprie mazzette.

La somma e la combinazione di questi fattori e altri (la sostenibilità “ambientale”, per es.), innesca una situazione esplosiva (perciò crisi sistemica irreversibile) che porterà, è certo, a grandi e profondi cambiamenti, in una certa misura analogamente a quanto avvenuto, per esempio, a cavallo della metà dell’Ottocento o nei primi decenni del Novecento, con rischi non minori dovuti anche alla crisi della rappresentanza politica e delle istituzioni della democrazia borghese, il cui surrogato, come solito in tali frangenti, è la reazione aperta fatta passare sotto la pressione dell’eccezionalità creata ad arte (Grecia, Spagna, Italia, ecc.). Non serve più il colpo di stato dei colonnelli quando basta un colpetto di spread. Naturalmente, com’è normale, i ciechi non vedono e anzi negano.

Pertanto, le questioni dell’economia contemporanea e quelle sociali e politiche, non sono molto dissimili e lontane, nella loro sostanza effettiva, da quelle attorno alle quali si è dibattuto nel secolo scorso, così come non è casuale che dal discorso pubblico sia stata praticamente espunta tale memoria storica. Le problematiche si sono ampliate, aggravate, approfondite, complicate, ma in soldoni il capitalismo non ha cambiato pelle e nemmeno le sue contraddizioni e i relativi problemi sociali di base e di prospettiva sono molto diversi. C’è stato, insomma, solo un rinvio e non è una novità, anzi è quasi la regola, nella storia. Ora siamo a un punto decisivo di svolta, lo confermano tante cose. Quanto durerà questa fase non lo so, ma non sarà breve, perciò allacciamoci le cinture.

12 commenti:

  1. Le tue analisi economiche le trovo sempre molto lucide e ficcanti, tuttavia le conseguenti analisi politiche mi lasciano perplesso.
    Alla fin fine delle due l'una o siamo in una situazione di eccezionalità reale (la crisi sistemica irreversibile) o non lo siamo.
    Per cui l'idea che porti avanti di eccezionalità creata ad arte per mettere in piedi il governo Monti e' a mio modesto parere, configgente con la tua analisi economica. Infatti se la situazione e' eccezionale non c'e' bisogno di crearla ad arte

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  2. grazie per l'osservazione.
    provo una risposta: la crisi dà alla situazione economica il carattere di eccezionalità, l'attacco dei maggiorenti europei sostenuti, ad arte nel frangente specifico, (vedi post di ieri) dei mercati connota la SITUAZIONE POLITICA con caratteri d'eccezionalità (come anche il caso della sostituzione di papandreu nel momento stesso che ha nominato il referendum). intendevo questo
    ciao

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  3. Allacciamoci le cinture?
    E' tutto quello che ha da proporre in concreto?
    Mah, siamo veramente messi male allora, se una come lei, non ha altro da proporre.
    Auguri allora.

    The Red.

    P.S.
    Dal blog "Bandiera Rossa", commento di C.Felice (Carlos) al post "Tornano i topi di appartamento":

    "Con quali mezzi si constrasta l'assalto della borghesia speculativa? Con una seria e diffusa coscienza di classe e una lotta che ne consegue" e "Così come con un nuovo soggetto politico che se ne infischi della rincorsa ai posti in parlamento e sappia radicarsi tra la gente: lavoratori, precari, disoccupati, studenti e anche pensionati. Capace di mobilitarsi permanentemente al loro fianco fino a crescere sempre di più, come un'onda diventa tsunami".

    Che differenza (enorme) con il suo...ALLACCIAMOCI LE CINTURE.

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  4. Correggo una svista: finanzcapitalismo è un termine coniato da Gallino, non da Gambino.

    Eccellente post, una piccola summa.

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  5. grazie, ho corretto (e che avevo verificato leggendo il dorso del volume!!)

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  6. auguri a lei, se l'onda è come quella di due o tre anni fa non rischiamo di bagnarci nemmeno i piedi

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  7. Potrebbe sviluppare il concetto di " situazione esplosiva" e "grandi e profondi cambiamenti, in una certa misura analogamente a quanto avvenuto, per esempio, a cavallo della metà dell’Ottocento o nei primi decenni del Novecento, con rischi non minori"? Mi sembra di capire che Lei veda i prosimi anni come una corda su cui siam sospesi:se si cadrà a sinistra, finalmente fine del capitalimo e comunismo; se si cadrà a destra,restaurazione, guerre, dittature.
    Nessuna intuizione/visione di quale delle due sarà (in tempi non biblici, a cui potremo assistere)?
    La conoscenza non ci aiuta ad uscire dal dilemma primordiale ottimismo/pessimismo?
    Con molta ammirazione e
    stima. gianni

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  8. caro Gianni, le incognite sono molte e io non sono né poeta e tantomeno un otelma

    penso che il concetto stesso di comunismo vada rivisto, non possiamo restare ancorati a categorie del passato, ma di tutto questo s'incaricheranno le nuove generazioni

    resta il fatto che la confusione sul piano ideologico è massima e non promette troppo di buono

    le categorie ottimismo/pessimismo sono psicologiche, emotive e non hanno rapporto con la realtà

    grazie per l'intervento
    saluti

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  9. Cara Olympe,
    torno a sottolineare, che il sig. C.Felice, su Bandiera Rossa, ha scritto: "Così come con un nuovo soggetto politico che se ne infischi della rincorsa ai posti in parlamento e sappia radicarsi tra la gente: lavoratori, precari, disoccupati, studenti e anche pensionati. Capace di mobilitarsi permanentemente al loro fianco fino a crescere sempre di più, come un'onda diventa tsunami".

    Lei, eludendo me, ha eluso anche il Felice, che mi sembra essere tutt'altro che uno sprovveduto.
    Inoltre, la necessità di un soggetto politico, che corregga l’azione politica leniniana e/o quella di tutti coloro che vogliono cambiare il mondo in nome d’altri, non le passa nemmeno per l'anticamera del cervello.
    A leggere i suoi posts, ben scritti, delucidanti, illuminanti, vere perle di informazione e quant'altro (su questo non ci piove) si ha la netta sensazione, che tutto ciò che dobbiamo fare, è, ...analizzare, capire le dinamiche sociali economiche e politiche, e aspettare l'evoluzione degli eventi, restare spettatori passivi praticamente.
    E l'11a tesi di Marx?
    Non fu Marx, pervaso per tutta la sua vita, dal volere TRASFORMARE IL MONDO?
    Non indirizzava egli, l'Internazionale comunista?.
    E' stato egli, un rivoluzionario salottiero per caso?
    Chi, lo deve cambiare questo schifo di mondo, se non i Lavoratori (la classe) gli sfruttati cioè.
    Come si fa, a chiudere un simile e notevole post (il suo) con "allacciamoci le cinture?".
    Mi sembra evidente, a questo punto, che lei rifugge dalla...filosofia della prassi.

    Cordiali saluti, e auguri per il suo lavoro.

    The Red

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  10. Interessante, come sempre, molto.
    Che in poco tempo potremmo trovarci con la benzina a prezzi elevatissimi, lo penso.
    Che in breve tempo potrebbero chiuderci i rubinetti del gas e terminare le scorte, lo penso.
    Solo questo ci porterebbe ad un drastico risparmio forzato di energia elettrica con le conseguenze che pochi riescono ad immaginare, mancherebbe l'acqua dai rubinetti di moltissimi abitati. Ma molto altro.
    Sarebbero molti quelli non in grado di superare la stagione invernale.
    Nel contempo si dovrà imparare nuovamente a creare piccole colture, e molte altre cose pratiche.
    Nel contempo si dovrà riscrivere totalmente un nuovo disegno, un nuovo pensiero di sviluppo possibile, adattarlo al nuovo territorio, cioè quello attuale, forse Marx potrà essere d'aiuto, e lo sarebbe senz'altro, anche se il pianeta, parte emersa delle terre e parte sommersa, sono estremamente cambiate.
    Diventeremo un paese in attesa di sviluppo economico.
    Non mi dispiacerebbe affatto vedere il vecchio continente completamente fuori da ogni mercato finanziario mondiale, fuori da ogni logica di sfruttamento delle risorse del pianeta. Non mi dispiacerebbe sentire una politica che pensi e scriva di un lontano futuro delle specie e quindi delle risorse.
    Ma forse non ci interessa adesso, interessa forse solo a pochi ragazzi,... ma a noi ... allora...
    Allacciate le cinture

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  11. Tutto perfetto e preciso, ma... Allacciamoci le cinture?? Ancora?? Già siamo ammanettati al sistema di produzione capitalistico e dobbiamo pure allacciarci le cinture? Io direi: eliminiamo tutti i lacci e le corde e buttiamo giù questo sistema una volta per tutte.

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  12. hai ragione Mauro, ma l'allacciamoci le cinture è un metaforetta per dire ... pronti via

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