sabato 26 novembre 2011

Sangue, l'ordinario comburente della storia


In questo post forse qualcuno ricaverà qualche notiziola che sconosceva o non ricordava; selezionando alcuni termini, alcuni nomi chiave, si può operare in rete un approfondimento su temi che dimostrano come la violenza sia consustanziale con l’economia, quella stessa violenza che gli attuali apologeti del modo di rapina capitalistico tendono a relativizzare facendola passare come “il meno peggio”.

I libri “neri” sulle atrocità, spesso vere e a volte solo presunte o esagerate, dello stalinismo, del maoismo e dell’hitlerismo, mi lasciano non poche perplessità, perché restano in ombra molte altre stragi di cui è costellata la storia moderna, per esempio quella del colonialismo in generale e per non dire di quello inglese e francese. A proposito dei cugini d’oltralpe, basterebbe raccontare cosa hanno combinato con l’occupazione, non certo pacifica, della Ruhr, nel cuore dell’Europa, negli anni Venti, cioè solo ieri. Nulla a che vedere, si dirà, con i grandi massacri perpetrati nel Novecento. Prima di sottoscrivere tale affermazione chiederei il parere dei congolesi sull’epopea del belga Leopoldo.

Del resto la violenza è vecchia quanto l’umanità e se è verissimo che non si può spiegare un’epoca con le categorie dell'assurdo e della follia, per contro si può leggerla anzitutto alla luce degli intrecci tra interessi economici e situazioni geopolitiche. Ad esempio, il successo economico di Venezia non è semplicemente frutto di quello che genericamente chiamiamo commercio: il monopolio del sale, ottenuto con metodi violenti e di dumping, ma soprattutto la tratta degli schiavi (razziati un po’ dappertutto, in Dalmazia come nell’Italia meridionale) furono la chiave dello sviluppo della potenza lagunare nei primi secoli.

Un altro esempio storico molto noto ma sopito nella catarsi dei millenni è quello delle guerre di conquista in Gallia all’epoca di Giulio Cesare: un’occasione per una riflessione sulla torsione dei fatti operata dapprima dai vincitori e poi perpetuatasi nel mito che l’Italia e l’Europa (compresa la Francia), di ieri e di oggi, non hanno nessuna convenienza di revocare in dubbio, almeno alla mensa delle grandi platee nutrite dagli anchorman in veste di “storici”.

Plinio il Vecchio, nel VII libro della Storia naturale, ci racconta il ruolo del civilissimo Giulio nel massacro di 1.200.000 persone allo scopo di far bella figura in Gallia (Plutarco, più benevolo, certifica un milione tondo). Se avesse potuto disporre di ferrovie e acido cianidrico avrebbe fatto sicuramente meglio. Cominciò con 200mila Elvizi, il cui torto maggiore era quello di non assecondare i suoi piani; quindi decine di migliaia di Aquitani e affini, poi mise a morte tutto il senato dei Veneti (popolazione locale) che si era arreso a discrezione; sterminò tutto il popolo degli Eburoni e per soprammercato 180mila Usipeti e Tencterii che gli si trovarono tra i piedi; a Bourges liquidò, per vendetta e senza riguardo per sesso ed età, 40mila abitanti. Luciano Canfora, uno dei pochissimi intellettuali rimastici, nel suo saggio dedicato al grande romano (pp. 118-19), ci racconta come, nel ricevere a colloquio i capi germanici, il nobile Cesare li fece “trucidare a tradimento e quindi assaltò gli avversari sbandati e senza guida, ed estese indiscriminatamente il genocidio a tutti, donne e bambini inclusi”.

Oggi la memoria dell’insigne stragista è celebrata nella toponomastica e nei libri di testo scolastici di ogni ordine e grado (diversi licei a lui intestati: Roma, Rimini, Bari, Casarano; nessuno a Bruto), nelle operette teatrali del solito rigattiere d’oltremanica, ovunque gli è tributato omaggio di statista e riconosciuta generosità di cuore, straordinario acume tattico e brillante prosa. Per contro, un’unica “accusa”: l’ambizione!

Pare evidente che l’ambizione e la difesa della patria diventi solo una scusa a fronte della necessità politica ed economica di creare, di là delle Alpi, un fertile lebensraum latino, allo stesso modo che l’annientamento dei popoli autoctoni del Nord America aveva poco a che vedere con i nuovi principi liberali della costituzione americana, quanto piuttosto con il lebensraum yenkee celebrato da Hollywood.

Anche per raccontare la storia delle violenze commesse nel corso dei secoli dal moderno espansionismo necessiterebbe di un libro per ogni singolo episodio, una grande biblioteca dell’orrore per una esposizione sistematica di quelle efferate vicende. Non esiste, del resto, nessun tentativo d’insieme per fornici una storia del genere e forse non è casuale (*). L’espansione europea avviò molto prima del processo d’industrializzazione e di formazione degli stati moderni, ne è anzi la premessa essenziale. Essa si accompagna costantemente alla violenza e alla guerra, non un solo aspetto e frangente di questa secolare epopea è pacifico.

Il successo del commercio portoghese, della penetrazione in Africa e poi in India e in estremo oriente, è anzitutto incentrato sulla tratta degli schiavi. Enrico il Navigatore fu uno dei primi e più famigerati schiavisti sotto tutela delle bolle papali, quale la Romanus Pontifex, definita la “Charta dell’imperialismo portoghese”, che concedeva l’occupazione delle isole atlantiche e la circumnavigazione dell’Africa. In 14 anni, a cavallo della metà del XV secolo, più di 50 navi raggiunsero il territorio tra Capo Bianco e l’odierna Guinea Bissau, e la maggior parte di queste navi andava alla ricerca di schiavi. Il capitale portoghese ed europeo costituiva la fonte d’investimento principale di tal genere di viaggi in Africa.

Quando i cristianissimi sovrani spagnoli riconquistarono ciò che a loro non era mai appartenuto, ossia il territorio e la città di Granada, dopo la solita strage d’innocenti, inviarono al Papa circa 500 prigionieri come schiavi da impiegare nella flotta pontificia (seguì la cacciata degli ebrei dalla Spagna). Le atrocità della conquista spagnola in quello che poi sarebbe stato chiamato continente americano sono ben note, con la morte in pochi decenni di decine di milioni d’indigni, molti di questi uccisi con la violenza in vere e proprie caccie all’uomo, con lo sfinimento nei lavori più duri nelle piantagioni e nelle miniere.

Per venire a tempi più recenti, basti ricordare le guerre dell’oppio. Gli inglesi tra il 1772 e il 1774 importavano tè in patria per un valore maggiore a quello delle importazioni di cotone, quindi lo sbilancio commerciale favorevole alla Cina era piuttosto consistente. Pensarono bene di esportare in Cina l’oppio, di cui i cinesi, nonostante il divieto del 1729, erano consumatori. L’esportazione in Cina di tale “allucinogeno” si rivela per l’imperialismo inglese l’arma per portare il bilancio commerciale a loro favore, e il mezzo per mettere in ginocchio la Cina, creando il primo caso di dipendenza di un popolo dall’impiego di una sostanza che può provocare crisi di astinenza.

Seguirono ben due guerre dell’oppio dalle quali la Cina uscì sconfitta e disgregata; di lì a poco, infatti, seguì la più sanguinosa guerra civile della storia, quella dei Taiping, che costò una ventina di milioni di morti. Nel 1890, il mercato cinese poteva contare su 120 milioni di fumatori abituali e 10 milioni di oppiomani su una popolazione di 380 milioni di persone.  I cinesi però nel frattempo, per ridurre le importazioni iniziarono a coltivare il papaver somniferum arrivando in questo modo agli inizi del 1900 a produrre circa 35.000 tonnellate di oppio, circa il 90% della produzione mondiale. In quel periodo l'uso di questa droga si diffuse in tutto il mondo. Mentre l’oppio e il laudano nell’ottocento erano di uso corrente nella farmacopea occidentale (in Inghilterra si somministrava ai bambini contro la “tosse cattiva”), ben presto divenne una sostanza proibita.  

La differenza sostanziale (e la speranza implicita) tra la situazione odierna e quella che precedette i due conflitti mondiali è la consapevolezza e la certezza, da parte dei leader politici e delle élite, che un conflitto armato generalizzato si risolverebbe in un suicidio globale. Per questo vedo il confronto attuale, sul piano delle dichiarazioni e delle dimostrazioni di forza da parte dei tre giganti mondiali, talvolta come un atteggiamento propagandistico volto ad avere più riflessi interni diretti sulle rispettive popolazioni piuttosto che effetti reali nelle relazioni internazionali.

Oggi i problemi veri e urgenti (come ripeto ormai ossessivamente) riguardano la sostenibilità del sistema e la demenziale e criminale discrezionalità in cui è lasciata agire la speculazione finanziaria (ma non solo). Sperare di trovare soluzioni nell’ambito di questo assetto sociale e dell’ideologia liberista che l’accompagna è solo illusione.

(*) Il libro di Matthew White, bibliotecario statunitense, dal titolo Il libro nero dell'umanità. La cronaca e i numeri delle cento peggiori atrocità della storia, è una collazione abbastanza stereotipata di crimini, un elenco telefonico dove molti abbonati non figurano, è già il fatto stesso che se ne sia fissato il numero in cifra tonda, significa che si è lasciato largo spazio alla discrezionalità.

3 commenti:

  1. Il potere supremo consiste nella capacità di dare morte. Lo sa il generale come il mafioso, il maschio assassino come l'avvelenatrice discreta. Il grande rivoluzionario come il repressore feroce.

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  2. Ottimo,come sempre,ma perchè Shakespeare "rigattiere d'oltre manica"?
    gianni

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