Il governatore della Banca centrale, impose “una drastica riduzione delle spese pubbliche, l’alleggerimento fiscale e l’accantonamento di una somma destinata all’estinzione dei debiti statali”.
Così in un post di quasi due anni fa. Il governatore della Banca centrale altri non era, in quel 1930, che il tedesco Hjalmar Schacht. Le politiche recessive furono continuate ancor più ferocemente negli anni 1931-‘32 dai successori di Schacht e in tal modo in Germania si raggiunse l’apice della recessione, favorendo il partito nazista e i suoi amici e sostenitori. Erano banchieri e grandi gruppi industriali che avevano l’interesse a mantenere la Germania in uno stato di tensione politica e sociale che preparasse la svolta autoritaria.
Oggi, a distanza di due anni da quando rievocavo tale scenario tedesco, intrecciare analogie tra la situazione di crisi odierna e quella degli anni Trenta è diventato di moda. Nel febbraio scorso scrivevo:
Il più grave errore strategico del dopoguerra è stato quello di permettere la riunificazione (in chiave anti-russa) della Germania. Se ne accorgono tardi e ne pagheremo le conseguenze nel tempo. Chi comanda in Europa se non la Germania con al guinzaglio la Francia? I paesi del Sud Europa sono un latifondo da cui la Germania prende solo ciò che le serve, e un mercato dove smaltire, a strozzo, il surplus commerciale. È un gioco pericoloso che può far saltare tutto.
Le politiche che si appresta a varare il governo Monti, così come quelle sancite da chi l’ha preceduto, sono di ordine prevalentemente restrittivo (l’aumento dell’Iva, l’Ici, il taglio delle pensioni) perché incidono sui consumi, ridotti i quali non c’è crescita e cioè lavoro. Eccola qua la parolina magica: consumi. Se il cavallo non beve, se gli togli sempre più l’acqua, muore. Le parole sono importanti, lo sapeva bene Humpty Dumpty:
“È un bel colpo dare un significato a una parola – disse Alice pensierosa. “Quando faccio fare così tanto lavoro a una parola – disse Humpty Dumpty – poi le pago sempre lo straordinario”.
“Ma… un nome deve significare qualcosa?” chiese Alice dubbiosa.
“Quando io uso una parola – disse Humpty Dumpty sdegnoso – essa significa solo ciò che io voglio che significhi”.
“Il problema è – soggiunse Alice – se sia possibile far sì che le parole abbiano significati diversi” (ecco la logica).
“Il problema è – concluse Humpty Dumpty – chi è che comanda” (ecco il sociale, cioè il politico).
Se avanza la recessione, le banche, non meno degli Stati, crolleranno. È uno scenario altamente probabile. Non ci sarà Bce che possa salvare la situazione (Chavez in agosto ha nazionalizzato le miniere d’oro, e ora s’è riportato a casa l’oro venezuelano detenuto all’estero!). A quel punto la partita sarà decisa da chi controlla la propaganda e la violenza legale, se non interverranno fatti nuovi e, al momento, imprevedibili, cioè se la protesta e il disordine sociale non piegheranno gli avvenimenti da un’altra parte.
Il potere finanziario inghiotte l’intera società e perfino gli Stati, ossia il governo mondiale delle banche e dei grandi monopoli non è più solo l’audace pronostico di alcuni decenni or sono, ma è divenuto una realtà che chiunque può scorgere se appena toglie gli occhi dal 32 pollici HD che lo ipnotizza. Uno stato di cose che ha raggiunto livelli macroscopici in Grecia, in Italia e anche altrove, accompagnato da un’eccitazione psicologica che punta a una mobilitazione permanente della cosiddetta “opinione pubblica” .
Lo Stato nazionale alimenta ancora la simulazione che il meccanismo di formazione delle decisioni politiche riposi sui cittadini per il tramite dei partiti politici, ma in realtà il suo ruolo è stato svuotato di senso e le sue prerogative funzionali trasferite presso organismi sovrannazionali, per cui l’attività degli esecutivi nazionali è divenuta separata e sostanzialmente autonoma dal contesto nazionale. Esso è costretto a svelare ormai la sua impotenza di fronte alla crisi, accettando la surrogazione del demiurgo imposto da fuori, la versione riveduta e corretta dell’uomo della provvidenza in veste di tecnocrate, maschera anche questa intercambiabile del teatrino del G8 e G20.
È in tale contesto che la democrazia borghese gioca a strafare e rivela incautamente il trucco, laddove lo Stato e i partiti sono disarmati e succubi di fronte al movimento del capitale che li utilizza per i suoi fini. La democrazia è morta, ora può affermarlo apertamente anche il cretinismo parlamentare, quello che suona il piffero per distogliere l’attenzione dai reali maneggi e corruttele. Per converso, l’integrazione europea non significa nulla, è il travestimento di un processo reale messo in piedi dalla grande borghesia e che evolve sempre più nell’espropriazione e in direzione contraria all’integrazione. Quando mai l’interdipendenza tra stati diseguali ha portato a una reale integrazione e, viceversa, la tendenza non ha favorito la dominanza economica e politica degli Stati più forti, la gerarchia e la funzionalizzazione dei ruoli dei singoli Stati all’interno della divisione internazionale del lavoro?
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