Nel congresso di Ginevra della Prima Internazionale, correva il 1866, Marx propose la limitazione legale della giornata lavorativa a otto ore. La riduzione dell’orario a otto ore fu dapprima una conquista degli operai rivoluzionari russi, quindi di quelli francesi negli anni Trenta. Ma durò poco, la vittoria dello stalinismo in Russia e delle destre in Europa occidentale bloccò tutto. Si deve attendere il dopoguerra e in Italia gli anni Sessanta per le 40 ore settimanali. Quanto produceva allora un operaio in una giornata di otto ore di lavoro, oggi è prodotto in pochi minuti.
La tecnologia e la tecnica organizzativa del lavoro hanno consentito alla produttività del lavoro nel suo complesso e nei singoli comparti, anche in agricoltura ed edilizia, di raggiungere livelli mai toccati nella storia. Eppure oggi si chiede ancora al salariato di lavorare almeno otto ore, nonostante la disoccupazione di massa, la sovrapproduzione, la chiusura degli impianti, ecc.. Anzi, per competere con i livelli di sfruttamento e salario asiatici e dell’Europa dell’Est, si svilisce il rendimento del lavoro chiedendo turni più lunghi e ritmi di lavoro ancora più intensi in cambio di un salario più scarso. Perciò “crescita” significa solo crescita del capitale e aumento dei nostri “sacrifici”.
Non è nell’orizzonte del capitale, né in quello degli idioti della partitocrazia che ne rappresentano gli interessi, un pur generico progetto sociale che abbia l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro della popolazione salariata e di quella emarginata. Anzi, favorendo la precarietà e l’incertezza, ricattandoci con un piano di risanamento finanziario, il capitale cleptomane e i suoi criminali ideologi hanno raggiunto lucidamente, sfacciatamente e violentemente proprio lo scopo opposto, riducendo i propri schiavi a una variabile disciplinata del profitto e di merce consumabile.
La strada per opporsi all’andazzo non è certo quella di mettersi nelle mani delle folli rappresentanze politiche parlamentari che ci sterilizzano il pensiero con l’arma dei media o di scorgere di lontano una rivoluzione vecchio stile. Un esempio di opposizione concreta (che non rappresenta il fine ultimo della lotta) potrebbe invece venire dell’organizzazione del sabotaggio di massa (che non significa i sassi contro le vetrine delle banche). Ma non è ancora matura questa strada perché non è ancora abbastanza acuto lo stimolo al cambiamento che solo l’aggravarsi della crisi può produrre.
Intanto a New York invece di marciare verso la Borsa potrebbero occupare con un’azione a sorpresa il Moma sulla 53^ strada e formare delle barricate con la merce che vi è contenuta presso gli ingressi del museo stesso. È un esempio di occupazione degli spazi pubblici che poi si potrebbe importare ovunque, un timido assaggio di quello che si intende per intervento sociale nell’arte.
Completamente d'accordo. Vuoi mettere gettare in una banca della vera Merda d'artista (e un po' tutti lo siamo)?
RispondiEliminaLei mi legge nel pensiero, oppure è il mio alter ego che scrive a mia insaputa.
RispondiEliminaOppure il giusto e cosa semplice e condivisa dalle anime non ancora corrotte dal sistema.
RAPPORTI DI PRODUZIONE DIVERSI URGONO.
RispondiElimina(da un articolo di Francesca Coin)
Il problema di fondo è che strutturalmente, l'economia mondiale è satura. Satura significa che il mercato occidentale soffre una crisi strutturale di sovrapproduzione, e non può crescere più. Per essere precisi, dovremmo dire non solo che non può crescere più, ma che non deve crescere più, perché non ce n'è bisogno, perché le risorse naturali e le persone sono ai limiti dell'esaurimento, e perché l'unica ragione per continuare a crescere è il rifiuto miope e opportunistico di rinunciare a quote di mercato da parte dei grandi monopolisti materiali e immateriali del commercio mondiale.
Ci hanno detto che la saturazione del mercato è una brutta notizia: è falso, è una notizia splendida. Significa semplicemente che l'umanità ha trovato il modo di provvedere a tutto ciò di cui abbisogna ai fini della sopravvivenza. A rigor di logica la sovrapproduzione non è una crisi, è una festa. Diventa una crisi solamente in un sistema competitivo. Se non vivessimo in un sistema competitivo, la saturazione equivarrebbe a ciò che anni fa definivano la fine del lavoro, perché finalmente l'umanità ha liberato tempo dalla produzione di sopravvivenza e può dedicarsi alla cura di una terra troppo a lungo sfruttata, alla redistribuzione della ricchezza, al rallentamento dei ritmi produttivi e alla riconversione del mercato, tutte cose oggi a noi invisibili perché l'esubero è offuscato da una diseguaglianza distributiva senza precedenti storici.
Luigi
@ pop
RispondiEliminaimbattibile come al solito. vuoi mettere? le scattolette di piero manzoni sono valutate oltre 120mila euro per trenta grammi
amche la merda diventa merce purché abbia l'etichetta giusta e gli scaffali di ogni tipo di negozi ne sono pieni
a dimostrazione che non è ilcontenuto che conta sembra che manzoni avesse messo dentro del gesso
al beaubourg ho visto un assembramento di curiosi davanti a una lisca di sogliola
bisogna avere tempo e soldi per cose che noi comuni mortali non possiamo capire
a pensarci bene, non è che una banca sia il posto più naturale per i barattoli di manzoni che non un museo?
RispondiEliminaFrank, volevo dire che una vera arte popolare può fare a meno di Manzoni e dei barattoli.
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