venerdì 30 giugno 2023

La prima sera di pioggia

 


Mentre nelle strade di diverse città francesi infuria la protesta dopo l’uccisione di un giovane da parte della polizia, e dunque la situazione si sta facendo interessante, il Senato francese ha adottato, in prima lettura, il ddl di programmazione militare (LPM) per il periodo 2024- 2030. Un’approvazione con 314 voti favorevoli e 17 contrari – provenienti dalle file comuniste – che ha convalidato un nuovo aumento di diversi miliardi di euro della dotazione finanziaria iniziale di 413 miliardi - già definita “storica”. Il debito pubblico francese ha superato il suo massimo storico del 112,5% del prodotto interno lordo nel primo trimestre.

Rivolte e scontri con la polizia sono avvenuti a Lille, Lione, Marsiglia, Tolosa, Bordeaux, Montpellier, Strasburgo, Nizza, Rennes, Rouen, Tours e nell’area parigina (in particolare nel 12° e 14° distretto a sud della città). A Lione, la seconda area metropolitana della Francia, i manifestanti hanno bruciato autobus e tram in diversi sobborghi. A Lille, hanno bruciato diversi edifici municipali e stazioni di polizia locali. Anche a Montpellier, Reims e Orléans delle stazioni di polizia sono state bruciate, mentre il fumo si è alzato in diverse zone di Tolosa e Marsiglia quando i manifestanti hanno bruciato delle auto.

Non solo in Francia cresce la protesta, anche in Place Anneessens a Bruxelles la polizia belga ha schierato cannoni ad acqua contro i giovani che protestavano in solidarietà con la famiglia di Nahel, il giovane ucciso. In Italia, invece, il maltempo non favorisce le riunioni nelle piazze e poi siamo troppo presi dall’inevitabile sorte di Putin.

Tutt’altro accade, come detto, in Francia. Secondo un rapporto dell’intelligence locale “Tre giorni dopo gli eventi, l’eccitazione non si è ancora placata. Il periodo pre-estivo, caratterizzato inoltre da un clima piacevole, incoraggia i giovani a riunirsi nelle aree pubbliche e a commettere rapidamente vari atti di violenza. La persistenza di questi incidenti è quindi prevedibile su tutto il territorio nazionale, con probabile estensione, a partire da questa sera [ieri sera], a quartieri fino ad ora rimasti tranquilli”. Non sto scherzando, è un rapporto autentico!

Come il giorno prima, video di incendi e danni sono stati diffusi su Twitter, Snapchat, TikTok e Telegram. Al punto da portare il presidente Emmanuel Macron a invitare le maggiori piattaforme a rimuovere “i contenuti più sensibili”, chiedendo loro di collaborare per individuare coloro “che usano questi social per chiamare al disordine o esacerbare la violenza”.

Questa protesta disarmata e disorganizzata, fomentata da rabbia e frustrazione, non ha prospettiva. Si spegnerà al più tardi la prima sera di pioggia battente.

La febbre non è una malattia, l'antipiretico non è una cura

 

Nessun organismo politico o monetario possiede il reale potere di regolare i prezzi, di muoversi all’interno delle leggi capitalistiche e di porsi come correttivo degli squilibri. In ogni caso non si deve esagerare il risultato finale di queste strategie di “riequilibrio”, poiché esse agiscono contro gli effetti, non contro le cause di questi effetti.

Quando l’impennata dell’inflazione si manifestò ai quattro angoli del mondo, gli economisti e le autorità monetarie affermarono che si trattava di un fenomeno temporaneo. Fiduciosi nella saggezza e nell’efficienza dei mercati, hanno visto nell’aumento dei prezzi un’oscillazione temporanea legata a un’impennata della domanda, sullo sfondo di una ripresa economica post-Covid. La “mano invisibile” del mercato avrebbe presto risolto questo problema: l’offerta si sarebbe adeguata alla domanda, il che avrebbe ridotto l’inflazione.

In realtà, come poi è risultato palese, l’inflazione stava generando ripercussioni lungo tutta la filiera produttiva, dalle materie prime ai prodotti finiti. Diversi fattori concorrevano a rendere duraturo questo trend inflazionistico:

1) la ripresa economica, segnata da un rimbalzo della domanda.

La ripresa dei consumi dopo la revoca delle restrizioni sanitarie, ha portato a un massiccio aumento della valuta circolante nell’economia, in un contesto in cui la produzione non è riuscita a tenere il passo, a causa di numerose rotture nelle filiere produttive e di approvvigionamento. In altre parole, una minore circolazione di valori (merci) è rappresentata da una maggiore circolazione di denaro, che provoca un aumento generale dei prezzi.

2) la scarsità di componenti e materie prime, difficoltà nei circuiti di approvvigionamento internazionali (i metodi di produzione “just in time”), l’aumento dei costi di produzione legato all’aumento del valore di alcune merci, cioè al tempo di lavoro socialmente necessario per la loro produzione.

Negli ultimi decenni, la globalizzazione ha svolto un ruolo importante nella pressione al ribasso sui prezzi. Da un lato, integrandosi nel mercato mondiale, Cina, Russia ed Europa orientale hanno portato nuove risorse e un vasto bacino di manodopera a basso costo. D’altro canto, lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la concentrazione della produzione nelle mani di colossi multinazionali hanno generato significative “economie di scala”. Questo aumento della produttività e i bassi salari hanno esercitato pressioni al ribasso sui prezzi.

Ora questa tendenza si sta invertendo. I nazionalismi economici, il protezionismo e la balcanizzazione del capitalismo aggravano le rotture nelle catene di approvvigionamento globali, portano a cali di produttività e quindi a prezzi più elevati causati da un aumento della quantità di lavoro socialmente necessario per la produzione dei beni in questione.

3) non ultimo motivo, la gigantesca liquidità (capitale fittizio) con cui gli Stati e le banche centrali avevano invaso l’economia mondiale dalla crisi del 2008.

Marx spiega che il capitale fittizio «non rappresenta altro che l’accumulazione di diritti, di titoli legali su una produzione futura, il cui valore monetario o valore-capitale a volte non rappresenta affatto capitale, come è il caso dei titoli del debito pubblico, a volte è regolato da leggi indipendenti dal valore del capitale reale che esse rappresentano.»

La crisi del 2008-2009 ha messo in luce il ruolo di questo capitale fittizio nella formazione di enormi bolle speculative. Da allora, queste bolle sono state gonfiate iniettando quantità di liquidità senza precedenti nell’economia, con il rischio di aggravarne gli squilibri interni e prefigurare una crisi ancora più grave.

Da questo punto di vista, la risposta delle classi dirigenti alla crisi sanitaria, a partire da marzo 2021, ha giocato un ruolo importante nella crisi inflazionistica. Dall’inizio della pandemia, più di 16 trilioni di dollari sono stati iniettati nell’economia globale sotto forma di vari sussidi e spese pubbliche. Le banche centrali ne hanno aggiunti altri 10 trilioni.

Negli Stati Uniti le varie misure di “stimolo” hanno riguardato il 25% del PIL del Paese. Risultato: mentre nel 2008 la Fed deteneva il 7% dei buoni del tesoro americani, ora ne detiene circa il 40%. Allo stesso modo, le attività della Banca centrale europea ammontano ora al 60% del PIL della zona euro, rispetto al 20% nel 2008.

Nei Paesi più avanzati è l’aumento dei prezzi dell’energia il responsabile di una grande frazione dell’inflazione (più della metà). Nell’Eurozona, l’energia e il cibo rappresentano i tre quarti della spinta inflazionistica. La guerra in Ucraina, contrariamente a quanto si pensa comunemente, non ha innescato la crisi inflazionistica, ma ha indiscutibilmente peggiorato la situazione costringendo molti paesi ad acquistare a prezzi maggiori a causa di un’offerta ridotta.

Ciò che possono fare gli organismi politici e monetari è agire sui meccanismi del credito e della creazione di moneta, che è proprio ciò che stanno facendo con l’aumento dei tassi, raffreddando la domanda di beni e di credito. L’obiettivo è provocare una recessione “limitata e controllata”.

Si tratta di una scelta politica ancor prima che economica. C’è un motivo di fondo, e la cosa si riduce alla questione dei rapporti di forza tra le parti in causa, ossia tra il capitale e il lavoro. C’è una relazione diretta con le dinamiche di valorizzazione del capitale, in particolare con la caduta del saggio di profitto, la cui esistenza le imprese tendono a negare mantenendo i propri margini, ossia rifacendosi sui prezzi. Si tratta di una tendenza generale della produzione capitalistica, quella di un rastrellamento sempre più esteso di plusvalore sociale che poi viene a distribuirsi sia secondo rapporti di forza tra i diversi capitali in lotta tra loro e sia secondo criteri di classe sempre più rigidi.

giovedì 29 giugno 2023

Un sistema senza fiato

 

Stamane un albergatore mi faceva notare che per molti italiani la preoccupazione principale sembra riguardare la scelta tra brioches alla crema e quelle alla marmellata. Nel caso uno dei due gusti non sia più disponibile, monta la protesta che quasi volge in rivolta. E dire che ormai la brioche è un dolce surgelato che viene riscaldato al bisogno. Insomma, una schifezza che ti rimane sullo stomaco mezza giornata. Per tacere della crema, e quanto alla marmellata è sempre scadente e di albicocca o di ciliegia.

Guardavo ieri sera due bambini ai quali i genitori servivano una varietà e quantità di cibo da ingozzarli. Se fin da piccoli si fanno l’idea che la disponibilità di cibo è pressoché illimitata, libera e gratuita, che razza di adulti ne verranno? Ai miei tempi il massimo della leccornia era costituito da una fetta di pane con un sottilissimo strato di burro, a volte con l’aggiunta di zucchero, oppure di un’acciughina. Merende e sapori che non si possono dimenticare. Il necessario non mancava, ma la parsimonia era la regola.

Libertà, per cosa? Questo era il titolo di una raccolta degli ultimi testi di Georges Bernanos, morto nel 1948. Profetizzava il disastro della società industriale: anime vuote, meccanizzazione dei corpi, controllo delle menti. All’epoca lo prendevamo per un vecchio scoreggione, realista e per di più cattolico. Che direbbe oggi dei supermercati, che quando entriamo rimaniamo sbalorditi dalle migliaia di cose che non compreremo mai? Ma evidentemente c’è chi compra quella “roba”.

Ogni anno un terzo della produzione alimentare mondiale va sprecato. Perché aumentare la produttività dell’agricoltura visto che un terzo della sua produzione finirà in discarica? Un’economia che non ha più senso, che inventa sempre nuovi prodotti, nuovi lavori per produrre l’inutile.

Ora il cibo viene consegnato a domicilio a qualunque ora di qualsiasi giorno. Li chiamano “rider“, alias fattorino della pizza, ma tutti sappiamo che è un altro “lavoro di merda”. Piace soprattutto a quelli che hanno eretto il liberalismo totale a forma ultima di democrazia. L’importante è che non siano loro a doverlo fare (*).

È l’intera economia liberale che è diventata un “lavoro di merda”. Poi trovi sempre il pirla che obietta: preferivi l’Unione sovietica?

L’economia liberale è diventata assurda come l’economia sovietica. Per soddisfare un’accumulazione fine a sé stessa, produciamo tonnellate di prodotti totalmente inutili, che ci inquinano e con spreco di materie prime sempre più rare e care. Crediamo di vivere in un’economia liberale, mentre siamo in un’economia sovietica soggetta alle stesse esigenze produttivistiche: fabbricare qualsiasi cosa per alimentare e giustificare un sistema che è senza fiato.

(*) “Cosa si nasconde negli zaini dei rider?”, titolavano i giornali qualche giorno addietro. Che cazzo vuoi si nasconda negli zaini in generale e in quelli per il trasporto del cibo in particolare? Norme igieniche inesistenti.

La pizza la consumo solo in pizzeria. Una delle peggiori ho tentato di mangiarla a Napoli, la migliore sempre a Napoli nel 2019, che ricorderò fin che campo. In Veneto non sanno nemmeno che cos’è la pizza, spesso la scambiano per la cosiddetta “battuta”. Si fa buon viso, ma quella non è “pizza”. Figuriamoci poi una pizza che ti viene consegnata a casa su un cartone prodotto con sbiancanti florurati (i famigerati PFAS, in particolare l’acido perfluoroottanoico).

Pare che già i pompeiani avessero rapporti con la pizza, ma questa è solo una trovata dei giornali per fare un titolo e rubarti un clic. Il pane con condimenti vari è antico quanto i Flintstones.

mercoledì 28 giugno 2023

Un sistema profondamente conflittuale

 

Hamtramck è una città della contea di Wayne, nello Stato del Michigan. La popolazione nel 2020 era di 28.433 abitanti. È completamente circondata dalla città di Detroit tranne una porzione che confina con Highland Park.

Il consiglio comunale di Hamtramck ha votato all’unanimità di vietare su tutte le proprietà cittadine l’esposizione delle bandiere arcobaleno, che da quelle parti sono il simbolo LGBTQ.

Un’iniziativa degli evangelici fondamentalisti, che abbondano nel Paese? Leggo da Wikipedia: “Dopo esser stata abitata principalmente da polacco-americani nel corso del ‘900, nel XXI secolo ha iniziato ad attrarre immigrati da Yemen, Bangladesh e Bosnia ed Erzegovina, fino a diventare nel 2013 la prima città a maggioranza musulmana degli Stati Uniti”.

Hamtramck è la prima città americana il cui consiglio comunale è ora composto interamente da musulmani. Idoli diversi, stessa dottrina.

Questa città è stata percepita, nella stampa liberale d’oltre Atlantico, come ciò che potrebbero diventare gli Stati Uniti nel futuro: una popolazione cosmopolita d’immigrati dall’Europa dell’Est, afroamericani, Bangladesh, Yemen ... un paradiso dove possono sovrapporsi le campane della chiesa e la chiamata alla preghiera dal minareto.

Dopo la proibizione di esporre bandiere e simboli negli edifici pubblici che possano “offendere la sensibilità religiosa”, potrebbe arrivare un divieto più estensivo, riguardante simboli etnici, politici, di orientamento sessuale e altri ancora più restrittivi e in linea con il Corano. Tempo al tempo.

L’omofobia, una retorica fondamentalmente religiosa, è anche una retorica islamica, cioè è profondamente radicata nella visione del mondo dei musulmani, come lo è anche di molti cristiani. Non vederlo è nel migliore dei casi ingenuo, nel peggiore dei casi malafede.

La sinistra liberale che difende con le unghie e con i denti dalle critiche etichettate come “islamofobe” scoprirà suo malgrado che gli islamici non hanno alcuna intenzione di ricambiare il favore.

Con il disastro demografico italiano qualche riflessione è d’uopo sul destino inesorabile di questo Paese e di questa sinistra liberale. Capire questo significa capire che la sinistra non può aderire a tutte le istanze, che non può avallare tutte le cause prodotte dalla “modernità”, senza produrre un sistema profondamente conflittuale.

martedì 27 giugno 2023

Un lavoro ben fatto

 

Christine Lagarde percepisce uno stipendio di poco più di 1000 euro. Dunque non se la passa bene, considerando che Francoforte sul Meno è molto più cara di Cernusco sul Naviglio. Con 1269 euro il giorno c’è poco da scialare. Vero è che le sono riconosciuti come spese di soggiorno altri 209 euro giornalieri, ma con quelli ci paghi appena un paio di colf.

Il Consiglio direttivo della BCE ha deciso a giugno di aumentare i tre tassi di interesse chiave di 25 punti base, vale a dire dello 0,25%. A causa dell’inflazione, dicono, che è più del doppio di quanto appaia nei loro sogni. Perciò vogliono aumentare il costo del credito, in modo che le imprese e i privati prendano a prestito il meno possibile.

L’economia europea non è in recessione? Sì. E l’inflazione non è in gran parte causata dalle aziende, che hanno aumentato i loro profitti? Sì, anche. Aumentare il costo del credito è quindi inefficiente, poiché non è la causa dell’inflazione.

Ascoltiamo i nostri amici: “Nella misura in cui si prevede un crescente rallentamento della domanda, le condizioni di finanziamento più restrittive sono una delle ragioni principali per cui l’inflazione continuerà a scendere verso il nostro obiettivo”. Sono orgogliosi del loro risultato: colpire i consumi e lasciare senza lavoro le persone.

Sono degli artisti e perciò intendono perseverare nello spettacolo: “Le nostre decisioni future faranno in modo che i tassi di riferimento della BCE siano fissati a livelli sufficientemente restrittivi da garantire che l’inflazione ritorni al livello del nostro obiettivo del 2% a medio termine, e che vengono mantenuti a questi livelli per tutto il tempo necessario”.

Perché il nemico è noto: i salari.

Peggio ancora: il tasso di disoccupazione! Senza vergogna “si è attestato a un livello estremamente basso a lungo termine del 6,5% ad aprile” (nella zona euro). Vedi la tensione sul viso di Christine quando pronuncia “estremamente basso”? Perché una disoccupazione che scende troppo vuol dire uno schiavo che raddrizza la schiena di un millimetro. E questo non deve avvenire.

Quindi Christine ha dichiarato oggi al forum di Sintra che alzerà i tassi d’interesse a luglio e di nuovo a settembre, fino a quando, finalmente, non sarà raggiunto il numerino magico del 2%. E, quel giorno, Christine, pagata più di 426.000 euro all’anno (più 76.000 di spese di soggiorno) con le nostre tasse, sarà rilassata, sorridente, contenta di un lavoro ben fatto.


Sulla soglia del nucleare

 

«Una delle caratteristiche più terribili della guerra è che la propaganda militare, tutto questo ululato straziante, bugie e grida di odio sono inventati da persone sedute nelle retrovie» (George Orwell, dal documentario In Memory of Catalonia, 1938).

La scorsa settimana, è stato pubblicato un articolo di Sergej Karaganov, importante esperto russo di politica estera e di difesa, presidente onorario del Presidium del Consiglio per la politica estera e di difesa. Insomma, ha buoni rapporti con chi detiene il potere in Russia.

La sua argomentazione è la seguente: per “spezzare la volontà dell’Occidente”, la Russia “dovrà rendere nuovamente convincente la deterrenza nucleare abbassando la soglia per l’uso delle armi nucleari”.

“Il nemico deve sapere che siamo pronti a effettuare un attacco preventivo come rappresaglia per tutti i suoi atti di aggressione presenti e passati, al fine di impedire lo scivolamento nella guerra termonucleare globale.

“Ma cosa succede se non si tirano indietro? In tal caso, dovremo colpire una serie di obiettivi in diversi paesi per riportare in sé coloro che hanno perso la testa”.

È chiaro che questo modo di (s)ragionare non è unanime in Russia: la guerra, e in particolare quella nucleare, è un cattivo modo per risolvere i problemi. Tuttavia il presidente Putin, prevenendo ciò che potrebbe essere deciso prossimamente in ambito Nato, ha confermato che la Russia ha già dislocato un primo lotto di armi nucleari tattiche in Bielorussia, una mossa destinata, secondo il leader russo, a richiamare all’ordine chiunque “pianifichi d’infliggerci una sconfitta strategica”.

John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche presso il Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha dichiarato ieri: «Non vediamo – fatta eccezione per la burrascosa retorica – alcuna indicazione che vi sia alcuna intenzione di utilizzare armi nucleari in Ucraina. E posso anche assicurare che non abbiamo visto nulla che ci costringesse a cambiare l’allineamento dei nostri mezzi strategici, non abbiamo fatto passi del genere».

La sfera strategica nucleare implica che ogni detentore dell’arma abbia un sistema dottrinale coerente, che non è basato solo sulla nozione di deterrenza. Per quanto riguarda la Russia, se chiamata a difendere il proprio territorio, essa non rinuncerà a difendersi con ogni mezzo. Alle armi convenzionali si affiancherebbe l’utilizzo delle armi nucleari di teatro, e a queste, se necessario, seguirebbero le armi nucleari strategiche.

Non si tratta di una mera ipotesi, ma di ciò che è previsto dai protocolli operativi e dalle predisposizioni attive di difesa. Inoltre, dobbiamo tener presente che se è possibile controllare le armi, non sempre è possibile controllare le intenzioni. Oggi c’è Putin al comando (lasciamo stare che ci venga proposto come un orco), domani non si sa.

A fronte dell’impasse in cui si trovano le truppe ucraine, che dobbiamo fare? Mandare altre armi, più potenti e in grado di colpire direttamente la Russia e allargare la partecipazione diretta al conflitto a forze Nato? Un giorno i motivi che stanno in radice a questa guerra saranno più chiari anche a chi abitualmente crede di stare dalla parte dell’indiscussa “ragione”. Mai perdere la speranza.

L’atomo ha avuto nella guerra fredda un potere equalizzatore, ma qual è oggi l’effettiva soglia d’innesco per l’uso di armi nucleari? Sarà disposta Washington a rischiare un conflitto nucleare e sacrificare Boston per Kherson o Chicago per Pozna? E quando si dovesse scoprire che Washington non è disposta a tale sacrificio, come la prenderebbe l’Europa?

Non solo questa guerra e il rischio reale di un suo allargamento non sembrano trovare vie d’uscita, ma lo stesso scontro tra Occidente e Russia non è destinato ad esaurirsi con l’eventuale fine del conflitto armato in Ucraina. Tutto ciò era già contenuto in premessa con l’allargamento della Nato ad Est e con il sobillamento dello sciovinismo ucraino e degli ex Paesi aderenti al Patto di Varsavia.

La guerra in Ucraina finirà, ma non finirà mai il dopoguerra.

lunedì 26 giugno 2023

Sarà per un'altra volta

 

I media hanno dato ampio risalto al ruolo svolto della brigata Wagner nel contesto della guerra in Ucraina. Ruolo sicuramente significativo ma che non va esagerato. Si tratta di una componente militare numericamente modesta rispetto alle forze russe in campo.

Dunque, per quale ragione Prigozhin avrebbe messo in atto quanto è avvenuto? Si può tranquillamente supporre che la sua mossa sia stata dettata dalla disperazione, ossia per prevenire azioni contro di lui che l’avrebbero messo in condizione di non nuocere.

In primo luogo, è evidente che i suoi crescenti conflitti con l’apparato militare russo erano giunti al culmine, con dichiarazioni pubbliche al vetriolo di Prigozhin nei confronti del ministro della Difesa Shoigu, accusato di non aver condotto la guerra in modo abbastanza aggressivo.

I militari erano stufi del patrocinio di Putin nei confronti di questo delinquente volgare e irrispettoso (nei confronti dei militari). Inoltre, le operazioni della sua unità, sebbene utili in misura limitata, hanno anche interferito con la condotta generale della guerra da parte degli stati maggiori russi.

È stato riferito che i finanziamenti per Wagner dovevano essere sostanzialmente tagliati, e, all’inizio di questo mese, Prigozhin aveva rifiutato di accettare la richiesta di Putin che Wagner fosse posta sotto il controllo della leadership dell’esercito.

Che Prigozhin sia stato usato sia da elementi interni che esterni non è solo possibile, ma è una certezza. Sarebbe il colmo credere che la Nato e le altre forze in campo siano state spettatrici passive negli eventi culminati in quelle 24-36 ore.

Sicuramente è stata seguita con estrema attenzione l’escalation della guerra verbale tra Prigozhin e l’esercito russo, ed emissari di vario tipo hanno preso sicuramente contatto con lui. Non c’è altra spiegazione credibile in rapporto alle dichiarazioni di Prigozhin nel momento in cui lanciava la sua operazione.

Il tentativo di colpo di stato, che non aveva alcuna possibilità di successo senza l’appoggio diretto degli stati maggiori russi, è stato messo in atto a meno di tre settimane dall’inizio della strombazzata controffensiva sostenuta dalla Nato in Ucraina, costata decine di miliardi di dollari e finora rivelatasi una debacle, con migliaia di soldati ucraini morti e solo pochi villaggi conquistati.

L’ipotesi, alla quale ho fatto cenno anch’io ieri, di un golpe per consentire a Putin di regolare i conti con i vertici militari, con il passare delle ore perde sempre più credito. Per come si prospettano le cose è più probabile che il tentativo di Prigozhin, oltre che scaturito da motivazioni strettamente personali dell’interessato, puntasse ad altri scopi.

Chi dall’esterno ha sostenuto Prigozhin, ha calcolato che un tentativo di colpo di stato, anche se fosse fallito, avrebbe destabilizzato il regime e minato le sue operazioni militari. In ogni caso, ha spostato la narrativa dei media dal fallimento della controffensiva ucraina al fallimento del regime di Putin.

Che il colpo di stato sia stato preparato con un livello significativo di coinvolgimento della NATO è più che plausibile. Tuttavia dipingere il tentativo di colpo di stato principalmente come il prodotto di una cospirazione dell’intelligence americana significherebbe ignorare le vere divisioni che esistono in Russia e gli interessi particolari che ne determinano le dinamiche.

Mi pare evidente che ciò che è avvenuto mette a nudo una situazione in cui è stato perso il controllo di un Frankenstein creato da Putin e dall’intelligence militare del GRU GSh. Sul fatto però che Putin resti saldamente al potere, personalmente non ho dubbi. Spiace per chi aveva già prenotato popcorn e prosecco.

C'è poco da ridere

 


Pur in presenza di un innegabile calo statistico dell’analfabetismo, da alcuni decenni il declino generale del livello culturale si rende più evidente in contesti non esclusivamente connessi a variabili di classe sociale. Segnali in tal senso, ossia dell’affermarsi di un esasperato eclettismo e di un indebolimento del legame con la cultura colta, si moltiplicano con preoccupate frequenza, e di fronte a svarioni come quello riportato qui sopra si può sorridere, e però non è questo un tema che può essere banalizzato perché le conseguenze sono davvero molto serie.

domenica 25 giugno 2023

Un golpe per finta


Scrive il New York Times:

«Per anni, il signor Prigozhin ha odiato Sergei K. Shoigu, il ministro della difesa, e il generale Valery Gerasimov, il capo di stato maggiore delle forze armate russe, e il sentimento era reciproco, hanno detto i funzionari statunitensi. Ma ci è voluta la guerra in Ucraina, hanno detto i funzionari all’inizio di quest’anno, perché l’animosità si riversasse allo scoperto, spesso espressa dal signor Prigozhin in post irascibili su Telegram, una piattaforma di social media».

Per quanto sia potente, a Putin non conviene prendere aperta posizione contro i vertici delle forze armate russe nel pieno della guerra.

Si legge ancora sul il New York Times:

«Un carro armato Wagner si è insediato nell’area del circo di Rostov e i residenti sono stati filmati mentre si occupavano tranquillamente dei loro affari mentre uomini armati mascherati barricavano le strade della città. Una forza paramilitare rivale di combattenti ceceni inviata in città per cacciare Wagner non è mai arrivata.

Durante l’occupazione, le forze di sicurezza locali non sembravano offrire alcuna resistenza organizzata a Wagner, e non ci sono stati decessi confermati in una città piena di personale militare. I media locali hanno riferito che le unità Wagner avevano circondato gli uffici dell’agenzia militare e di sicurezza locale, barricando gli ufficiali all’interno ma consentendo loro di ordinare cibo da asporto.

Il signor Prigozhin ha affermato che loccupazione da parte delle sue forze del quartier generale militare di Rostov non ha interrotto il compito quotidiano degli ufficiali in tempo di guerra».

Veniamo ai fatti: gruppi di militari che occupano le strade di un quartiere di Rostov, dove gli spazzini continuano a fare tranquillamente il loro utile servizio, poi qualche camion militare con i teloni abbassati in viaggio sull’autostrada che porta a Mosca. E questo sarebbe un golpe per prendere il potere in Russia? Contro Putin, poi?

Solo chi non conosce la storia personale di quell’avanzo di galera che risponde al nome di Evgenij Prigozhin e i suoi rapporti con Putin può davvero pensarlo. In realtà quell’uomo nega ancora oggi di essere stato condannato, appena ventenne, a 13 anni di carcere per un “crimine violento” nella allora Leningrado. Quello stesso Prigozhin, gestore di un chiosco di hot dog aperto con il suocero una volta uscito di galera, diventato il responsabile del catering per i ricevimenti dati dal suo presidente, è un uomo che si adatta, pronto a fare qualsiasi cosa gli venga chiesta.

Si scaglia contro le élite russe che impediscono a Putin di dichiarare la guerra totale, come lui vorrebbe. Diventa il volto dell’ultranazionalismo, il più falco tra i falchi. Le sue dichiarazioni si fanno sempre più aggressive, talvolta criticano anche il Cremlino. Mai una parola su Putin, però. Solo qualche accenno ironico, quasi sempre accompagnato da una rettifica ossequiosa.

Solo i sempliciotti possono pensare che le faccende che riguardano la politica e il potere procedano semplici e lineari alla luce del sole. Solo i complottisti in servizio permanente possono credere fanaticamente che dietro i paraventi della politica e del potere vi siano solo trame oscure che solo loro sono in grado di decifrare.

In questa mascherata di golpe fallito c’è un po’ di tutto e il suo contrario. Pensare che il signor Prigozhin e qualche migliaio di soldati del suo esercito personale (non tutta la brigata Wagner [*]) potessero mettere piede al Cremlino, non era nei propositi di Prigozhin, né nelle sue possibilità reali, come del resto dimostra la dinamica del “golpe” e il suo epilogo (e il ruolo del suo inossidabile “mediatore”).

A marzo dell’anno prossimo la Russia voterà per rieleggere l’attuale inquilino del Cremlino. Per dare una parvenza di rispettabilità alle elezioni, serve un finto oppositore che faccia lo scalmanato, che minacci di diventare l’uomo dell’Apocalisse.

Tutto concordato? Pensare che vi sia stato un accordo preventivo tra lui e Putin è poco realistico, anche se nulla va escluso a priori.

Il signor Prigozhin nei giorni scorsi era finito nel mirino della magistratura moscovita, e a quel punto ha detto basta. Vedremo come Putin saprà o non saprà sfruttare a proprio vantaggio questo presunto golpe che, sempre secondo il NYT, era noto agli americani da diversi giorni. Noto a Washington e a Mosca no?

(*) La milizia privata di Prigozhin fu fondata da un ex delle truppe speciali, Dmitrij Utkin, nome di battaglia Wagner. Non è una componente dell’esercito ufficiale, chi ne fa parte non deve rendere conto a nessuno. A suo tempo, ne vennero a far parte ufficiali ed ex soldati dell’Armata russa attratti da una paga più alta, meno pastoie burocratiche, nessun controllo su eventuali razzie. Insomma, una milizia mercenaria. Il suo fondatore, Utkin, diventa direttore generale della Concord management, la società di ristorazione di Prigozhin. Che intanto aveva allargato il raggio dei propri affari ottenendo appalti pubblici milionari: scuole, mense dell’esercito, pulizia delle caserme, costruzioni. Affari e politica sono siamesi a Mosca e nel resto del mondo. 

venerdì 23 giugno 2023

Non solo orrore e sangue

 

Dieci giorni or sono è morto lo scrittore Cormac McCarthy, uno degli scrittori americani più essenziali che molti anni fa mi afferrò con la sua narrazione straripante di un’umanità assetata di sangue, guidata da impulsi violenti e antisociali fuori scala, un annientamento delle cose e degli esseri oltre i codici del genere cui eravamo abituati.

In Blood Meridian, Or the Evening Redness in the West, pubblicato nel 1985 e da Einaudi nel 1996 col titolo Meridiano di sangue, l’opera sua maggiore, McCarthy ha dimostrato come la frontiera americana (non solo la frontiera, soggiungo) non fosse una incubatrice di uguaglianza e democrazia, ma un luogo di inesorabile dolore, di assoluta crudeltà e sofferenza, insomma un’apocalisse dell’orrore (così come poi in The Road, sempre tradotto da Einaudi). Si potrebbe tracciare un’analogia con il romanzo di Melville, con la differenza che invece di una balena bianca, McCarthy racconta di uomini bianchi che cacciano nativi americani da scalpare e uccidere (furono i bianchi ad insegnare agli autoctoni il barbaro rito dello “scalpo”).

Il periodo storico considerato dal romanzo di Melville e poi da McCarthy è il medesimo, ossia gli anni violenti e caotici dopo che gli Stati Uniti avevano annesso il Texas e invaso il Messico, conquistando la maggior parte dei territori settentrionali portando i propri confini occidentali nell’Oceano Pacifico.

McCarthy sapeva che gli Stati Uniti, prima di sostituirsi agli spagnoli nelle loro colonie, si sono fatti e disfatti al proprio interno, nelle terre di confine che condividevano con i francesi al Nord e col Messico. Quegli uomini, inviati per uccidere quanti più indigeni possibile per aprire all’insediamento il territorio conquistato, attraversano e riattraversano le stesse aride zone punteggiate da file di vulcani spenti; quel gruppo di assassini si sposta da est a ovest, poi da ovest a est, e mentre lo fanno la loro ferocia si intensifica ed essi diventano quasi indistinguibili dal paesaggio.

C’è un antiumanesimo in McCarthy che sconcerta e disorienta il lettore, espresso nell’unidimensionalità dei suoi protagonisti. In Meridiano il giudice Holden, o semplicemente “il giudice”, è un poliglotta e un pedofilo omicida, erudito, colto, ballerino: “La guerra è la forma più vera di divinazione”. Per certi versi mi ricorda il maggiore Dieter Hellstrom, oppure il colonnello Hans Landa nel pur mediocre film di Quentin Tarantino.

McCarthy, uno scrittore di innegabili capacità narrative, presenta la storia e la società americana come nient’altro che una lunga serie di atti insensatamente violenti messi in opera da dei sociopatici. La storia americana, così come altre storie, è stata sicuramente anche questo, ma non solo. Spero di non dover essere proprio io a dover difendere ciò che in essa è avvenuto di buono, anche se spesso in modo tortuoso.

giovedì 22 giugno 2023

Che dirà la procura di Padova?

 

Parla a bassa voce, intervallata da una risata simile a Paperino, odiosa quasi come quella di Jeff Bezos: «Desideriamo creare una vita multiplanetaria, cioè avere una vita al di là di questo pianeta». Una nuova colonizzazione, senza che nessuno s’indigni, verso un nuovo Far West con la stessa voracità dei coloni del XIX secolo. Questo il mondo visto da un afrikaner autistico, il nuovo Zaratustra, alias Elon Musk, un uomo che va preso seriamente perché il nostro domani dipenderà in parte dalle parole che usciranno dalla sua bocca, anche quando cambia opinione a suo piacimento, a seconda delle circostanze e dei suoi interessi.

Produttore di razzi eleganti (il suo sistema Starlink aiuta gli ucraini ad uccidere dei coscritti russi che poi ricambiano con gl’interessi), ha già inviato convogli di satelliti per inquinare il nostro spazio per venderci il 5G di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Un punto in comune con la vecchia colonizzazione e schiavitù: milioni di africani furono deportati in America per produrre ... cotone e zucchero.

Importavano i loro schiavi in modo che i ricchi bianchi potessero intingere i loro biscotti nel dolce caffè mentre scoreggiavano delicatamente negli slip tessuti da donne e bambini bianchi nelle fabbriche britanniche con il cotone prodotto dall’altra parte dell’Atlantico nel sudore e nel sangue dei negri. Non molto diversamente da come noi oggi importiamo schiavi per le nostre piantagioni di pomodoro, serre di frutta e fabbriche di pellame. L’obiettivo finale è sempre lo stesso: fare in modo che milioni di schiavi producano prodotti di consumo, non pochi dei quali totalmente superflui, per arricchire una manciata di azionisti spregiudicati come lo era un Cecil Rhodes. “La vita è ingiusta”, come si dice in Borsa.

La libertà di espressione è importante se puoi dire cose inquietanti, altrimenti non ha senso promuovere la libertà di espressione.

Musk è come tutti sappiamo anche proprietario di fabbriche d’auto bruttissime, divoratore di libri e fornitore dell’intelligenza artificiale che presto li scriverà tutti. Benefattore dell’umanità, ritiene di essere un grande maestro della comunicazione del futuro. Paradossalmente l’intelligenza artificiale lo preoccupa: “Ci sono pericoli intorno all’intelligenza artificiale”. La grande sostituzione delle stronzate naturali con quelle artificiali. A nessuno importa quando sei tu a dirlo, ma quando lo dice Elon Musk, il pianeta trattiene il respiro e smette di girare.

Una domanda in vista del prossimo sinodo: la Chiesa si opporrà al matrimonio tra robot dello stesso sesso? E la procura di Padova che dirà a riguardo dei loro figli?

Sonni tranquilli tutte le notti

 


La vicenda del mini sommergibile Titan, disperso da domenica nel Nord Atlantico a quasi mille chilometri a sud di Terranova e a una profondità di 3.800 metri, è seguita da milioni di persone in tutto il mondo.

È inevitabile che un tale evento, in cui c’è una corsa contro il tempo e gli elementi, attiri l’interesse e la preoccupazione di decine di milioni di persone per coloro che sono intrappolati in condizioni di pericolo di vita.

Nel 2018, il direttore delle operazioni marittime della società, David Lochridge, presentò quello che viene descritto dai media come “un severo rapporto sul controllo della qualità” del sommergibile, e manco a dirlo fu licenziato.

Anche se il sommergibile fosse localizzato, gli sforzi per salvare i passeggeri sarebbero ostacolati dal fatto che praticamente non esistono attualmente capacità di salvataggio adeguate.

Nel 1960, la Marina degli Stati Uniti vantava nove navi di salvataggio sottomarino dedicate e due rimorchiatori della flotta attrezzati per il lavoro di salvataggio sottomarino. Oggi, il servizio non dispone che di un’unica nave di soccorso sottomarino a ciò dedicata. Anche il salvataggio sottomarino è diventato oggi un’impresa ampiamente privatizzata.

Cinque i passeggeri del Titan che hanno intrapresero l’immersione per vedere il relitto del Titanic, il transatlantico che affondò nell’aprile del 1912: Stockton Rush, CEO di OceanGate Expeditions (la società che gestisce i tour del Titanic); il ricco uomo d’affari e avventuriero britannico Hamish Harding; il direttore aziendale pakistano Shahzada Dawood e suo figlio, Suleman; l’esperto di immersioni francese Paul-Henri Nargeolet. Probabilmente sono già morti o stanno morendo (*).

Ironia della sorte sta nel fatto che due ricchi pakistani sono passeggeri del Titan, mentre centinaia di uomini, donne e bambini pakistani impoveriti sono morti nel Mediterraneo, e salta all’occhio che la copertura mediatica (soprattutto anglosassone) dell’episodio del Nord Atlantico è molto diversa dal trattamento riservato alla tragedia della scorsa settimana al largo della costa greca. Là le persone, pakistani, egiziane, siriane, afgane e palestinesi, sono morte senza che il loro nome fosse citato nei notiziari, ed è improbabile che alcuni di loro saranno mai identificati.

I motivi e le circostanze dei due eventi sono molto diversi, così come la frequenza degli episodi, e dunque in certa misura è anche comprensibile il diverso impatto mediatico. Tuttavia non posso fare a meno di notare come in realtà delle migliaia di morti affogati nel Mediterraneo importi poco a livello di istituzioni e di governi (non molto mediamente anche presso l’opinione pubblica europea, diciamoci la verità), così come le decine di morti giornalieri di quella follia che è la guerra in Ucraina.

Eppure per qualsiasi governo o forza navale lo desiderasse, sarebbe molto più facile salvare un natante in difficoltà in mezzo al Mediterraneo che un sottomarino sul fondo dell’oceano. Così come sarebbe ora di dire: basta con questa follia della guerra, sediamoci attorno a un tavolo e non ci alziamo fino a quando non s’è raggiunto un ragionevole accordo. E invece in tutti questi casi a dettar legge è un ordine mondiale e sociale disfunzionale e criminale. Politici, funzionari e noi brava gente dormiamo sonni tranquilli tutte le notti.

(*) Il Titanic, vale la pena ricordarlo, trasportava solo 20 scialuppe di salvataggio, in grado in teoria di ospitare 1.178 persone, poco più della metà delle 2.200 persone a bordo, e molte di quelle messe in mare furono utilizzate solo per metà della loro capacità d’imbarcare naufraghi.

L’affondamento del transatlantico, come hanno dimostrato varie indagini, era evitabile e il bilancio delle vittime poteva essere più contenuto. Il disastro fu il risultato combinato d’innumerevoli errori e di semplice stupidità, ma soprattutto della volontà della società armatrice di pubblicizzare le prestazioni della nave.

Dei circa 709 passeggeri del Titanic di terza classe, circa 537 morirono, mentre solo il 3% delle donne di prima classe subì quel destino. Come è stato ben documentato, i passeggeri di terza classe a bordo del Titanic erano confinati nella loro area nei ponti inferiori da cancelli grigliati, alcuni dei quali non venivano mai aperti.

mercoledì 21 giugno 2023

Un convincimento fuorviante e pericoloso

 

Nel momento del suo massimo splendore l’Impero romano era il più vasto e ricco che la storia avesse mai conosciuto. Roma, la capitale di questo impero, la città più splendida e popolosa: non meno di un milione di abitanti. Altre grandi, ricche e civili città punteggiavano il vasto dominio di Roma. Se avessimo predetto a un cittadino romano di allora, che di lì a qualche secolo gli abitanti dell’Urbe si sarebbero ridotti a qualche migliaio, e che tra i suoi imponenti edifici avrebbero pascolato le capre, quel cittadino ci avrebbe accolto con un sorriso incredulo, così come sorriderebbe incredulo un americano al quale gli si preannunciasse che New York ritornerà ad essere un piccolo borgo.

L’antico romano, di condizione abbiente, leggeva dei libri che ancora oggi ci interessano, ci stupiscono per la loro profondità e libertà di giudizio, e anche ci divertono; se voleva recarsi in Grecia o in Dalmazia non aveva che da informarsi sulla prossima nave in partenza; sua moglie poteva acquistare prodotti provenienti dall’Oriente; i suoi figli venivano avviati a professioni non molto dissimili da quelli di oggi; i suoi commerci, il possesso dei suoi beni, il suo matrimonio erano regolati da leggi sostanzialmente simili a quelle attuali, se non migliori.

Eppure ciò che si preannunciò per l’Impero romano è accaduto, così come prima e dopo di esso accadde similmente per altri imperi e civiltà. Il convincimento che la società moderna non possa scomparire è dovuto al concetto che l’Illuminismo francese prima, e il positivismo indotto dalla rivoluzione industriale in seguito, hanno fornito del progresso: ma si tratta di un convincimento fuorviante e anche pericoloso.

Tanto più si riflette sulle profonde analogie tra il livello di vita dell’epoca romana e quello dell’epoca moderna, pur con le debite e ovvie proporzioni in relazione al diverso grado di sviluppo economico e umano, tanto più si resta impressionati da ciò che accadde tra le due epoche, nonostante gli storici più recenti tendano a magnificare il Medioevo, che almeno nei suoi primi secoli fu inconfutabilmente un’età di ignoranza e barbarie come non si vedeva dalle età preistoriche.

Non che all’epoca di Augusto e dei suoi successori tutto andasse per il meglio, ma non dobbiamo dimenticare che nel secolo scorso, dunque pochi decenni or sono, l’Europa e il mondo sono stati devastati da due guerre mondiali di impareggiabile violenza e crudeltà, arrivando all’impego delle armi nucleari; che ancora oggi divampano conflitti bellici in diversi luoghi del mondo, e che in Europa ci si uccide bestialmente per il controllo di taluni territori o zone d’influenza, ed è presente, anche più che nei decenni della guerra fredda, la minaccia di una guerra nucleare, come del resto non ha escluso poche ore or sono il presidente degli Stati Uniti in riferimento alla Russia, ai cui confini la Nato persiste nelle sue provocazioni e nella sua minaccia.

Mi pare evidente che né l’inetta classe politica, né tantomeno la classe miliardaria sociopatica, né tra coloro che vantano un concetto di realismo politico, che però si rivela assai grossolano, si sia ben compreso chi davvero rappresenta la più grave minaccia per l’equilibrio mondiale e i reali rischi che ciò rappresenta.

martedì 20 giugno 2023

Strategic sequencing

 

Repubblica, quotidiano beniamino del Dipartimento di Stato statunitense, se ne esce con la notizia, desunta ovviamente dal NYT, che invece di armi l’Ucraina ha ricevuto rottami, specie dall’Italia. Armi e mezzi “incapaci di muoversi o di sparare, così logori da servire a stento per recuperare qualche pezzo di ricambio”, per la manutenzione dei quali le società private americane si sono fatte pagare a caro prezzo.

A dire il vero il NYT non parla solo di armi vecchie (“Quasi il 30 percento dell’arsenale del paese è in riparazione”), ma anche di armi acquistate e non consegnate (fonte: Volodymyr Havrylov, viceministro della difesa). Vatti a fidare degli amici. Tutto ciò serve ovviamente a Kiev per giustificare il fallimento della tanto strombazzata “controffensiva” ucraina che è ormai un fatto.

A mio avviso tale fallimento è da mettere in relazione con la visita, dapprima annullata e poi avvenuta nello scorso week-end, del segretario di Stato americano Antony Blinken in Cina, dove ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping e il ministro e i funzionari degli affari esteri del Paese.

Per quale motivo? Il viaggio di Blinken, snobbato dalla stampa americana, è un cinico tentativo di allentare momentaneamente le crescenti tensioni con Pechino mentre si prepara, visto il flop ucraino, una drastica escalation militare USA-NATO nella guerra contro la Russia in Ucraina. Naturalmente si tratta di una mia supposizione, ma a pensar male spesso si pensa il giusto (vedi alla fine del post).

Da quando è entrata in carica, l’amministrazione Biden ha solo intensificato le misure diplomatiche, economiche e militari prese sotto Obama e Trump per contenere e indebolire la Cina in preparazione del conflitto. Il deterioramento delle relazioni degli Stati Uniti con la Cina è stato sottolineato a febbraio, quando, come detto, la prevista visita di Blinken a Pechino era stata annullata dopo che l’aeronautica americana aveva abbattuto un pallone cinese sopra lo spazio aereo statunitense sulla base di affermazioni infondate secondo cui stava spiando basi militari.

Nei due giorni della visita è stato mantenuto un minimo di decoro diplomatico. Secondo il Sole 24ore, Blinken «ha precisato poi che Washington sostiene il principio di una “un’unica Cina”, considerando l’isola “parte inalienabile” del territorio cinese». L’isola è ovviamente Taiwan. A dire il vero ciò fa parte di accordi sottoscritti decenni or sono e che sono il fondamento delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino.

Tuttavia devono essere avvenuti degli scambi rabbiosi a porte chiuse tra le parti, che Blinken ha descritto in linguaggio diplomatico come «discussioni sincere, sostanziali e costruttive». Lunedì, per tre ore, il consigliere di Stato cinese, Wang Yi, secondo una nota del ministero degli Affari Esteri, aveva «chiesto agli Stati Uniti di smetterla di esaltare la “teoria della minaccia cinese”, di revocare sanzioni unilaterali illegali contro la Cina, di abbandonare l’ostruzionismo allo sviluppo tecnologico cinese e di astenersi da interferenze arbitrarie nell’ambito interno della Cina affari».

A ben vedere sono tutte cose che Pechino si guarda bene dal fare contro Washington, eppure anche in tema di diritti umani ci sarebbe da discutere a lungo su come questi siano violati sistematicamente negli Stati Uniti. Wang Yi ha detto che i rapporti blaterali stanno vivendo “un momento critico, ed è necessario per Washington fare una scelta tra dialogo o confronto, cooperazione o conflitto». Ha invitato gli Stati Uniti a fermare «il declino vertiginoso delle relazioni Cina-USA per riportarlo su un binario sano e stabile».

Cinque ore di colloqui tra Blinken e il ministro degli Esteri cinese Qin Gang. Poca roba: un accordo per incontrarsi di nuovo e organizzare incontri su sfide specifiche. Qin ha affermato che si è discusso di aumentare i voli passeggeri tra la Cina e gli Stati Uniti e di incoraggiare maggiori scambi di studenti, studiosi e uomini d’affari. Qin ha accettato l’invito a visitare Washington nel corso dell’anno. Successivamente Xi ha indicato che potrebbe incontrare Biden durante un vertice dei leader della cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) a San Francisco a novembre.

Fumogeni. La strategia dell’imperialismo statunitense rimane focalizzata sulla Cina come principale minaccia al suo dominio economico e militare globale, mentre il potenziamento militare statunitense nell’Indo-Pacifico continua a ritmo sostenuto. Sulla scacchiera geopolitica in questo momento l’obiettivo è quello di mettere la Russia in condizioni di non nuocere e prendere il controllo dell’Asia centrale.

Mie fantasie? La pensa così anche l’ex vicesegretario di Stato A. Wess Mitchell in un suo articolo su Foreign Policy della settimana scorsa. Si chiama “strategic sequencing”: prima la sconfitta militare e la subordinazione della Russia, “il più debole dei suoi due grandi avversari”, e poi una guerra per schiacciare il suo principale rivale, la Cina.

Quanto all’Europa, essa è incapace di un reale smarcamento dagli interessi delle parti in causa, incapace insomma di darsi un ruolo e  dimensione di potenza autonoma. Una Europa miope e divisa da troppi egoismi.

lunedì 19 giugno 2023

In una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi

 

Con l’introduzione dell’euro contante non fu più possibile svalutare la nostra moneta in chiave competitiva. Data la forte dipendenza dai mercati finanziari a causa del debito e la scarsa propensione media per l’investimento innovativo (leggi: il capitalismo con le pezze al culo ma al timone di superyacht), dunque la ristagnante produttività del lavoro (nonostante mediamente il monte ore lavorate da un italiano sia superiore a quello di un tedesco o di un francese), per mantenere competitive le merci italiane si è ricorsi alla svalutazione dei salari, ovvero alla loro mancata adeguata rivalutazione, e alla proliferazione del precariato. 

La moderazione salariale (così la chiamano i fetenti), quale meccanismo di aggiustamento, è stata la più importante “riforma” di questo primo quarto di secolo alla quale hanno aderito, in ossequio all’euro e cioè con esclusiva attenzione al deficit e al debito, tutte le compagini politiche “scese in campo”, senza eccezione.

L’aggiustamento deflazionistico attraverso i salari, ossia la strategia dei bassi salari, non ha certo favorito le famiglie e la natalità, viceversa ha incentivato massicciamente il fenomeno della cosiddetta “fuga dei cervelli” (anche di buone braccia). Per usare un’espressione matematica applicata a una legge economica: la grandezza dell’accumulazione è la variabile indipendente, la grandezza del salario quella dipendente, non viceversa.

Che cosa abbiamo ottenuto? Meno crescita ma non meno deficit di bilancio e debito pubblico, per i noti e storici  disallineamenti italici: gli interessi di classe e di casta, l’ignoranza e lorgoglio personale, il fraintendimento dei fatti economici fondamentali. Per questo, anche tutte le decisioni che saranno prese in futuro sono destinate ad essere cattive, né giova mascherare il fallimento invocando motivi come il dumping fiscale, ovvero il mancato coordinamento delle politiche fiscali in ambito UE, e altre questioni consimili. 

Scriveva Bernard de Mandeville nel primo quarto del secolo XVIII nel suo The Fable of the Bees: «Coloro che si guadagnano la vita con il loro lavoro quotidiano, non hanno nulla che li stimoli ad essere servizievoli se non i loro bisogni che è saggezza alleviare, ma sarebbe follia curare. L’unica cosa che possa rendere assiduo l’uomo che lavora è un salario moderato. Un salario troppo esiguo lo rende a seconda del suo temperamento o pusillanime o disperato, un salario troppo cospicuo lo rende insolente e pigro ... Da quanto è stato svolto sin qui consegue che in una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi, la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi

E quando non si trovano in loco abbastanza “lavoratori laboriosi e servizievoli”, s’importano come qualsiasi altra merce (quali che siano le tutele legislative, la forza-lavoro è merce). Per far fronte al problema demografico e della carenza di forza-lavoro a bassa o nessuna qualificazione e dunque a buon mercato, si è puntato su degli avatar, ossia sull’immigrazione di poveri disgraziati disposti a farsi schiavi pur di sopravvivere, con tutti gli squilibri e i drammi che simili migrazioni comportano, compresi i barconi affondati sui quali anche la sinistra chiagne e fotte (un Minniti vale qualunque altro). Quando mai la “filosofia” dell’integrazione, spesso intesa come assimilazione, è stata accompagnata da una vera riflessione sul ruolo e l’impatto strutturale dell’immigrazione? (*)

Altra importante “riforma”, via via rinnovata con l’incalzare dei governi e dei ministri, è stata quella della scuola e dell’università. Anche l’istruzione è diventata una merce come un’altra. Quella pubblica è stata sistematicamente degradata e impoverita in ogni modo (si va verso il merchandising di deficienti Made in Italy), ed è invece stata favorita l’istruzione privata, finanziata anche con denaro pubblico. Deteriorato in radice il principio del libero accesso, in tal modo si pratica una selezione in base al censo, salvo poi decantare il “merito” dei figli di papà.

Sempre Mandeville, quando ancora la finzione democratica non impediva di scrivere la verità sullo stato delle cose: «Per rendere felice la società (composta naturalmente di coloro che non lavorano) e per render il popolo contento anche in condizioni povere, è necessario che la grande maggioranza rimanga sia ignorante che povera

È ciò che succede quando prevale la logica del valore di scambio anche nei servizi pubblici. Il “rispondere alle esigenze del mondo dell’impresa” induce effetti perversi nella formazione in settori non immediatamente produttivi in termini di profitti e di posti di lavoro: che ce ne facciamo di un corso di formazione sulla storia dell’Assiria in una università o, nei licei, dell’insegnamento del latino?

Stessa cosa è avvenuta e sta avvenendo per la sanità pubblica a favore di quella privata: lo smantellamento a rapidi passi dello statuto dominante del sistema sanitario: quello di servizio pubblico. Anche questa “riforma”, come quelle del lavoro, della scuola e altre, è d’ordine sia economico che ideologico, ossia insegue il principio liberale di “libera” concorrenza (sotto la spinta del “mercato” siamo diventati tutti liberali, volenti o nolenti in concorrenza con tutto e tutti).

L’insieme di tali “riforme” rientra in un progetto eversivo (nel senso pieno del termine), conseguenza del trionfo della grande, media e piccola borghesia parassitaria, e del mutamento dei rapporti di forza tra le classi che ne sono scaturiti (l’odio per la giustizia sociale, la cancellazione di una coscienza di classe, che, lo rammento ai professorini, non è solo coscienza “critica”), al quale si sono prostituiti attivamente, scientemente e volgarmente le compagini politiche (sedicenti democratiche, conservatrici o palesemente reazionarie) e le lobby nazionali ed internazionali (europee, atlantiche, ecc.) contando sul fatto che non vi fosse valida opposizione di cui tener conto. E quando c’è stato un pur timido tentativo di opposizione sociale, più estetica che fattuale, essa è stata soffocata brutalmente e nel sangue (es.: Genova 2001, governo Berlusconi-Fini).

Quali conclusioni trarre? Una lunga notte è appena cominciata e temo che il peggio debba ancora arrivare per questo Paese in grandissima parte normalizzato, arreso, analfabeta e sempre più di merda. Per quanto mi riguarda personalmente la sbrigo con una famosa citazione: «Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.»

(*) Una effettiva “integrazione”, cioè una cittadinanza realmente condivisa di popolazioni culturalmente tanto diverse (mentalità, costumi, religione, divisioni etniche tra gli stessi immigrati, ecc.) è spesso frustrata se non resa impossibile, come del resto dimostrano altri casi in Occidente. A ciò si aggiungono le segmentazioni sociali che fanno parte del circolo vizioso della povertà, e altre rigidità discriminanti del meccanismo del riconoscimento sociale, tanto più per quanto riguarda l’immigrazione extraeuropea.

Viaggio alla fine di Céline

 

Ho letto tutto ciò che di Louis-Ferdinand Céline è stato pubblicato, e non solo nella nostra lingua, tranne alcune ultime cose edite postume. Perciò nessun pregiudizio da parte mia verso il dottor Destouches, tuttavia non sono tra i suoi adoratori incondizionati, che pensano di dover salvare interamente l’uomo per salvare l’opera nella sua interezza.

Mi trovo invece in sintonia con Hanns-Erich Kaminski, il quale nel 1938 sosteneva che Bagatelles pour un massacre, pubblicato da Céline nel dicembre 1937, non è solo un testo antisemita, ma una vera e propria propaganda hitleriana (la parola “strage” non è usata come figura retorica). Soggiungo: tutto il libro è un incitamento all’omicidio, ma di questo m’importa fino a un certo punto. Resta il fatto che dal punto di vista letterario è una merdata illeggibile.

Kaminski era uno scrittore e giornalista ebreo tedesco rifugiatosi a Parigi nel 1933. Dopo aver detto che gli sarebbe piaciuto continuare ad ammirare l’autore del Viaggio al termine della notte, scrisse che non era difficile prevedere cosa Céline sarebbe diventato una volta che la Francia fosse stata occupata dai nazisti. Sappiamo che aveva ragione.

Questi i fatti accertati da archivi aperti di recente: Céline non si accontentò di essere il capo degli scrittori antisemiti dell’epoca. Durante l’occupazione divenne un agente dell’SD, il Sicherheitsdienst, un servizio segreto tedesco. In quanto tale, Céline fu responsabile di diverse deportazioni, e quindi di omicidi, svolse anche missioni per la Gestapo, ad esempio a Saint-Malo, dove partecipò alla caccia a un giovane combattente della resistenza.

Nell’inserto domenicale del Sole 24ore di ieri, si può leggere una recensione di Ernesto Ferrero, autore da me del resto apprezzato, all’edizione postuma di un manoscritto céliniano Guerra (Adelphi). Le considerazioni di Ferrero mi hanno richiamano alla mente un giudizio appropriato espresso nell’aprile 2020 da Pierluigi Pellini sul Manifesto: «[...] dell’abiezione senza limiti dell’uomo Céline non è più lecito dubitare dopo la requisitoria di Annick Duraffour e Pierre-André Taguieff in Céline, la race, le Juif. Légende littéraire et vérité historique (Fayard, Paris 2017): grosso tomo quanto mai sgradevole alla lettura, per l’ostentata indifferenza alle qualità estetiche e alla complessità della parola letteraria, ma d’impianto probatorio documentatissimo e schiacciante – sarebbe tempo, anche in Italia, di non prender più per oro colato biografie datate e vagamente apologetiche come quella di François Gibault (1985).

Leggerò Guerra? Certo, non ho nulla da obiettare alla pubblicazione degli scritti inediti céliniani (tanto ai neonazisti non interessa Céline, hanno altre fonti cui attingere), purché si tratti di edizioni che presentino tutte le garanzie di un lavoro scientifico svolto da specialisti nei vari campi richiesti per questo formidabile compito. Spero di trovare nel nuovo opuscolo tutta l’inventiva, la violenza, il genio di Céline, non indebolito da ripetizioni e dal moralismo nero di questo grande scrittore. Tuttavia, trattandosi di una prima bozza abbandonata, è forte il sospetto che si tratti prevalentemente di un’operazione editoriale per fare cassa senza versare diritti a chicchessia.

domenica 18 giugno 2023

Diga di Kakhovka: le "prove" che inchiodano i russi


Per prima cosa va rivelata la fonte dell’articolo del New York Times: l’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina tramite Associated Press. Va da sé che la fonte non è una parte terza, tanto più vigente la legge marziale.

Scrive il Times: «Alle 2:35 e alle 2:54 del 6 giugno, i sensori sismici in Ucraina e Romania hanno rilevato i segni rivelatori di grandi esplosioni. I testimoni nell’area hanno sentito grandi esplosioni tra le 2:15 e le 3:00 circa. E poco prima che la diga cedesse, i satelliti dell’intelligence americana hanno catturato segnali di calore a infrarossi che indicavano anche un’esplosione».

Tutto ciò non significa ancora nulla in riferimento all’individuazione dei responsabili della distruzione della diga di Kakhovka. Ad ogni modo va notata la discrepanza degli orari tra chi ha registrato strumentalmente le esplosioni e chi le ha sentite in loco.

«Dopo che la prima sezione della diga ha ceduto, i video suggeriscono che la forza dell’acqua impetuosa ha aperto uno squarcio sempre più grande nella diga».

Anche questo non prova alcunché, ma costituisce semplicemente la dinamica presunta di ciò che è accaduto in seguito all’esplosione. Così il seguito di questa ricostruzione: «I livelli dell’acqua sono scesi ulteriormente questa settimana, al di sotto della sommità delle fondamenta in cemento. La sezione che è crollata non era visibile al di sopra della linea di galleggiamento: una forte prova che la fondazione aveva subito danni strutturali, hanno detto gli ingegneri».

Secondo la ricostruzione proposta dal Times: «La diga è stata costruita con un enorme blocco di cemento alla base. L’attraversa un piccolo passaggio, raggiungibile dalla sala macchine della diga. È stato in questo passaggio, suggeriscono le prove, che una carica esplosiva è esplosa e ha distrutto la diga».

Posto che tutto ciò sia vero, resta da stabilire chi effettivamente ha piazzato l’esplosivo. Il Times: «Nelle caotiche conseguenze, con ciascuna parte che incolpa l’altra per il crollo, sono teoricamente possibili molteplici spiegazioni. Ma le prove suggeriscono chiaramente che la diga sia stata danneggiata da un’esplosione provocata dalla parte che la controlla: la Russia».

Le prove a cui allude il Times, riprese e fatte proprie da Repubblica e che su di esse non avanza alcun dubbio, sono in buona sostanza delle congetture testualmente riassunte così: «poiché la diga è stata costruita in epoca sovietica, Mosca aveva i disegni tecnici e sapeva dov’era il tallone d’Achille della diga stessa. Ed è lì che i russi hanno piazzato l’esplosivo».

Qui di seguito i diagrammi pubblicati dal Times:


Salvo poi dire che: «La diga è stata visibilmente segnata dai combattimenti nei mesi precedenti la breccia. Gli attacchi ucraini avevano danneggiato una parte della carreggiata sopra la diga e le truppe russe in ritirata ne fecero successivamente esplodere un’altra. Il mese scorso, le immagini satellitari hanno mostrato che l’acqua scorreva incontrollata da alcune paratoie. Ciò ha portato a suggerire che la diga potrebbe essere semplicemente vittima del danno accumulato, di cui la Russia si è avvalsa per negare la responsabilità».

Oh porca sozza, come spiegare i rilevamenti sismografici e satellitari delle asserite esplosioni? Ovvio che il Times tiene conto di questo fatto, che viceversa smentirebbe i sismologi ucraini e rumeni (notizia data da Ben Dando, sismologo della Norsar, un’organizzazione norvegese specializzata in sismologia), oltre ovviamente a sbugiardare il satellite spia americano e i suoi sensori a infrarossi (manco fosse l’unico in orbita). Ed infatti scrive Times:

«Dati i rilevamenti satellitari e sismici delle esplosioni nell’area, la causa di gran lunga più probabile del crollo è stata una carica esplosiva collocata nel passaggio di manutenzione, o galleria, che attraversa il cuore di cemento della struttura, secondo due ingegneri americani».

Uno di loro, “in pensione”, si chiama Michael W. West (laureato alla US Army Engineer School, corso base per ufficiali di ingegneria, 1971, già capo del gruppo sui pericoli dei terremoti presso il Bureau of Reclamation degli Stati Uniti), l’altro è “un ingegnere ucraino esperto di esplosivi” che dice: “La galleria è il luogo ideale per mettere quella carica esplosiva”.

Un’ultima chicca del Times a riguardo di queste schiaccianti “prove”: secondo Ben Dando, il norvegese di cui è detto sopra, «la posizione delle esplosioni è meno certa. Ad esempio, Norsar ha individuato il segnale delle 2:54 del mattino, con origine all’interno di una zona di 20 o 30 chilometri di diametro che include la diga».

Altre “prove”: «Non era disponibile un timestamp specifico per il segnale a infrarossi, ma un alto funzionario militare statunitense ha affermato che è stato rilevato poco prima del crollo della diga. Un alto funzionario militare americano ha affermato che gli Stati Uniti avevano escluso un attacco esterno alla diga, come un missile, una bomba o qualche altro proiettile, e valuta che l’esplosione provenisse da una o più cariche piazzate al suo interno, molto probabilmente da parte russa».

L’importante è che i funzionari americani siano “alti”, che poi ci pensa il Times (figuriamoci poi Repubblica) a fare titolo e articolo di basso profilo, di condanna dei russi sulla base di sedicenti “prove” che prove non sono.

Sia chiaro, personalmente non escludo nulla, ma nemmeno posso prendere per oro colato quanto racconta il Times sulla base delle congetture dell’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina divulgate tramite Associated Press.